giovedì, maggio 30, 2019

L’intervista. D’Alema: "Il Pd non sa come si parla agli operai "


di STEFANO CAPPELLINI
L’ex premier: "Il risultato delle Europee è positivo, ma la sinistra resta da ricostruire. Surreale il dibattito sul centro: i moderati votano già per i dem"
Massimo D’Alema, nella lista unitaria per le Europee c’era anche Articolo 1 insieme al Pd. È andata bene? Avete pareggiato? Matteo Renzi dice: persi 100mila voti rispetto al 2018.
«Le elezioni le ha vinte la destra, su questo non c’è dubbio. Ma il risultato del Pd è stato positivo. Il centrosinistra ha fermato una emorragia e si è reinsediato nel suo mondo. Non dimentichiamo che, dopo il voto del 2018 e un anno di logoramento, secondo i sondaggi era sceso anche più giù del 18 per cento».
Se si votasse adesso per il Parlamento la destra avrebbe la maggioranza.
«Il vantaggio della destra è preoccupante, ma il dato più interessante delle Europee è che il risultato ha riproposto uno scenario bipolare destra-sinistra che sembrava superato. Averlo ripristinato è fondamentale: il Pd è di nuovo in campo ed è l’antagonista di Salvini».
Il calo del M5S è strutturale?

«Continueranno ad avere un mercato elettorale, ma è fallito il loro impianto culturale, cioè l’idea che si potesse costruire una dimensione post-politica e liquidare la dualità destra-sinistra».
Il Pd ha intercettato solo una minima parte dei voti in uscita dal M5S.
«Il Pd si è presentato con un volto nuovo, positivo, non arrogante e non anti-sindacale. Però quell’elettorato che si era allontanato aveva bisogno di un elemento più forte di discontinuità che non c’è stato. Per ragioni anche comprensibili, il poco tempo a disposizione. L’immagine del Pd resta da ricostruire, insieme a una coalizione di centrosinistra completamente nuova».
Le elezioni si vincono allargando al centro?
«Trasecolo. Questo dibattito lo trovo surreale. Dicono: dovete conquistare i moderati. Ma i moderati votano già per noi. O vogliamo sostenere che stanno con Salvini? Noi perdiamo nelle periferie. Questo discorso vecchio aveva un senso quando la sinistra rappresentava la classe operaia e doveva allargarsi verso il ceto medio. La società è cambiata ed è smarrita. Ha bisogno di messaggi forti, identitari».
Lei da cosa partirebbe?
«Dal mondo del lavoro. Non dico di cancellare con un tratto di penna il Jobs Act e tornare a prima. Consideriamo pure superato un modello di tutele che era legato al vecchio modello fordista. Lanciamo però un nuovo grande patto del lavoro: welfare, diritti, lotta alla precarietà».
Zingaretti non l’ha fatto?
«Io anziché aprire il dibattito sul centro mi piglierei uno dei pochi capi operai della sinistra, Maurizio Landini, e gli farei fare un seminario di una settimana per spiegare come si parla agli operai, il 50 per cento dei quali ha votato Lega. Perché il Pd, al momento, non è in grado di farlo. Nel mio partito ideale, in campagna elettorale tutti i lunedì i candidati sarebbero mandati a fare comizi davanti alle fabbriche».
Quindi è contrario alla proposta di Calenda, che ipotizza la costruzione di un partito di centro che si allea al Pd?
«Può essere che un centrosinistra articolato su due gambe abbia una maggiore capacità di tenuta. Io mi sono opposto per anni all’abolizione del trattino tra centro e sinistra, ma non si può piangere sul latte versato. Contribuii a fondare una coalizione intorno a due forze fondamentali, una radicata nella tradizione del cattolicesimo democratico e una nella storia della sinistra. Poi si sono fuse. Ma dovevano convivere. Quando Renzi ha dichiarato guerra a una di queste due tradizioni, è stato il collasso. Anche un partito unico ha bisogno di due gambe per stare in piedi».
Immagini che la prossima legge di bilancio tocchi a un governo di sinistra. Cosa dovrebbe fare?
«In questi anni si è accumulata una grande ricchezza in una quota ultraminoritaria della popolazione, dunque è lecito pensare a una tassazione patrimoniale. Poi resta la necessità di una seria lotta all’evasione fiscale».
Salvini propone flat tax e manette agli evasori.
«Per ora ha fatto solo il condono fiscale».
Con la lotta all’evasione non si recuperano i miliardi che servono per la manovra.
«Una buona idea di Piketty è rafforzare il bilancio dell’Unione europea finanziando lo sviluppo attraverso una fiscalità europea che colpisca le grandi multinazionali. In Italia Amazon paga di tasse meno di un medio imprenditore della Brianza. E poi serve la carbon tax, perché la difesa dell’ambiente, in quanto critica al capitalismo, è un tema di sinistra».
Immagina un Pd anticapitalista?
«La correzione delle distorsioni del capitalismo è tornata a essere un filone di studio florido nelle università, da Stigliz alla Mazzuccato. Spero che, tra un tweet e l’altro, i loro libri possano suggerire qualche spunto anche alla sinistra italiana».
Il governo cadrà presto?
«Le condizioni politiche perché cada non ci sono. Il M5S non ha alcun progetto. Salvini dovrebbe tornare con Berlusconi e per lui questo è un problema».
Ma che durata può avere un governo così diviso?
«Può cadere travolto dalla realtà. I fatti sono testardi. Il risultato delle Europee accentua il nostro isolamento. A questo punto è naturale che la Ue reagisca all’avventurismo del nostro governo sui conti pubblici. E all’Europa basta un frase: l’Italia non è affidabile. Il giorno dopo i mercati ti massacrano, e i mercati sono molto più cattivi di Moscovici. Ma l’Europa deve cambiare. L’ondata populista non ci ha travolti, spero che la classe dirigente europea comprenda lo scampato pericolo e avvii un percorso di coraggiose riforme».
Avremo solo posti di serie B nella governance della Ue?
«Si sta costruendo un patto politico tra democristiani, socialisti e liberali. Questo compromesso corrisponde a un accordo tra la Germania, che ha la guida dei popolari, la Francia, con Macron che esce rafforzato dal voto, e i socialisti a trazione iberica. L’Italia è marginale per la rozzezza e la dequalificazione della sua classe dirigente».
Sarà un leghista il commissario italiano a Bruxelles?
«Suggerirei nel caso di puntare su una figura seria e amministratore credibile».
Giorgetti o Zaia?
«Certamente sono due personalità apprezzabili. Non sta a me fare nomi. Ma ricordiamoci che il Parlamento europeo è un animale non facilmente addomesticabile. Bocciò Rocco Buttiglione. E Buttiglione al confronto di questi qui è Churchill».
Per tutta l’intervista ha parlato del Pd come fosse il suo partito. Lo sente di nuovo la sua casa?
«Non ci sono più case. Bisogna ricostruirla, la casa. Non io, ma milioni di elettori ancora non sentono tale il Pd. Almeno due persone, prima di votare, mi hanno chiesto: posso votare Bartolo, il medico dei migranti, senza barrare il simbolo del Pd? E sa perché Bartolo è stato così votato, senza aver affisso nemmeno un manifesto? Perché esprime valori».
Ma in questa sofferenza della sinistra non si riconosce colpe?
«Ho già fatto tutte le autocritiche e pagato il mio prezzo».
Ha fatto da poco 70 anni. Tempo di bilanci?
«Sono in pace con la mia coscienza. Pur nelle mutate condizioni di ogni epoca, sono sempre stato coerente con le idee che mi hanno spinto all’impegno civile e politico».
Pentito di nulla?
«Di molte cose. Ma della più grave non voglio dire, aprirebbe troppe polemiche».
Ha a che fare con la fondazione del Pd?
«I partiti devono avere un ubi consistam».
"Chi vuole ricostruire il comunismo è senza cervello, chi non ne ha nostalgia è senza cuore". Chi l’ha detto?
«Io, alla festa dei miei 70 anni, parafrasando Putin».
Ha molta nostalgia?
«Il Pci è stata la pagina più straordinaria della mia vita. Credo che, per la mia generazione, questo sia un sentimento unanime».
La Repubblica, 30 maggio 2019

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