Leonardo Sciascia e Vincenzo Consolo fotografati da Giuseppe Leone |
di Marcello Benfante
Esce “ Essere o no scrittore” curato da Rosalba
Galvagno che si legge come un avvincente racconto di vite parallele
All’inizio è solo l’«Egregio signor
Sciascia» , l’illustre «Conterraneo» . Una specie di mostro sacro cui
rivolgersi con tono reverenziale: «Mi permetto inviarle il mio libro La
ferita dell’aprile. Spero che questo primo contatto possa dare inizio a
futuri colloqui. La ringrazio intanto per l’attenzione che vorrà prestarmi e Le
porgo molti cordiali saluti» . A vergare questa lettera, datata 6 dicembre
1963, è un timido, quasi impacciato Vincenzo Consolo: fresco dell’esordio, col
carico di attese dunque e di inibizioni tipico del debuttante.
Muovono la mano del giovane scrittore la «riconoscenza per la parte che
hanno avuto i Suoi libri nella mia formazione» e insieme «il desiderio
d’essere letto» . Passano solo sei giorni e Sciascia risponde con generosità e
slancio: «L’ho subito letto: e con interesse vivissimo. E conto di scriverne,
appena mi sarò liberato dal lavoro cui per ora attendo, su L’Ora; o
altrove se su questo giornale qualcuno mi precederà».
Le missive citate aprono il carteggio tra Vincenzo Consolo e Leonardo
Sciascia ora raccolto nel prezioso volumetto “Essere o no scrittore. Lettere
1963- 1988” curato da Rosalba Galvagno (Archinto, 86 pagine, 14 euro), che si
legge come un avvincente racconto di vite parallele. Sciascia viene subito
folgorato dalle particolarità storico-linguistiche della scrittura di Consolo
(così diversa dalla sua) e su di esse, nella lettera di risposta, chiede
delucidazioni allegando alla seconda missiva un ritaglio che riguarda il premio
Soverato, della cui giuria Sciascia stesso fa parte: «Mi pare che il tuo libro
potrebbe concorrere con ottime possibilità». Per poi concludere: «La mia azione
dentro la giuria sarà conseguente a tale convinzione».
Lo scrittore di Racalmuto si sbilancia al punto da confessare in una
lettera successiva (12 aprile 1964): Fino a questo momento i libri che ho
ricevuto dalla segreteria del premio sono da eliminare alla prima cernita. Non
mi pare, oggettivamente, che possa venir fuori un libro migliore del tuo, tra
gli autori esordienti» . I giochi dovrebbero essere già fatti e Sciascia si mostra
quasi galvanizzato: «Io non vedo, onestamente, nessun lavoro che sia da
preferire al tuo» (10 giugno 1964). Ma alla fine si aggiudicheranno il
riconoscimento Michele Ranchetti e Salvatore Bruno.
Il commento alla fine, assai amaro, si rivela in qualche modo anche
profetico: «In Italia non si fa un premio per un libro, ma un libro per un
premio» . La delusione è cocente, lenita dal rapporto di amicizia che si va
cementando: «Io ti sono grato — scrive Consolo — di tutte le care cose che mi
scrivi. E davvero vorrei, anch’io, avere più frequenti e prolungate occasioni
di incontrarti» . Il sodalizio ormai è avviato: la corrispondenza si fa sempre
più fitta e prodiga di confidenze spontanee, anche relativamente ad aspetti
legati alla vita di ogni giorno. La familiarità ormai si taglia a fette:
l’autore di “Retablo” chiede a Leonardo una mano per risolvere i suoi problemi
di lavoro. «Alla fine di maggio, infatti, mi scade il contratto alla Rai e non
so proprio quello che capiterà».
Tra le lettere scritte nel periodo che va dalla metà degli anni Sessanta
alla fine del decennio successivo spicca quella del 15 aprile 1967, nella quale
Consolo palesa i suoi sentimenti di lettore-ammiratore: «Nel mio natio borgo
scipito, leggevo i tuoi primi libri e mi aprivo e apprendevo da questo mio
scrittore e siciliano ideale del cuore della Sicilia. Non sorridere — nel tuo
modo agghiacciante — di questa dichiarazione d’amore».
La Repubblica Palermo, 30 giugno 2019
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