L'aula del Senato |
di Lavinia Rivara
Prima dei Tg della sera a network unificati, cioè in diretta Facebook
e quasi in sincrono, Matteo Salvini, Luigi Di Maio e purtroppo anche Matteo
Renzi si connettono con i loro follower. Il genere ormai è noto, il comizio su
Internet, strumento principe della propaganda politica dei giorni nostri. È
questa ormai, insieme a Twitter, la nuova Terza Camera della Repubblica che ha
soppiantato anche Porta a porta. Ma forse mai come ieri la fuga dal Parlamento è stata così evidente. È
andata così: per diverse ore il premier Giuseppe Conte ha affrontato le
turbolente aule di Montecitorio e Palazzo Madama, sottoponendosi a
interruzioni, proteste e soprattutto domande, formulate da chi, Costituzione
alla mano, rappresenta il popolo italiano. Accanto a lui appena un paio di
ministri. Nessun leader politico ha preso la parola. Aspettavano tutti di
andare sulla rete. A sera infatti ecco i tre i tribuni digitali distillare su
Facebook, uno dopo l’altro, la propria verità accompagnati un diluvio di like,
cuoricini e faccine adoranti.
Ovviamente non c’è nessuno che possa alzarsi e andarsene, come hanno fatto
ieri senatori 5Stelle mentre parlava in aula Conte. Nessuno che possa
interrompere, o porre qualche interrogativo scomodo a cui si ha il dovere di
rispondere, magari rischiando anche la poltrona.
Il vicepremier Di Maio non si è fatto proprio vedere a Palazzo Madama
accanto al capo del governo, ma si è presentato su Internet per spiegare che i
suoi senatori hanno lasciato l’aula non per protestare contro il premier che
c’era, ma contro Salvini che non vuole andarci.
Chissà perché però non ha voluto esserci neanche lui per spiegare tutto
questo direttamente in Parlamento.
L’intervento di Renzi in aula invece era atteso. Anzi l’aveva annunciato
lui stesso prima ancora che l’assemblea dei senatori dem, convocata apposta,
potesse decidere chi e come doveva parlare a nome del gruppo.
La cosa aveva provocato qualche malumore e così l’ex premier ieri ha
platealmente rinunciato: per non dividersi anche su questo, ha spiegato. Tanto
«ci vediamo stasera alle 19 su Facebook». Che poi in realtà a furia di andare
sui social ci si divide di più. Zingaretti l’ha capito e proprio ieri ha
rivolto un accorato appello ai dem: basta con i tweet polemici che alimentano i
litigi, «i cellulari usateli per telefonare».
Ma il principe dei social network resta Salvini. Sono due settimane che non
solo l’opposizione ma anche i suoi alleati di governo chiedono al ministro
dell’Interno di andare in Parlamento e spiegare come mai il 18 ottobre
all’hotel Metropol di Mosca il suo ex portavoce trattava una partita di
petrolio per far arrivare un bel po’ di soldi nelle casse della Lega. E sono
due settimane che colui che dovrebbe tutelare la sicurezza e l’ordinamento
democratico della nazione va dappertutto tranne che nelle aule parlamentari a
rispondere di questo. Anzi ieri ha lasciato che a prendere la parola al suo
posto di fronte al Senato fosse il presidente del Consiglio, al quale peraltro
non ha voluto neanche fornire gli elementi per rispondere compiutamente. Poi
anche il leader leghista si è manifestato su Facebook, a parlare di Tav,
pedemontana e migranti, a dire che mentre lui sbloccava i cantieri, in Senato
si parlava di «aria fritta». Testuale.
Non siamo molto lontani dall’aula "sorda e grigia" di mussoliniana
memoria.
La Repubblica, 25 luglio 2019
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