Palermo, via Mariano D'amelio, 19 luglio 2019 |
di SALVO PALAZZOLO
Al raduno folla, magliette rosse e un interrogativo
tracciato sugli striscioni: " Chi ha rubato l’agenda?" " Presi
in giro dallo Stato", dice Fiammetta. Il capo della polizia Gabrielli:
" Dobbiamo chiedere scusa"
I fantasmi di via D’Amelio sono ancora qui, da qualche parte. Dove adesso
due ragazzi con la maglietta che raffigura Paolo Borsellino tengono uno
striscione. « Chi ha rubato l’agenda rossa? » , hanno scritto. Dove adesso una
giovane mamma dondola il passeggino del proprio bimbo che sonnecchia. Dove
alcuni giovani si sono seduti sorridenti dopo un giorno e una notte di viaggio,
« perché il giudice Paolo è il nostro modello » , dicono con un accento veneto. GUARDA L'ALBUM FOTOGRAFICO
Quante facce belle e pulite ci sono in via D’Amelio nel pomeriggio della
memoria. Forse c’è meno gente rispetto agli altri anni, ma non importa. Ogni
volto — anche quello di chi non era neanche nato il 19 luglio 1992 — racconta
il dolore e la rabbia, il desiderio di conoscere la verità e l’indignazione per
la giustizia che ancora non c’è. E quante facce ancora raccontano la speranza,
mentre le agende rosse vengono alzate in alto. Ma i fantasmi sono ancora qui,
da qualche parte, in via D’Amelio. Il ladro dell’agenda rossa, l’uomo in giacca
e cravatta che disse a un poliziotto «Sono un agente dei servizi segreti » ,
l’artificiere che aveva caricato la Fiat 126 di esplosivo il giorno prima, il
mafioso che azionò il telecomando (non sappiamo dove esattamente era nascosto).
Questi e altri fantasmi aleggiano in via D’Amelio mentre Adele, la pronipote
sedicenne di Borsellino, scandisce i nomi delle vittime: « Paolo Borsellino,
Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio
Traina». L’atto d’accusa di Fiammetta
Sono gli stessi fantasmi che aleggiano nell’aula del tribunale di
Caltanissetta dove in questi mesi vengono processati due ispettori — Fabrizio
Mattei, Michele Ribaudo — e il dirigente del gruppo, Mario Bò, che avrebbe
dovuto coordinare le indagini sulle stragi. A ogni udienza saltano fuori altri
nomi, altri sospetti. Altri fantasmi attorno all’allora carismatico poliziotto di
Palermo Arnaldo La Barbera. Altri ancora sono nell’inchiesta della procura di
Messina, che ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati degli ex
sostituti procuratori Annamaria Palma e Carmelo Petralia, adesso accusati di
aver avuto un ruolo nella creazione ad arte del falso pentito
Vincenzo Scarantino. « Ci siamo sentiti presi in giro dallo Stato » ,
è l’atto d’accusa di Fiammetta Borsellino mentre esce dalla chiesa di San
Francesco Saverio, dove è stata celebrata una messa da don Cosimo Scordato e da
don Luigi Ciotti. «Ci siamo sentiti presi in giro dalla procura generale della
Cassazione e dal Consiglio superiore della magistratura, che avrebbero
dovuto occuparsi delle responsabilità attorno al depistaggio. E, invece, così
non è stato».
Ancora una volta, le parole di Fiammetta sono uno schiaffo alla retorica,
alle passerelle. «Basta apparizioni — dice — abbiamo bisogno di atti concreti
da parte delle istituzioni preposte, che facciano luce sul depistaggio, che
cerchino davvero la verità».
"Chiedere scusa" Il dolore dei figli di Paolo Borsellino lo
raccoglie con parole coraggiose il capo della polizia, Franco Gabrielli, che
partecipa alla messa nella chiesa dell’Albergheria, accanto al prefetto
Antonella De Miro e al questore Renato Cortese. Dice: « Provo solo una grande
amarezza. Cosa può dire una figlia che a distanza di 27 anni non ha ancora
avuto una verità vera, che anzi ha preso coscienza di una verità
mistificata? » . Sono alcuni poliziotti sotto accusa per quella mistificazione:
« Se ci sono stati dei servitori dello Stato che non hanno fatto correttamente
il proprio lavoro — taglia corto Gabrielli — credo che lo Stato abbia il dovere
di chiedere assolutamente scusa».
Ma ancora nessuno ha chiesto scusa ai figli di Paolo Borsellino. Però, adesso,
un ministro della Repubblica dice senza mezzi termini: « Ritengo che la
magistratura stia facendo tutti gli accertamenti, seppure, come ho già
dichiarato, il fatto che dopo tutti questi anni non ci sia ancora la verità è
già un fallimento dello Stato » . Così il ministro della Giustizia Alfonso
Bonafede, in via D’Amelio.
Un pentito di Stato
Forse, davvero l’unica strada per trovare la verità sarebbe un pentito di
Stato. Uno dei pubblici ministeri del processo Trattativa Stato- mafia,
Vittorio Teresi, è ancora più preciso, sul palco di via D’Amelio: « Siamo
riusciti a trovare un pezzetto di verità, ne mancano ancora molti, ma confido
nel fatto che ci arriveremo. Arriveremo a una verità piena. Certo, se qualche
politico si decidesse a parlare, anziché aspettare 21 anni prima di farlo, non
sarebbe male » . Un politico, dunque. Oggi i fantasmi di via D’Amelio
cominciano poco a poco a prendere forma.
La Repubblica Palermo, 20 luglio 2019
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