di Salvo Palazzolo
Ventisette anni sono passati dalle bombe che
hanno squarciato la terra di Palermo, uccidendo Giovanni Falcone e Paolo
Borsellino. Conosciamo i nomi di chi ha premuto i telecomandi delle stragi, il
23 maggio e il 19 luglio 1992, non sappiamo ancora chi ha rubato le ultime
parole dei giudici che erano diventati i nemici numero uno della mafia e di
chissà quali insospettabili complici dentro lo Stato. Dopo la bomba di Capaci,
trafugarono il diario di Falcone, era dentro uno dei computer che il magistrato
teneva sulla sua scrivania, al ministero della Giustizia. In via D’Amelio,
invece, portarono via l’agenda rossa di Borsellino. E una cosa sembra ormai è
certa, i ladri di parole non erano mafiosi, ma uomini infedeli delle
istituzioni. Gli indizi sono nelle indagini della procura di Caltanissetta, nei
processi sin qui celebrati e in quelli in corso. L’ultimo vede imputati un
dirigente di polizia e due sottufficiali ormai in pensione: sono accusati di
aver avuto un ruolo determinante nella costruzione del falso pentito Vincenzo
Scarantino, che ha tenuto lontana la verità sulla strage di via D’Amelio per
sedici anni. I giudici del " Borsellino- quater" scrivono che il
mistero del falso pentito è intrecciato con quello dell’agenda rossa. E
chiamano in causa l’allora capo della squadra mobile Arnaldo La Barbera, morto
nel 2002.
Gli indizi e le tracce dei traditori sono lì, nei processi. Sono nelle
domande di tanti giudici, tanti investigatori, tanti testimoni. Domande rimaste
senza risposta. Ma, a metterle insieme, emerge quasi un identikit dei traditori
di Palermo. E a recitarle una dietro l’altra, quelle domande, è come se un cono
di luce stringesse sempre più sui dettagli: e per un attimo, i traditori
sembrano uscire dall’ombra che li protegge. Ventisette anni dopo, l’indagine
si sposta sul palcoscenico, quello del teatro Massimo, uno dei templi della
musica lirica italiana. Per una sera — quella del 23 maggio, l’anniversario
della strage di Capaci — le domande di chi ha cercato prendono forma in un
lungo monologo, si chiama " I traditori", che ho scritto con Gery
Palazzotto: a interpretarlo Gigi Borruso, con le musiche di Marco Betta, Diego
Spitaleri e Fabio Lannino, la regia di Alberto Cavallotti.
Si riparte dai giorni delle stragi, per arrivare agli anni più bui di
Palermo. Perché sono scomparse anche altre parole, dopo l’ennesimo delitto.
L’archivio di Peppino Impastato, l’archivio del prefetto Carlo Alberto Dalla
Chiesa, l’agenda del vicequestore Ninni Cassarà, l’archivio del poliziotto Nino
Agostino, e tante altre parole ancora trafugate dai traditori. Sono entrati non
solo sulle scene dei delitti, ma anche nelle abitazioni, negli uffici delle
vittime predestinate. Perché non bastava uccidere, bisognava cancellare anche
le ultime parole, le intuizioni, le scoperte. «Perché uno può fare più danno da
morto che da vivo » , ripeteva Totò Riina.
Chissà quanto contano oggi i traditori di Palermo. E quanto pesano i
segreti che hanno custodito per anni e che sono stati probabilmente viatico per
inventarsi seconde o terze vite. Anche il capo dei capi Riina, il sanguinario
artefice della svolta stragista morto nel novembre 2017, si faceva molte
domande durante la sua detenzione, parole tutte intercettate. Forse per
questo che non si perdeva un’udienza del processo Stato- mafia: perché voleva
sapere chi lo aveva tradito nel gennaio 1993, facendolo finire in manette.
«Io non cercavo nessuno, erano loro che cercavano me » . Anche le parole di
Riina risuoneranno sul palcoscenico del teatro Massimo. All’ora d’aria,
confidava al compagno di essere un gran criminale, ma ogni volta si tirava
indietro rispetto ai misteri di Palermo. Così rivendicava di aver ordinato la
strage Borsellino, ma teneva a precisare: « I servizi segreti gliel’hanno presa
l’agenda rossa ». E gettava un’ombra sul suo amico di sempre, Bernardo
Provenzano, protagonista della stagione della Trattativa. «Questo Binnu
Provenzano chi è che gli dice di non fare niente? Qualcuno ci deve essere che
glielo dice? Quindi tu collabori con questa gente… » . La fine della stagione
delle bombe, la " trattativa Stato- mafia" raccontata da Riina.
Tracce, indizi. Per provare ancora una volta a stringere nel momento esatto
in cui rubarono le prove, o soffiarono una notizia riservata, magari per
organizzare un attentato. Così fece il traditore che il 19 giugno 1989 comunicò
in tempo reale agli uomini della mafia che il giudice Falcone aveva appena
invitato i suoi colleghi svizzeri Carla Del Ponte e Claudio Lehmann a fare un
bagno davanti alla sua villa dell’Addaura. «Menti raffinatissime orientano le
azioni della mafia » , commentò Falcone dopo che l’attentato fallì. Un altro
indizio sui traditori, a futura memoria.
La Repubblica Palermo, 19 maggio 2019
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