di SALVO PALAZZOLO
Le nuove intercettazioni dei dialoghi di Francesco
Paolo Arata, consigliere del ministro dell’Interno È accusato di aver elargito
mazzette all’assessorato Energia per sbloccare parchi eolici e fotovoltaici
«Questi qua sono stati tutti pagati » , diceva con orgoglio al figlio
mentre stava per entrare negli uffici della Regione siciliana. Francesco Paolo
Arata, il consulente per l’Energia di Matteo Salvini, era davvero un gran
dispensatore di mazzette. «Quanto gli abbiamo dato a Tinnarelli? » ,
sussurrava a proposito del dirigente che si occupava delle autorizzazioni per i
parchi eolici, Alberto Tinnirello. « Quello è un corrotto » , diceva di un
altro funzionario, Giacomo Causarano: «Un amico, una persona a noi vicina » .
Adesso il faccendiere e i due regionali sono indagati per corruzione.
A scorrere le ultime intercettazioni dell’inchiesta, depositate nei giorni
scorsi dalla procura di Palermo al tribunale del riesame, emerge tutto
l’orgoglio del tangentista che riesce a sbloccare quelli che lui chiama
ostacoli, e invece sono le regole. Emerge anche una grave consapevolezza: Arata
sembra rendersi conto di fare affari in Sicilia con personaggi « a rischio » .
Per le loro frequentazioni mafiose. Da una parte Vito Nicastri, il “ re”
dell’eolico ritenuto vicino all’entourage del latitante Matteo Messina Denaro;
dall’altro Francesco Isca, imprenditore oggi indagato per associazione mafiosa.
Confessione in diretta
Per comprendere il sistema che ruotava attorno ad Arata converrà riprendere
il filo di questa inchiesta dal fiume di soldi che sarebbero girati con le
mazzette. Quella che Francesco Paolo Arata, l’ex deputato di Forza Italia
finito nella Lega, avrebbe promesso all’ex sottosegretario ArmandoSiri — 30mila
euro per un emendamento che doveva sbloccare tanti finanziamenti. Ma anche
tante altre tangenti, che hanno trasformato l’assessorato siciliano all’Energia
nel feudo personale del consigliere di Salvini. Le inchieste delle procure di
Roma e Palermo stanno procedendo a ritmi serrati, l’analisi dei computer e dei
materiali sequestrati il 17 aprile scorso hanno già portato riscontri ritenuti
interessanti.
Ma il principale accusatore di questa indagine resta ancora il principale
indagato, con le sue confessioni in diretta, intercettate dalla Direzione
investigativa antimafia di Trapani. « Positano sa che abbiamo dato i soldi in
nero o fa finta di non saperlo?», diceva di un nuovo socio. Quello che chiamava
“Tinnarelli” era Alberto Tinnirello, il responsabile del “ Servizio terzo —
autorizzazioni e concessioni” dell’assessorato regionale all’Energia: «
Tinnarelli è stato molto bravo, è venuto su, è stato con noi fino alle
otto», raccontava soddisfatto Arata al figlio di Vito Nicastri, Manlio, subito
dopo una riunione fiume nell’assessorato di viale Campania. Per sbloccare
l’ennesima pratica.
Uno dei funzionari collaboratori di Tinnirello, Giacomo Causarano, non era
da meno. Per qualche tempo, però, l’avevano trasferito: «Giacomino è vent’anni
che sta in quel settore — sbottava il figlio di Arata, Francesco — ma che senso
ha spostare un funzionario che… » . Secca la risposta del padre: « Perché è
corrotto » . Ancora un altro straordinario assist dell’indagato alla procura.
Qualche tempo dopo, Causarano era ritornato al suo posto. E Arata junior
esultava: « Meno male che l’hanno rimesso lì » . Giacomino Causarano era
davvero un funzionario solerte: una volta andò addirittura a casa del giovane
Arata, a Castellammare del Golfo, per portargli una notizia. E anche quella
visita non è sfuggita alla Dia.
“Semplificazione”
Causarano aveva avuto un’idea che entusiasmava i Nicastri: « Sfruttando il
principio del silenzio- assenso fra le pubbliche amministrazioni richiamato
dall’articolo 3 della legge Madia — annota la Dia in un rapporto alla procura —
il dipartimento all’Energia avrebbe potuto rilasciare alle aziende di Arata e
Siri le “ autorizzazioni uniche”, senza attendere verifiche di assoggettabilità
da parte dell’assessorato al Territorio».
La parola d’ordine di Arata era sempre la stessa: semplificare. In fondo,
la stessa che aveva utilizzato sul palco della convention della Lega, quando
disse che la politica deve sostenere i piccoli imprenditori impegnati nel
settore dell’energia. Evidentemente fino alle estreme conseguenze, che però
adesso l’hanno messo nei guai. La Dia l’ha seguito dall’inizio dell’anno
scorso, da quando è entrato in contatto con il “re” dell’eolico.
Relazioni pericolose
Ed ecco il capitolo più delicato di tutta questa storia, che ha portato Arata
a essere indagato per intestazione fittizia con l’aggravante di mafia. Il
consulente di Salvini aveva un socio occulto, Vito Nicastri, l’imprenditore di
Alcamo ritenuto vicino all’entourage del superlatitante Matteo Messina Denaro:
« Io sono socio di Nicastri al 50 cento — diceva Arata a un amico avvocato —
nella sostanza abbiamo un accordo societario, di co- partecipazione ».
Ora, attraverso le nuove carte depositate al Riesame, possiamo raccontare
dell’altro, dei rapporti fra Arata e un altro imprenditore siciliano molto
particolare, Francesco Isca, originario di Calatafimi, che è indagato per
associazione mafiosa: «È un’impresa di rischio» , diceva Arata parlando dei
loro affari in comune. E ogni soglia di prudenza era stata superata. Nel 2017
Arata e la moglie avevano addirittura comprato una società da Isca, la “Ambra
Energia srl” con sede a Milano. Oggi uno degli ultimi pentiti della mafia
trapanese, Nicolò Nicolosi, racconta che Isca riceveva finanziamenti dalle
famiglie mafiose Musso e Crimi. E per sdebitarsi, sosteneva la famiglie dei
detenuti. Mentre era in società con il consulente del ministro dell’Interno.
La
Repubblica Palermo, 12 giugno 2019
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