di ADRIANA FALSONE
Uno scrigno di ricordi personali, ormai patrimonio di tutti. Dalla sua terrazza, il commissario Montalbano si affaccia guardando il mare di Vigata: da quella stessa terrazza per decenni Costanza Diquattro e la sua famiglia hanno condiviso estati, pasta con i ricci e visite. La proprietaria di una delle case più ammirate della tv, apre ancora una volta la porta di quei ricordi per raccontarli in un libro, appena uscito per Baldini e Castoldi. "La mia casa di Montalbano. La storia da romanzo della villa di Puntasecca, da Bufalino a Camilleri" racconta di « vita vissuta, quotidiana banalità e straordinari eventi fortuiti — spiega Costanza Diquattro, alla guida del Teatro di famiglia Donnafugata — casa è il posto dell’anima, ad ogni angolo un segreto che solo noi possiamo comprendere. Il pianoforte che suona Livia, l’eterna fidanzata del commissario, per me sarà sempre il pianoforte del nonno, in cui ho iniziato a suonare.
Ed è accordato ancora
adesso ».Uno scrigno di ricordi personali, ormai patrimonio di tutti. Dalla sua terrazza, il commissario Montalbano si affaccia guardando il mare di Vigata: da quella stessa terrazza per decenni Costanza Diquattro e la sua famiglia hanno condiviso estati, pasta con i ricci e visite. La proprietaria di una delle case più ammirate della tv, apre ancora una volta la porta di quei ricordi per raccontarli in un libro, appena uscito per Baldini e Castoldi. "La mia casa di Montalbano. La storia da romanzo della villa di Puntasecca, da Bufalino a Camilleri" racconta di « vita vissuta, quotidiana banalità e straordinari eventi fortuiti — spiega Costanza Diquattro, alla guida del Teatro di famiglia Donnafugata — casa è il posto dell’anima, ad ogni angolo un segreto che solo noi possiamo comprendere. Il pianoforte che suona Livia, l’eterna fidanzata del commissario, per me sarà sempre il pianoforte del nonno, in cui ho iniziato a suonare.
Risate, a volte lacrime, scene di vita domestica si susseguono nei ricordi
di Costanza Diquattro. « Questa casa era il centro delle nostre estati, che non
vedevamo l’ora che iniziasse e che mai finisse. Era la festa di compleanno del
nonno che coinvolgeva tutto il paese, era quella mia e di mia sorella, erano i
bagni silenziosi e le risate. Era tutto questo e forse anche per questo quando
proposero al nonno di trasformare la casa in un set, il suo " no"
sembrò tassativo. Ricordo ancora le sue parole: " Questa è casa mia, prima
era di mio padre e prima ancora di mio nonno che la comprò come un magazzino
per la salamoia del pesce. Negli anni l’abbiamo trasformata nella casa che è.
Qui dentro c’è la mia vita, quella di tua madre, la nostra storia e il nostro futuro.
Ma che ci può interessare alla gente di vedere un film girato in questa casa?
Mio nonno disse subito di no, poi mio padre di regalò " Il ladro di
merendine" e tutto cambiò. Pochi mesi fa nel riordinare dei volumi del
nonno ho trovato una copia vissuta de Il ladro di merendine. C’era scritto
Natale 1999, regalo di mio figlio Pietro. Oggettivamente bello, la casa è
perfetta ».
Punta Secca diventa così Marinella, un ricordo privato si trasforma nel
desiderio di tutti, affacciarsi da quella terrazza per essere un po’
Montalbano, prova l’ebbrezza di svegliarsi guardando lo stesso mare del
commissario, di sorseggiare caffè sulla terrazza di Marinella e leggere magari
proprio Camilleri, sul quel divano bianco che ha risolto moltissimi casi.
«L’estate era un viavai continuo e perenne di visite in quella casa. Per noi
siciliani la visita è uno scambio che avviene in due occasioni:
villeggiatura e morti. E la gente che si riversava in casa lo faceva ancor di
più a Puntasecca, poiché l’innata ospitalità dei nonni e la naturale
predisposizione di quella casa a rendersi un luogo di passaggio e di ristoro
conciliavano le visite la loro duratura permanenza», dice Diquattro nel libro.
Una casa che ha ospitato in un tempo insospettabile un burbero signore
distinto, Gesualdo Bufalino, accompagnato da Elvira Sellerio: « Ogni visita era
una sorpresa, era un ricambiare momenti di condivisione che io e mia sorella
Vicky a volte guardavamo spesso dalle persiane — aggiunge — poi tutto cambiò
quando le puntate andarono in onda. L’isolato borgo marinaro, delizia
dell’infanzia e croce dell’adolescenza, diventò una vetrina dove noi sembravamo
pesci rinchiusi dentro un acquario. La mia casa divenne estranea, diventando
quella di qualcun altro. La scelta di trasformare l’immaginato Porto Empedocle
in una inesistente Vigàta incontrò inizialmente la diffidenza di alcuni ma
presto, perfino Camilleri, disse che la Palomar era stata perfettamente in
grado di concretizzare ciò che lui vedeva nella sua mente».
Aggiunge Alberto Sironi: « Il regista cerca quello che non c’è nelle
parole, quello che sta sotto le parole. Per noi il significato vero dei luoghi
è più importante delle parole stesse. Una casa che vuole accogliere, proprio
come faceva il nonno, aperta all’altro, all’estraneo che ha bisogno oppure solo
per farsi una chiacchierata ».
E’ passato del tempo dal quel primo ciak del 1998, cambiando il volto di un
paese. « Fu un attimo, la porta si chiuse alle nostre spalle e io ebbi la
sensazione che nessuno l’avrebbe aperta mai più. Per molti anni il ricordo di
quella casa rimase sopito e a tratti lacerante. Ci vollero molti anni prima che
riuscissi a comprendere che stavo semplicemente condividendo con il mondo il
mio posto felice — racconta Costanza Diquattro — Di fatto questo fantomatico Montalbano
era venuto e mi aveva rubato la casa, che non è un involucro di muri sul mare
ma un scrigno di ricordi che non ho avuto il tempo di impacchettare e portare
via. Per il mondo è il terrazzino di Montalbano, per me è un terrazzo di
confidenze. Io e il nonno di fronte a questo mare in lunghissimi silenzi o in
sincere confessioni intervallare da retate improvvise di parenti vari ci siamo
detti e raccontati più di quanto io stessa riesca a ricordare. E ogni racconto
aveva una sola morale: vivere godendo, godendo per vivere».
La Repubblica Palermo, 25 giugno 2019
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