Francesca Marcusio, prima donna con la patente |
PAOLA
POTTINO
Nel 1913 ottenne dal prefetto di Palermo
l’abilitazione alla guida da allora viaggiò in lungo e in largo per dimenticare
un flirt giovanile
Non era
soltanto bella, ma anche colta e intelligente. E moderna, almeno per quei
tempi. Francesca Mancusio, nata nel 1893 a Caronia, in provincia di Messina, è
stata la prima donna in Italia ad aver conseguito la patente di guida. «Erano anni
in cui — racconta Andrea Alessi, presidente dell’Aicas, l’Associazione Cultori
Auto di interesse storico di Messina che ha ricostruito la storia
dell’intraprendente pilota — le macchine erano viste dalla gente comune come
oggetti strani, indemoniati, carrozze che si muovevano in virtù di qualche
astuto maleficio. Pensate allora che effetto fece vedere la bella Francesca
scorrazzare con la sua fiammante Isotta per le strade dei paesini siciliani».
L’Isotta
Fraschini, costata 14.500 lire, arrivò come regalo del padre, il ricco
cavaliere Luigi Mancusio, quando lei aveva soltanto 16 anni ma, per guidarla,
la ragazza avrebbe dovuto attendere il raggiungimento della maggiore età. Nel
1913 Francesca compiva 21 anni e in virtù del Regio decreto del 30 giugno 1912,
avrebbe potuto finalmente sostenere l’esame di guida per ottenere la patente
che le venne in seguito rilasciata dalla prefettura di Palermo. «La Mancusio —
spiega Alessi — è stata davvero la prima donna ad ottenere la patente di guida
(oggi custodita insieme all’Isotta Fraschini al Museo Nazionale dell’Automobile
di Torino, ndr), da non confondere con la semplice licenza che altre
signore come Franca e Giovanna Florio o Ernestina Prola ottennero nel 1907».
L’esame affrontato dalla Mancusio non fu affatto semplice, visto che per la
prima volta guidò nei tornanti di Monte Pellegrino. A tale proposito. «Quando
sostenne l’esame pratico — ricorda il nipote Giulio Persico, medico in pensione
che oggi vive tra Napoli e la villa di Caronia ereditata dalla nonna — le
domandarono cosa avrebbe fatto se si fossero rotti i freni, lei con ironia
rispose: “Se si rompono i freni, mi affido a Dio!” Era una donna di poche
parole, ma con un grande senso dell’umorismo».
Francesca
venne educata nel rigido Educandato Maria Adelaide, e malgrado fosse stata
un’ottima allieva, dalle pagelle ne è emersa una personalità ribelle, moderna
ed emancipata. La sua vita cambiò radicalmente dopo la morte del marito, quando
iniziò a viaggiare in lungo e in largo per l’Europa. «Volle percorrere tutti i
luoghi visitati da Napoleone — racconta il nipote Giulio — girò in auto
per tutta l’Europa ed io la ricordo china a studiare le carte geografiche e gli
appunti sparsi sopra il tavolo della stanza da pranzo dove preparava gli
itinerari dei suoi tour». Viaggi che duravano diversi mesi, come quello fatto
per ben due volte a Capo Nord in compagnia dell’autista, della sorella e del
suo adorato gatto che oggi riposa nella tomba della villa di Caronia.
Francesca
era così bella che lo stesso Mario Rutelli, nel 1915 scolpì un busto in cui la
ritrasse con la lunga chioma sciolta. Adorava viaggiare per conoscere il mondo,
ma dietro questa spasmodica voglia di girare, si nascondeva qualcos’altro: il
cuore della donna era altrove. Un flirt giovanile con un noto avvocato palermitano
segnò tutta la sua vita. Lui la lasciò per sposare un’altra donna, ma lei
continuò ad amarlo per sempre.
Per
distrarsi da questo grande e inconsolabile dolore prese a viaggiare a bordo
della sua macchina da un capo all’altro del mondo: l’unico modo per non
impazzire. «A te che sei stato il compagno invisibile della mia vita, la luce
velata che ha rischiarato il grigiore dell’esistenza, la forma ideale dell’uomo
sognato, l’unico che ho desiderato mio, il solo che ha parlato ai miei sensi e
al mio spirito». E’ la struggente dedica all’amato che si legge nelle prime
pagine di “Due anziane signore e un gatto con un’Appia al Circolo polare
artico”(edito da Stabilimento tipolitografico Renna nel 1965) il libro
autobiografico scritto in tarda età, dedicato al grande amore mai vissuto. Né
l’Isotta Fraschini né la Lancia Appia, né la tenerezza delle figlie e neppure
la grande bontà del marito, riuscirono a placare i tormenti del suo cuore.
Difficile
rassegnarsi a un amore così grande. «Come ti ho sempre cercato, ancora ti
cercherò nell’aldilà», così scriveva Francesca, immaginandosi un giorno in lidi
più sereni, magari a bordo di una nuova automobile, nell’imperterrita ricerca
del suo amore perduto.
La
Repubblica Palermo, 6 maggio 2019
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