Ibrahim fa parte della loro famiglia da un anno e mezzo. Quando è arrivato
a casa aveva appena compiuto 18 anni e aveva lasciato lo Sprar dove era stato
ospite fino a quel momento. La famiglia Maniscalco è una di quelle che ha
risposto all’appello di Refugees Welcome e che ha aperto le porte della sua
casa a Ibrahim, originario della Guinea. Uno dei tanti neo maggiorenni che
usciti fuori dalla rete di protezione dei minori stranieri non accompagnati
rischiava di finire in strada.
«E’ come un figlio a tutti gli effetti — dice Giando Maniscalco, 67 anni,
dirigente regionale in pensione — Ogni volta che al ricevimento dei professori
ci raccontano che ha ottimi voti mi sento orgoglioso come un padre. Ecco provo
un rinnovato orgoglio paterno». Ibrahim che come tanti migranti è
arrivato in Sicilia a bordo di un gommone affrontando da solo un lungo viaggio
pieno di rischi frequenta il terzo anno dell’istituto Nautico e vuole diventare
capitano di coperta dopo che avrà conseguito il diploma. La famiglia Maniscalco
ha già due figli di 31 e 32 anni che adesso studiano e lavorano lontano da
Palermo.
«Con loro e con mia moglie Patrizia Picciotto — dice Maniscalco — abbiamo
da subito condiviso questa scelta. Dico sempre che si può quel che si fa e non
il contrario, e noi siamo l’esempio concreto di questo. Ibrahim vive in casa
nostra con i tempi e l’organizzazione di un ventenne. All’inizio ci siamo posti
delle semplici domande, come, per esempio, “ avrà le chiavi di casa?” La
risposta è stata “ ovviamente sì” perché le deve usare e deve potere uscire ed
entrare in base alle sue necessità».
La casa dei Maniscalco è stata sempre aperta agli amici e alle fidanzate
dei figli, per loro non c’è altro modo di intendere la famiglia.
«Siamo una famiglia a fisarmonica — dice il capofamiglia — A volte siamo in
cinque, a volte siamo in tre, a volte di più. Ciascuno di noi ha una
responsabilità verso i figli o verso i proprio cari in genere per esempio. In
questo caso si tratta di assumersi una responsabilità in più. Per noi è del
tutto normale. Non c’è nulla di eccezionale in quello che facciamo. Amici e
parenti ci hanno sempre sostenuto, anche mia madre novantenne è
entusiasta della nostra scelta».
Ibrahim è « una macchina di energia » , come racconta suo « padre » . « Ama
tutti gli sport — dice Maniscalco — Dal calcio al nuoto alla bicicletta.
Condividiamo anche tante passioni insieme. Ogni fine settimana andiamo in
campagna e abbiamo in comune anche diverse letture. Ha conosciuto l’opera di
Sciascia, per esempio, e ha cominciato a leggere i suoi libri».
La famiglia sostiene tutte le spese di Ibrahim: dallo studio allo sport,
dallo svago alla salute. «Proprio come si fa con un figlio — dice Maniscalco —
Noi lo sosteniamo, lui adesso ha il compito di studiare e di costruirsi un
futuro. Finché non sarà autonomo, ma anche dopo, noi ci saremo ».
Ecco perché, quando un anno e mezzo fa in questura hanno compilato il
modulo per definire le modalità di accoglienza in casa di Ibrahim, alla domanda
“ per quanto tempo?”, hanno risposto “ a tempo indeterminato”. «Si tratta di un
legame forte — dice Maniscalco — che non può avere una scadenza
sulla carta».
La Repubblica Palermo, 11 giugno 2019
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