UMBERTO SANTINO
Domani ricorre il quarantesimo anniversario della manifestazione nazionale
contro la mafia, svoltasi a Cinisi un anno dopo l’assassinio di Peppino
Impastato. A spingerci a promuoverla era il risalto dovuto alla sua memoria,
infangata da chi lo voleva attentatore inesperto o suicida, ma anche un’analisi
che contestava l’idea dominante che la mafia fosse soltanto un fenomeno
siciliano, per di più in via di sparizione. Invece parlavamo di una mafia
imprenditoriale, con un sistema relazionale transclassista. Ma con la prevalenza di strati alti e intermedi classificabili come
borghesia mafiosa, radicata nel contesto politico e istituzionale, che si
sviluppava intrecciando continuità e innovazione. Coniugava signoria
territoriale e accumulazione illegale, alimentata dai traffici internazionali,
soprattutto quello di droga, già allora in forte espansione.
Quando Peppino definiva Gaetano Badalamenti «esperto di lupara e di
traffico di eroina» , coglieva una realtà composita e indicava un percorso che
partiva dalle raffinerie di eroina installate nelle vicinanze dell’aeroporto di
Punta Raisi e aveva come destinazione finale il mercato
americano. Le indagini
di Boris Giuliano porteranno, nel giugno del 1979, alla scoperta delle valigie
colme di dollari — e quelle indagini ne determineranno la condanna a morte — e
nel giugno del 1987 Badalamenti sarà condannato a 45 anni di carcere nel
processo alla "Pizza Connection" svoltosi negli Stati Uniti.
Ma tutto era cominciato molti anni prima, nell’ottobre del 1957, quando
all’Hotel delle Palme i boss americani si incontrarono con i capimafia
siciliani e definirono la strategia del traffico intercontinentale di droga e
uno degli snodi fondamentali doveva essere la Sicilia. Al summit
siculo-americano parteciparono, tra gli altri, Lucky Luciano, Joe Bonanno,
Gaspare Magaddino, Giuseppe Genco Russo: erano mondi diversi, ma farà da
collante tra le metropoli e la provincia rurale l’esponenziale lievitazione dei
proventi. In quegli anni uno dei pionieri del traffico di droga era Cesare
Manzella, zio di Peppino, e la Sicilia, prima zona di transito, diverrà ben
presto area di produzione, con i laboratori che saranno scoperti solo nei primi
anni Ottanta. Ma della loro esistenza si sapeva già prima e non era solo
Peppino Impastato a saperlo, ma era l’unico, o tra i pochissimi, che ne
parlava. La consapevolezza di questa realtà maturerà con grave ritardo, ma
questo non vale solo per il traffico di droga ma per il fenomeno mafioso nella
sua evoluzione e complessità. Lo stesso ritardo che si è avuto con la
"scoperta" della mafia al Centro-Nord.
Le analisi che portarono alla manifestazione nazionale del 1979 hanno
anticipato riflessioni che si svilupperanno successivamente, fino a diventare luogo
comune. E se la partecipazione, in quasi duemila, era rapportata alle capacità
di mobilitazione di chi l’aveva proposta e organizzata — Radio Aut, che
sopravvivrà fino al 1980, il Comitato di controinformazione formatosi presso il
Centro siciliano di documentazione, operante già dal 1977, Democrazia
proletaria — l’attenzione fu molto limitata. Per la stampa nazionale e la
televisione non faceva notizia. E silenzio e isolamento hanno accompagnato per
anni i pochi che si battevano per mantenere viva la memoria di Peppino, che
rimane un caso unico nella storia delle lotte contro la mafia per la sua
rottura con il padre e la parentela mafiosa. Eppure la richiesta di giustizia
ha ottenuto i risultati che si proponeva, anche se con ritardo: le condanne di Badalamenti
e del suo vice, come mandanti dell’omicidio, e la relazione della Commissione
parlamentare antimafia sul depistaggio operato da rappresentanti della
magistratura e delle forze dell’ordine. Tra essi l’allora maggiore Antonio
Subranni, che abbiamo ritrovato nel processo sulla trattativa Stato- mafia,
conclusosi in primo grado con pesanti condanne e ora al vaglio dell’appello.
Anche la relazione è, fino a oggi, un caso unico nella storia del
Parlamento repubblicano. La proposta, fatta da chi scrive a ridosso della
relazione, approvata nel dicembre del 2000, di fare quello che si era fatto per
Peppino Impastato per delitti e stragi che non hanno avuto giustizia, o l’hanno
avuta solo parzialmente, non fu accolta. È di questi giorni la decisione del procuratore
nazionale antimafia di istituire un superpool che indagherà sulle « entità
esterne » alla mafia per le stragi Falcone e Borsellino e alcuni grandi
delitti. È una buona notizia, ma non potrà non pesare il fatto che si è perduto
troppo tempo, dando credito a depistaggi e messinscene.
La Repubblica Palermo, 8 maggio 2019
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