di STEFANO CAPPELLINI
L’ex premier: "Il risultato delle Europee è
positivo, ma la sinistra resta da ricostruire. Surreale il dibattito sul
centro: i moderati votano già per i dem"
Massimo D’Alema, nella
lista unitaria per le Europee c’era anche Articolo 1 insieme al Pd. È andata
bene? Avete pareggiato? Matteo Renzi dice: persi 100mila voti rispetto al 2018.
«Le elezioni le ha vinte la destra, su questo non c’è dubbio. Ma il
risultato del Pd è stato positivo. Il centrosinistra ha fermato una emorragia e
si è reinsediato nel suo mondo. Non dimentichiamo che, dopo il voto del 2018 e
un anno di logoramento, secondo i sondaggi era sceso anche più giù del 18 per
cento».
Se si votasse adesso per
il Parlamento la destra avrebbe la maggioranza.
«Il vantaggio della destra è preoccupante, ma il dato più interessante
delle Europee è che il risultato ha riproposto uno scenario bipolare
destra-sinistra che sembrava superato. Averlo ripristinato è fondamentale: il
Pd è di nuovo in campo ed è l’antagonista di Salvini».
Il calo del M5S è
strutturale?
«Continueranno ad avere un mercato elettorale, ma è fallito il loro
impianto culturale, cioè l’idea che si potesse costruire una dimensione
post-politica e liquidare la dualità destra-sinistra».
Il Pd ha intercettato
solo una minima parte dei voti in uscita dal M5S.
«Il Pd si è presentato con un volto nuovo, positivo, non arrogante e non
anti-sindacale. Però quell’elettorato che si era allontanato aveva bisogno di
un elemento più forte di discontinuità che non c’è stato. Per ragioni anche
comprensibili, il poco tempo a disposizione. L’immagine del Pd resta da
ricostruire, insieme a una coalizione di centrosinistra completamente nuova».
Le elezioni si vincono
allargando al centro?
«Trasecolo. Questo dibattito lo trovo surreale. Dicono: dovete conquistare
i moderati. Ma i moderati votano già per noi. O vogliamo sostenere che stanno
con Salvini? Noi perdiamo nelle periferie. Questo discorso vecchio aveva un
senso quando la sinistra rappresentava la classe operaia e doveva allargarsi
verso il ceto medio. La società è cambiata ed è smarrita. Ha bisogno di
messaggi forti, identitari».
Lei da cosa partirebbe?
«Dal mondo del lavoro. Non dico di cancellare con un tratto di penna
il Jobs Act e tornare a prima. Consideriamo pure superato un modello di
tutele che era legato al vecchio modello fordista. Lanciamo però un nuovo
grande patto del lavoro: welfare, diritti, lotta alla precarietà».
Zingaretti non l’ha
fatto?
«Io anziché aprire il dibattito sul centro mi piglierei uno dei pochi capi
operai della sinistra, Maurizio Landini, e gli farei fare un seminario di una
settimana per spiegare come si parla agli operai, il 50 per cento dei quali ha
votato Lega. Perché il Pd, al momento, non è in grado di farlo. Nel mio partito
ideale, in campagna elettorale tutti i lunedì i candidati sarebbero mandati a
fare comizi davanti alle fabbriche».
Quindi è contrario alla
proposta di Calenda, che ipotizza la costruzione di un partito di centro che si
allea al Pd?
«Può essere che un centrosinistra articolato su due gambe abbia una
maggiore capacità di tenuta. Io mi sono opposto per anni all’abolizione del
trattino tra centro e sinistra, ma non si può piangere sul latte versato.
Contribuii a fondare una coalizione intorno a due forze fondamentali, una
radicata nella tradizione del cattolicesimo democratico e una nella storia
della sinistra. Poi si sono fuse. Ma dovevano convivere. Quando Renzi ha
dichiarato guerra a una di queste due tradizioni, è stato il collasso. Anche un
partito unico ha bisogno di due gambe per stare in piedi».
Immagini che la prossima
legge di bilancio tocchi a un governo di sinistra. Cosa dovrebbe fare?
«In questi anni si è accumulata una grande ricchezza in una quota ultraminoritaria
della popolazione, dunque è lecito pensare a una tassazione patrimoniale. Poi
resta la necessità di una seria lotta all’evasione fiscale».
Salvini propone flat tax
e manette agli evasori.
«Per ora ha fatto solo il condono fiscale».
Con la lotta
all’evasione non si recuperano i miliardi che servono per la manovra.
«Una buona idea di Piketty è rafforzare il bilancio dell’Unione europea
finanziando lo sviluppo attraverso una fiscalità europea che colpisca le grandi
multinazionali. In Italia Amazon paga di tasse meno di un medio imprenditore
della Brianza. E poi serve la carbon tax, perché la difesa dell’ambiente, in
quanto critica al capitalismo, è un tema di sinistra».
Immagina un Pd
anticapitalista?
«La correzione delle distorsioni del capitalismo è tornata a essere un
filone di studio florido nelle università, da Stigliz alla Mazzuccato. Spero
che, tra un tweet e l’altro, i loro libri possano suggerire qualche spunto
anche alla sinistra italiana».
Il governo cadrà presto?
«Le condizioni politiche perché cada non ci sono. Il M5S non ha alcun
progetto. Salvini dovrebbe tornare con Berlusconi e per lui questo è un
problema».
Ma che durata può avere
un governo così diviso?
«Può cadere travolto dalla realtà. I fatti sono testardi. Il risultato
delle Europee accentua il nostro isolamento. A questo punto è naturale che la
Ue reagisca all’avventurismo del nostro governo sui conti pubblici. E
all’Europa basta un frase: l’Italia non è affidabile. Il giorno dopo i mercati
ti massacrano, e i mercati sono molto più cattivi di Moscovici. Ma l’Europa
deve cambiare. L’ondata populista non ci ha travolti, spero che la classe
dirigente europea comprenda lo scampato pericolo e avvii un percorso di
coraggiose riforme».
Avremo solo posti di
serie B nella governance della Ue?
«Si sta costruendo un patto politico tra democristiani, socialisti
e liberali. Questo compromesso corrisponde a un accordo tra la Germania,
che ha la guida dei popolari, la Francia, con Macron che esce rafforzato dal
voto, e i socialisti a trazione iberica. L’Italia è marginale per la rozzezza e
la dequalificazione della sua classe dirigente».
Sarà un leghista il
commissario italiano a Bruxelles?
«Suggerirei nel caso di puntare su una figura seria e amministratore
credibile».
Giorgetti o Zaia?
«Certamente sono due personalità apprezzabili. Non sta a me fare nomi. Ma
ricordiamoci che il Parlamento europeo è un animale non facilmente
addomesticabile. Bocciò Rocco Buttiglione. E Buttiglione al confronto di questi
qui è Churchill».
Per tutta l’intervista
ha parlato del Pd come fosse il suo partito. Lo sente di nuovo la sua casa?
«Non ci sono più case. Bisogna ricostruirla, la casa. Non io, ma milioni di
elettori ancora non sentono tale il Pd. Almeno due persone, prima di votare, mi
hanno chiesto: posso votare Bartolo, il medico dei migranti, senza barrare il
simbolo del Pd? E sa perché Bartolo è stato così votato, senza aver affisso
nemmeno un manifesto? Perché esprime valori».
Ma in questa sofferenza
della sinistra non si riconosce colpe?
«Ho già fatto tutte le autocritiche e pagato il mio prezzo».
Ha fatto da poco 70
anni. Tempo di bilanci?
«Sono in pace con la mia coscienza. Pur nelle mutate condizioni di ogni
epoca, sono sempre stato coerente con le idee che mi hanno spinto all’impegno
civile e politico».
Pentito di nulla?
«Di molte cose. Ma della più grave non voglio dire, aprirebbe troppe
polemiche».
Ha a che fare con la
fondazione del Pd?
«I partiti devono avere un ubi consistam».
"Chi vuole
ricostruire il comunismo è senza cervello, chi non ne ha nostalgia è senza
cuore". Chi l’ha detto?
«Io, alla festa dei miei 70 anni, parafrasando Putin».
Ha molta nostalgia?
«Il Pci è stata la pagina più straordinaria della mia vita. Credo che, per
la mia generazione, questo sia un sentimento unanime».
La
Repubblica, 30 maggio 2019
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