di CLAUDIO TITO
ROMA - I sovranisti e gli anti europeisti propongono «un’illusione se
non un vero e proprio inganno». L’Unione europea è nata «dall’immane disastro
della seconda guerra mondiale in reazione ai nazionalismi e alle tendenze
reazionarie, fasciste e di destra che l’hanno provocato». Questo «patrimonio»
non può essere disperso. A una settimana dalle elezioni europee il presidente
emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano, spiega così l’importanza del
prossimo voto. Lo fa difendendo il progetto europeo e mettendo in guardia da
chi «ipocritamente« si dichiara europeista e poi tradisce i valori della Ue.
Avvertendo che un certo «strisciante avventurismo finanziario» può essere
catastrofico per l’Italia e per il resto d’Europa. Sottolinenando che anche per
la sinistra questa rappresenta la «sola speranza e la via di una
nobiltà della politica».
I presidenti eletti di 21 Paesi dell’Ue
anche per questi motivi hanno di recente lanciato un appello al voto. L’Europa
ha bisogno anche di una ampia partecipazione elettorale per risollevarsi?
«Ho apprezzato e condiviso il solenne appello firmato dai 21 Capi di Stato,
prima di tutto perché è un segno importante di unità: un’ampia partecipazione a
questa prova è auspicabile, perché senza dubbio rafforza la legittimazione
democratica e la capacità di incidere delle istituzioni europee. Un appello
importante in questa fase così delicata del processo d’integrazione, nella
quale sembrano avere maggiore risalto i motivi di divisione e di polemica tra
alcuni governi nazionali rispetto a una necessaria assunzione di responsabilità
di fronte a sfide globali. Forse ci si può chiedere se non ci sia ipocrisia o
addirittura mistificazione da parte di chi si dichiara europeista, ma nei fatti
e nei comportamenti concreti nega i valori e le politiche comuni dell’Ue».
A chi si riferisce?
«Credo che sia abbastanza chiaro e tutti lo possano intendere».
Questo vuol dire che lei riconosce il
rischio di una crisi nell’attuale assetto dell’UE.
«Nel corso di una lunga e ricca esperienza politica, culturale e
istituzionale sono stato sempre immerso nella problematica e nella dialettica
politica e culturale europea. Posso pertanto osservare che ormai da tempo il
disegno di integrazione europea mostra elementi di crisi, da un lato per gli
attacchi e manipolazioni che subisce ad opera dei suoi nemici e dall’altro
perché non riesce a superare gravi limiti nella sua capacità di risposta a
nuove domande emerse nelle nostre società e nel mondo. Ma come si può
affrontare il vero e proprio sommovimento del mondo attuale se non mettendo in
campo tutto il prezioso potenziale delle energie europee?».
È quindi un’illusione, quella dei
sovranisti e degli anti europeisti in Italia e nel resto d’Europa, di poter
affrontare la globalizzazione da soli?
«C’è veramente da rinnovare e arricchire la riflessione su che cosa si sia
verificato nel processo di globalizzazione, che ha visto innescarsi proprio in
questi ultimi anni un enorme disordine internazionale, squilibri e fonti di
conflitto quanto mai allarmanti. È un’illusione evidente, un vero e proprio
inganno, lasciar credere che possa essere risolutiva e positiva la linea di
condotta di quanti esaltano gli Stati sovrani come autosufficienti. Senza la presenza
e l’azione della BCE, senza lo scudo dell’euro, sarebbe stato impossibile
salvaguardare le basi di ricchezza dei nostri Paesi e i risparmi dei
cittadini».
Non ci sarebbe bisogno anche per questo di
una politica estera davvero comune?
«È insorta un’ostilità al multilateralismo, abbandonando la ricerca di
intese negoziali. Negli Stati Uniti è prevalsa la tendenza a un unilateralismo
divisivo, alla riapertura di vecchie contrapposizioni e addirittura al ritorno
ad antichi, pericolosissimi scontri, come quello del rilancio della gara agli
armamenti nucleari. Sebbene la politica estera e di sicurezza comune europea
abbia fatto significativi passi in avanti, siamo ancora lontani da soluzioni
unitarie e anche dal discutere la proposta Juncker di estendere la procedura a
maggioranza alle decisioni di politica estera. Penso che questo tema potrebbe
costituire un obbiettivo della prossima legislatura europea».
In linea più generale, non sarebbe utile
una rifondazione tornando a una Unione a cerchi concentrici o a più velocità?
«Già con la Dichiarazione di Roma, in occasione del 60° anniversario del
Trattato, il nodo delle diverse velocità è stato affrontato positivamente.
D’altra parte già oggi l’Unione è una comunità che vede i suoi Paesi membri
partecipare in diversi formati, come l’Eurozona o lo Spazio Schengen,
all’integrazione. La vera questione mi sembra essere se sapremo preservare
appunto l’inclusività e l’unitarietà delle istituzioni comuni, se continueremo
a rafforzare la capacità del Parlamento europeo di rappresentare i cittadini
del nostro Continente in un rapporto più equilibrato con il Consiglio come
istituzione di rappresentanza degli Stati».
Considera compatibile con un serio
europeismo il ricorso crescente alla demagogia e alla moltiplicazione delle
promesse elettorali?
«È responsabilità di tutti alimentare un dibattito sulle tante questioni
europee, sforzandosi sempre di approfondire e cercando di mostrare ai cittadini
quali soluzioni sostenibili si prospettano. Non si può addebitare alle istituzioni
europee un eccesso di severità solo perché ci si preoccupa - come necessario -
di evitare uno strisciante avventurismo finanziario che può essere catastrofico
per la crescita presente e futura dei nostri Paesi. Speriamo di esserne tutti
consapevoli, un voto espresso in Italia ha una portata europea».
Questo vuol dire che non si può imputare
alla politica economica europea se l’Italia non cresce, spingendo quindi verso
maggiore deficit e ulteriore indebitamento?
«Sarebbe sbagliato schematizzare il confronto politico tra chi vuole
riforme dell’Unione Europea nel suo complesso e chi considera indispensabili
riforme strutturali sul piano nazionale. È evidente che un Paese che si
distingue, e non da poco, dagli altri nella zona euro per alcuni fondamentali indicatori
negativi (bassa crescita, indebitamento eccessivo, peso della disoccupazione,
scarsità di laureati) ha bisogno di continuare gli sforzi per modernizzare la
propria economia tendendo alla massima coesione sociale. Penso che i sacrifici
che gli italiani hanno fatto negli anni di più rigorosa conduzione delle
politiche economico-finanziarie non possano essere vanificati se non
si prosegue nel percorso di risanamento del bilancio pubblico. Come è
possibile continuare a pagare di più per la spesa sugli interessi del debito
che per l’istruzione?».
Servirebbe dunque, in un’ottica europea,
che l’Italia attui una vera politica per la crescita e l’occupazione senza
ricorrere a palliativi.
«Più sapremo continuare un processo di rinnovamento e di equo rigore, più
saremo in grado di influire sulle politiche economiche al livello europeo. Si
potrebbe lavorare a una proposta di revisione e trasformazione degli indirizzi
di welfare in Europa, mirando a un nuovo modello comune per corrispondere a
istanze sociali e a fenomeni di povertà ed emarginazione nei Paesi europei e in
Italia. Ciò varrebbe ben più di promesse o concessioni disparate e parziali a
questo o quel segmento sociale».
L’Europa, però, si è dimostrata debole e
poco "unita" sull’immigrazione.
«Sì. E questo ha alimentato un fenomeno duramente regressivo, rispetto agli
sforzi fatti nel nostro stesso Paese, già alla fine degli anni ‘90, per non
separare la lotta all’immigrazione clandestina, o totalmente incontrollata, da
un sistema di regole garantite per l’ingresso legale dei richiedenti lavoro o
asilo. Ci sono resistenze incomprensibili verso un approccio complessivo al
tema delle migrazioni, come quello proposto dall’ONU con il Global Compact. Il
tema è delicato, ma certo è irresponsabile e non offre aiuto chi pensa di
sfruttarlo a fini elettorali e di propaganda».
Oggi soffia un vento di destra. Le forze
democratiche, progressiste e di sinistra possono far leva sull’europeismo per
contrastarlo e tornare più competitive?
«L’Europa è nata dall’immane disastro della seconda guerra mondiale, in
reazione ai nazionalismi e alle tendenze reazionarie, fasciste e di destra che
l’hanno provocato. Ogni parte politica non può non attingere a quel patrimonio.
In questo senso apparirà in piena luce, lungi da visioni puramente
economicistiche, il potenziale politico della sfida e dell’esperienza europea.
L’Europa sempre più come sola speranza e via di una nuova nobiltà della
politica».
La
Repubblica, 19.5.2019
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