L'omicidio Scaglione in via dei cipressi a Palermo |
Il
quarantottesimo anniversario dell’omicidio del procuratore della Repubblica di
Palermo Pietro Scaglione e del fedele agente Antonio Lorusso sarà ricordato
lunedì 6 maggio, alle ore 16, nell’Aula Magna della Società Siciliana per la
Storia Patria, in Piazza San Domenico 1, a Palermo, nell’ambito del convegno
“Mafia e Antimafia durante il fascismo”, evento formativo dell’Ordine dei
Giornalisti, organizzato da Associazione Nazionale Partigiani d’Italia e Storia
Patria. Alla conferenza – introdotta dai professori Salvatore Savoia
(Segretario generale della Società Siciliana per la Storia Patria) e Antonio
Scaglione (figlio del procuratore assassinato) - interverranno lo storico
Giuseppe Carlo Marino, il giornalista Franco Nicastro (consigliere nazionale
dell’Ordine dei Giornalisti) e il regista Ottavio Terranova (Vicepresidente
nazionale dell’Anpi).
Entrato in magistratura nel 1928, Pietro Scaglione “dimostrò indipendenza di giudizio anche durante il ventennio fascista”(come scrissero anche i giornalisti Enzo Perrone e Rosario Poma nel volume “La mafia: nonni e nipoti”, Vallecchi, Firenze, 1971).Nella sua lunga carriera di giudice e pubblico ministero, le battaglie in difesa dell’autonomia dei magistrati dal potere esecutivo si alternarono con l’impegno per la verità sui misteri siciliani.
In relazione alla
strage di Portella della Ginestra del Primo maggio di 72 anni fa, il Pubblico
ministero Pietro Scaglione, nel 1953, definì l’uccisione dei contadini come un
“delitto infame, ripugnante e
abominevole” e accreditò come principali moventi: la “difesa del latifondo e dei latifondisti”;
la lotta “ad oltranza”
contro il comunismo che Salvatore Giuliano “mostrò
sempre di odiare e di osteggiare”; la volontà da parte dei banditi
di accreditarsi come “i
debellatori del comunismo”, per poi ottenere l’amnistia; la volontà
di “usurpazione dei poteri di
polizia devoluti allo Stato”; la “punizione” contro i contadini che allontanavano
i banditi dalle campagne.
Nel 1954,
Scaglione, nella qualità di Sostituto procuratore generale presso la Corte di
appello di Palermo, si recò con un segretario, previo incarico del Procuratore
generale, nel carcere palermitano dell’Ucciardone per interrogare il detenuto
Gaspare Pisciotta, appartenente alla banda Giuliano; il Pisciotta si rifiutò,
però, di fare qualsiasi dichiarazione in quanto voleva <<parlare a quattr’occhi con un magistrato>>
senza la presenza di altre persone e senza alcuna documentazione delle sue
dichiarazioni. Il magistrato Scaglione allora gli fece presente che le norme di
legge imponevano la presenza del segretario e la documentazione mediante
verbale delle dichiarazioni rese. Pisciotta rispose che, eventualmente dopo un
periodo di riflessione, avrebbe richiamato il magistrato (v. LONGONE,Pisciotta annunciò al magistrato
gravissime rivelazioni, inL’Unità14
febbraio 1954). Successivamente all’omicidio in carcere del Pisciotta, il
magistrato Scaglione si occupò delle indagini e <<aveva cominciato a ricostruire la strada
che portò il[medicinale, n.d.r.]Vidalin
nella cella di Pisciotta. E come sempre c’erano di mezzo alcuni mafiosi>>
(S. PALAZZOLO,Pisciotta non fu
ucciso dal caffè, ma i fascicoli sul traditore di Giuliano sono spariti,
inla Repubblica, 7
novembre 2000, p. 35).
Il Procuratore
Scaglione promosse anche numerose inchieste a carico di politici, di
amministratori e di colletti bianchi, come risulta dagli atti giudiziari, dalle
sentenze e dalla testimonianza del giornalista Mario Francese (ucciso nel
1979). Come scrisse Francese, infatti,“Pietro
Scaglione fu convinto assertore che la mafia aveva origini politiche e che i
mafiosi di maggior rilievo bisognava snidarli nelle pubbliche amministrazioni.
E’ il tempo del cosiddetto braccio di ferro tra l’alto magistrato e i politici,
il tempo in cui la linea Scaglione portò ad una serie di procedimenti per
peculato o per interesse privato in atti di ufficio nei confronti di
amministratori comunali e di enti pubblici”. Il riacutizzarsi del
fenomeno mafioso, negli anni 1969-1971, “aveva
indotto Scaglione ad intensificare la sua opera di bonifica sociale”,
infatti, richieste di “misure
di prevenzione e procedimenti contro pubblici amministratori ……hanno
caratterizzato l’ultimo periodo di attività del Procuratore capo della Repubblica”
(Il giudice degli anni più
caldi, inil
Giornale di Sicilia, 6 maggio 1971, p. 3).
Scaglione si
occupò anche della scomparsa del giornalista Mauro De Mauro nel settembre del
1970. L’intervento di Scaglione fu “attivissimo”
come dichiarò anche la moglie del giornalista scomparso nel periodico “La Domenica del Corriere”
del 13/6/1972.
Il Procuratore
Scaglione svolse altresì, con impegno e dedizione, la funzione di Presidente
del Consiglio di Patronato per l’assistenza alle famiglie dei detenuti ed ai
soggetti liberati dal carcere, promuovendo, tra l’altro, la costruzione di un
asilo nido; per queste attività sociali, gli fu conferito dal Ministero della
Giustizia il Diploma di primo grado al merito della redenzione sociale, con
facoltà di fregiarsi della relativa medaglia d’oro.
Infine, con
Decreto del Ministero della Giustizia, previo parere favorevole del Consiglio
Superiore della Magistratura, Pietro Scaglione fu riconosciuto “magistrato caduto vittima del dovere e
della mafia”.
Il sacrificio del
procuratore Scaglione (ucciso il 5 maggio del 1971) è ricordato, oltre che
dalla lapide in via Cipressi (luogo del delitto), anche da strade intitolate a
Palermo e in altre località, da aule intestate nei Palazzi di Giustizia, da
steli collocate nelle Università, da
da targhe e da
alberi piantati nei Parchi e nei Giardini della Memoria.
5 maggio 2019
I familiari del
Procuratore Scaglione
Prof. Antonio
Scaglione
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