Carola Rackete |
di ROBERTO VECCHIONI
Carola Rackete ha dentro di sé l'ultima frase di Edipo: c'è una sola parola che ci libera dall'oscurità. E quella parola è amore
Caro direttore, è proprio vero che non c'è niente di nuovo sotto il sole, quel (s)elios che brilla e illumina come selenio. Qualsiasi storia, intreccio, episodio, qualsiasi accidente, doloroso percorso, strazio o trionfo che la vita ci presenti nelle sue infinite variazioni c'era già stato, era lì da 2500 anni nella tragedia, nella commedia, nella lirica o nell'epica, nel romanzo e nell'epigramma dell'antica Grecia. Qualsiasi opera letteraria - dice Sepulveda - nasce o dall'Iliade o dall'Odissea, sono frantumate anime in gara con se stesse tutti i re Shakespaeriani pari agli eroi sotto Ilio. Romantici dibattuti fra realtà e sogno, Goethe e compagnia, pari ad Ulisse Robinson di Swift, l'illuminista e Bloom di Joyce, peregrino dell'indefinibile tragedia di un solo giorno.
I greci avevano teorizzato già nell'essere o divenire due
inconciliabili e antitetiche sembianze della verità. Tutto è doppio, è duplice
nell'universo e lo sarebbe stato fino a Hegel, fino a noi. E duplici intendevano
pure le forme del vivere sociale, dello stare insieme, di governare una polis,
uno stato. La prima, "catabolica", tendeva a stringere, rinchiudersi,
ammucchiare, difendersi, non rischiare l'ignoto; la seconda al contrario
apriva, usciva, indagava il diverso, accoglieva, sfidava l'ignoto. La paura del
diverso, appunto, ha caratterizzato tutto il neolitico. Ogni evento raro,
sconosciuto era all'indice: il mestruo, il ritorno dalla guerra, il neonato
malforme, la grandine, l'animale sconosciuto, mandavano in tilt un intero clan.
I totem sono simboli di parentela protettiva: se mi imparento con la natura,
con gli animali, io può darsi che me la cavo. In fondo ogni "destra"
è una società di cacciatori-raccoglitori.Carola Rackete ha dentro di sé l'ultima frase di Edipo: c'è una sola parola che ci libera dall'oscurità. E quella parola è amore
Caro direttore, è proprio vero che non c'è niente di nuovo sotto il sole, quel (s)elios che brilla e illumina come selenio. Qualsiasi storia, intreccio, episodio, qualsiasi accidente, doloroso percorso, strazio o trionfo che la vita ci presenti nelle sue infinite variazioni c'era già stato, era lì da 2500 anni nella tragedia, nella commedia, nella lirica o nell'epica, nel romanzo e nell'epigramma dell'antica Grecia. Qualsiasi opera letteraria - dice Sepulveda - nasce o dall'Iliade o dall'Odissea, sono frantumate anime in gara con se stesse tutti i re Shakespaeriani pari agli eroi sotto Ilio. Romantici dibattuti fra realtà e sogno, Goethe e compagnia, pari ad Ulisse Robinson di Swift, l'illuminista e Bloom di Joyce, peregrino dell'indefinibile tragedia di un solo giorno.
Quando nel regno di Tebe due scriteriati fratelli, figli di Edipo, si prendono a mazzate per salire al trono, succede che quello legittimo la spunta ma crepa e l'altro, l'illegittimo crepa pure e manco la spunta. E qui salta fuori Salvini, che allora si chiamava Creonte, fratello di Giocasta, regnante ad interim nell'attesa speranzosa che i due fratelli (le due anime del Pd) si facessero fuori l'un l'altro, Creonte ordina che il buono "il bianco" Eteocle venga seppellito con tutti gli onori, ma il cattivo, "il nero", rimanga insepolto.
A questa decisione si oppone fermamente la sorella dei due, una meravigliosa, indomita ragazza: Antigone. Il suo scontro con Creonte è epico. Creonte non si sposta di un centimetro: la legge dice così e basta, caso chiuso. Ma Antigone gli tiene testa con una fierezza che la fa forte dentro di un'altra legge più alta, più universale delle convinzioni umane. No. Lei seppellirà il fratello a qualsiasi costo, a qualsiasi conseguenza potrà andare incontro. È la madre di tutte le battaglie il conflitto eterno tra ragione e cuore. La legge è qualcosa di alto, di sacro. Socrate, che è innocente, non si pone nemmeno il quesito, potrebbe benissimo scansarla, fuggire, tutto è già preparato dai discepoli. Ma è un'altra storia. Socrate aveva votato lui stesso quella legge, la coerenza è per lui imprescindibile. Carola-Antigone non ha dubbi, non ha bilance, su cui pesare il male e il bene, il vero e il falso: lei entrerà in quel porto qualsiasi siano le conseguenze. La dabbenaggine degli uomini è credere che un contratto sociale sia ferro temprato da Dio in persona. Può anche darsi, ma certo l'umanesimo è diamante; di una luce che stravolge e sconvolge quando senti di averla dentro. Io me la vedo Carola, bella, ritta sul ponte a prendere quella decisione che per lei è solamente normale. Nessun tentennamento, nessuna paura, un riso naturale, convinto, gli occhi semichiusi nel sole accecante, nella certezza che tutti gli uomini sono diamanti. Lei non lo sa, ma le ha dentro di sé le ultime parole che Edipo in punto di morte aveva detto ad Antigone disperata: "Non piangere, figlia mia, c'è una sola parola che ci libera dall'oscurità, dal male del mondo. E quella parola è amore".
La Repubblica, 29 giugno 2019
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