di Patrizia Gariffo
Mio figlio Domenico ha la sindrome di Down e da quando è nato, 49 anni fa,
lottiamo per rendere la sua vita migliore. La condizione sociale e sanitaria era ed è rimasta un fatto privato, le
famiglie sole e disinformate, possono poco senza l’aiuto di specialisti. Il
sistema sanitario offre ore di riabilitazione insufficienti per chi ha un
ritardo mentale grave. Con una riabilitazione intensiva, invece, Domenico ha
fatto piccoli progressi, raggiunti grazie al nostro impegno.
Salvatore Puglisi
Puglisi è un combattente, a dargli forza è il figlio, di cui ha parlato nel
libro “Domenico, l’amore più grande”.
Raccontando la sua storia ha voluto dare un messaggio a tante famiglie che,
da sole, poco informate e con un servizio di riabilitazione insufficiente, non
hanno la possibilità di migliorare le condizioni dei loro figli. Dal 1970, anno
in cui è nato Domenico, a oggi sul tema della riabilitazione infantile è
cambiato poco, purtroppo.
L’intenso lavoro riabilitativo, che sarebbe
necessario per aiutare un bambino affetto da ritardo mentale grave non è
garantito dalle istituzioni. A Lentini, dove vive lui, ma non solo qua, la riabilitazione
erogata è di massimo 4 ore settimanali che, però, nei casi più difficili si
riducono perché c’è una fase di ambientamento del bambino che non può essere
trascurata. Invece, spiega Puglisi, ciò che è necessario è «un metodo
riabilitativo basato sulla mobilità psicomotoria passiva, d’intensa
stimolazione sensoriale, che solo la famiglia può mettere in atto», come quello
usato con Domenico e che si chiama Doman. Esso è riconosciuto dal Servizio
sanitario nazionale ma è poco attuato perché richiede molte ore giornaliere di
riabilitazione. Non meno di 3 ore al giorno di attività psicomotoria atta a
stimolare passivamente gli arti e capace di mettere in moto il processo di
elaborazione dei dati che arrivano dall’ambiente esterno.
Informazioni e stimoli che un bambino con una lesione cerebrale non può
metabolizzare da solo, poiché non ha un normale funzionamento del sistema
nervoso centrale. Il deficit, poi, peggiora, se non c’è un adeguato supporto
familiare e specialistico, faticoso ma che «può permettere dei risparmi di
spesa per la sanità», dice il nostro lettore. Il suo auspicio, alla luce
dell’esperienza con Domenico, dunque, è che le famiglie abbiano un vero
sostegno e una chiara informazione, che le guidi e le aiuti a comprendere come
aiutare davvero i loro figli. Questo è possibile solo grazie all’incremento
delle ore di riabilitazione, che permette al bimbo di sviluppare le sue
capacità, pur ridotte, e diventare un adulto più autonomo, nei limiti delle sue
possibilità. Ciò è vantaggioso per lui, la famiglia e la società.
La Repubblica Palermo, 20 giugno 2019
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