di Giusi Spica
Al corteo organizzato per martedì aderiscono le
associazioni anti razziste i comboniani, ma anche l’università che ha approvato
un documento di sostegno
Sfileranno lungo le vie della città per dare
sostegno alla capitana della Sea Watch arrestata per «resistenza e violenza
contro una nave da guerra » e recapitare al governo il messaggio che « salvare
vite umane non è un reato » .
Dalle associazioni antifasciste e antirazziste a
quelle religiose, dal sindaco ai docenti universitari, un pezzo della società
civile di Palermo si schiera con la ong olandese, sotto accusa per aver fatto
sbarcare a Lampedusa 43 profughi che da 17 giorni cercavano un attracco sicuro,
violando il blocco del decreto sicurezza bis del governo. In prima fila contro
la politica dei porti chiusi anche l’Ateneo di Palermo, autore di un documento
firmato da Senato accademico e cda in difesa di Carola Rackete, e il primo
cittadino Leoluca Orlando, che dopo aver annunciato la cittadinanza onoraria
per l’equipaggio, salirà a bordo della nave di Greenpeace per un incontro sul
dovere di salvare vite umane in mare.
Tutti in piazza
Il corteo organizzato da Forum Antirazzista, Legambiente e Arci partirà
martedì alle 18 da piazza Verdi, farà tappa in prefettura e si concluderà al
porto con un presidio fino alle 22, per chiedere il rilascio della capitana e
il dissequestro delle navi Sea Watch 3 e Mar Ionio di Mediterranea. «Hanno
salvato da morte sicura 40 persone e assicurato che le loro precarie condizioni
di salute non si aggravassero ulteriormente. E questo nel pieno rispetto della
normativa internazionale e delle oggettive ragioni umanitarie, che non possono
in nessun caso essere superate da decreti nazionali ( e incostituzionali) » , è
l’appello degli organizzatori, che la settimana scorsa hanno già organizzato
sit- in in Cattedrale e piazza Bellini e sfilato sul carro di Mediterranea
antirazzista nel giorno del Pride. La manifestazione sta raccogliendo una
pioggia di adesioni: dai sindacati Cobas, Cgil, Cisl e Uil alle associazioni
Mediterraneo, Mediterraneo Antirazzista, laici e missionari comboniani, Agesci,
Palermo Pride, Rifondazione comunista, Sinistra comune, Udi Palermo onlus e una
cinquantina di altre sigle. «Crediamo che inviare una nave della guardia di
finanza per interdire l’accesso al porto sia stata una scelta provocatoria da
parte del governo, per poter accusare la capitana di aver attaccato una nave
militare », argomenta Fausta Ferruzza, portavoce di Forum antirazzista.
La difesa dei prof
E’ proprio questo, il conflitto tra la legge di uno stato sovrano e il
dovere di salvare vite umane, ad animare il dibattito nel Paese. L’università
di Palermo guidata dal rettore Fabrizio Micari, unica finora fra gli Atenei
italiani, ha preso posizione dichiarando che salvare vite in mare non è solo un
dovere morale, ma un obbligo giuridico. « L’unico porto offerto alla Sea Watch
3 è stato Tripoli: la capitale di un Paese in guerra dove l’Onu ha dichiarato
che ogni giorno si consumano indicibili orrori ai danni delle persone migranti.
Non riconducendo in Libia i naufraghi soccorsi, la capitana della nave ha
semplicemente rispettato il divieto di refoulement, oltre che i principi più
elementari di etica e umanità. A quel punto, nel rispetto del diritto
internazionale e, segnatamente, della Convenzione di Amburgo, si è diretta
verso l’isola di Lampedusa, porto sicuro, che consentiva una
ragionevole deviazione di rotta».
Nessuno tocchi Caino
Nessun reato, insomma, può essere attribuito a Rackete. Nemmeno la violenza
contro una nave da guerra. Ne è convinto Aldo Schiavello, professore di
Filosofia del Diritto: «Rackete non è la novella Antigone della tragedia
sofoclea, che sfida le leggi dello Stato in nome di quelle non scritte degli
dei. Le sue scelte sono ben supportate da norme di rango superiore quali le
convenzioni internazionali. Ma anche ammettendo che speronando la motovedetta
abbia commesso un crimine, ci sono almeno due scriminanti giuridiche che le
vengono in soccorso. Una è lo “stato di necessità” previsto dall’articolo 54
del codice penale, perché c’erano 43 persone a bordo non ancora in salvo. La
seconda è l’articolo 51 del codice penale, che prevede che un fatto illecito
smette di essere illecito se è compiuto “ in adempimento di un dovere”, in
questo caso l’obbligo di soccorso in mare previsto nel diritto internazionale e
recepito dall’articolo 10 della nostra Costituzione, quindi gerarchicamente
superiore al decreto Salvini».
Le altre iniziative
Intanto ieri è arrivata in città la nave Rainbow Warrior di Greenpeace, che
ha deciso di “deviare” idealmente dallo scopo della visita – un tour di
sensibilizzazione sui cambiamenti climatici – per parlare del caso Sea Watch
con un incontro che si terrà domani alle 11 a bordo e vedrà la partecipazione
del sindaco e dei portavoci della ong olandese. «Greenpeace - dice il direttore
esecutivo Giuseppe Onufrio - è un’associazione nata sul mare. E la prima regola
del mare è che non si lascia nessuno in mare. Salvare vite non può, in nessun
caso, essere considerato un crimine. Le ong che si occupano di attività di
ricerca e salvataggio non dovrebbero essere criminalizzate, ma coinvolte nei
meccanismi di cooperazione internazionale».
Un tema che è stato al centro anche della prima assemblea dell’associazione
Mediterranea tenuta ieri a Palermo, con la partecipazione di Giuseppe
Savagnone, direttore dell’ufficio per la cultura della diocesi. «Ci impegneremo
attraverso l’associazione con chi già è impegnato nel campo dell’integrazione,
penso per esempio all’attività di Cosimo Scordato e don Meli, per favorire
politiche a tutela dei diritti umani ed elaborare modelli di integrazione » ,
dice il presidente Marco Zummo, impegnato nell’organizzazione di un Festival del
Mediterraneo. Altro segno che il fronte per Sea Watch si allarga.
La Repubblica Palermo, 30 giugno 2019
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