di A.
BOLZONI e F. TROTTA
Quello che
una sentenza di Corte di Assise definisce «uno dei più gravi depistaggi della
storia giudiziaria italiana» non è ancora un caso chiuso e destinato agli
archivi. A ventisette anni dall'esplosivo che ha fatto saltare in aria il
procuratore Paolo Borsellino e i cinque poliziotti che erano intorno a lui (i
loro nomi: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie
Cosina e Claudio Traina) c'è qualcosa di sempre più oscuro che affiora dal
passato e che fa molta paura. Per esempio: "Soggetti inseriti negli apparati dello Stato” indussero il falso
pentito Vincenzo Scarantino a rendere false dichiarazioni sulla strage. E poi:
a quelle indaginii - ("Richiesta di collaborazione decisamente irrituale”)
- parteciparono su invito del procuratore capo di Caltanissetta Giovanni
Tinebra agenti dei servizi segreti guidati da quel Bruno Contrada che, qualche
mese dopo, sarebbe stato arrestato per concorso esterno in associazione
mafiosa. E ancora: il bersaglio del massacro, Paolo Borsellino, non fu mai
ascoltato dalla magistratura che investigava su Capaci durante quei 57 giorni
che separarono la sua uccisione da quella del giudice Giovanni Falcone.
Ma leggendo le 1856 pagine della sentenza del cosiddetto Borsellino quater (presidente della Corte Antonio Balsano, giudice a latere Janos Barlotti, pubblici ministeri dell'inchiesta i procuratori Amedeo Bertone, Gabriele Paci e Stefano Luciani) ci sono tracce che orientano verso altri misteri e ci sono piste che dirigono al cuore dello Stato.
In questa serie del Blog abbiamo selezionato (e sintetizzato per ovvie ragioni di spazio) brani della sentenza e alcune testimonianze - scegliendo le più significative dal processo - per ricostruire l'intero affaire.
Si intravedono "suggeritori” e "talpe”, mandanti ed esecutori di un'inchiesta pilotata per trasportare lontano. A giudizio ci sono già tre poliziotti come Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, accusati di depistaggio e con Ministero dell'Interno che ha deciso di non costiturisi parte civile contro di loro.
Sotto indagine per concorso in calunnia aggravato dall'avere favorito Cosa Nostra sono finiti anche gli ex pm di Caltanissetta Annamaria Palma (che è avvocato generale a Palermo) e Carmelo Petralia (che è procuratore aggiunto a Catania), tutti e due nel 1992 in quel pool di magistrati che stava indagando sulla strage di via D'Amelio. Fra le motivazioni della sentenza del Borsellino quater c'è più di un passaggio che punta il dito contro la magistratura del tempo: «Un insieme di fattori avrebbe logicamente consigliato un atteggiamento di particolare cautela e rigore nella valutazione delle dichiarazioni di Scarantino, con una minuziosa ricerca di tutti gli elementi di riscontro, secondo le migliori esperienze maturate nel contrasto alla criminalità organizzata».
Indagini molto complesse. Indagini sulle precedenti indagini. Con un pezzo di Stato alla ricerca della verità e un pezzo di Stato che la verità ha cercato di coprirla. E in mezzo il dolore e le grida dei familiari. Come quelle di Fiammetta Borsellino: «Il silenzio degli uomini delle istituzioni è peggio dell'omertà dei mafiosi».
Hanno
collaborato Elisa Boni, Carolina Frati, Silvia Giovanniello, Ludovica Mazza,
Alessia Pacini, Valentina Nicole Savino e Asia Rubbo
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