Edvard Munch, Historien |
DARIO OLIVERO
Comincia così
il manifesto apparso su Repubblica il 26 aprile, sottoscritto da uno
storico, Andrea Giardina, una senatrice a vita, Liliana Segre e uno scrittore,
Andrea Camilleri. La storia è un bene comune vuol dire che è come l’aria, il
lavoro, la democrazia. E questo bene, denuncia il manifesto, è in pericolo.
L’insegnamento della storia, la conoscenza
che un paese deve avere del proprio passato, è sminuito, umiliato, rimosso.
Alle prime tre firme se ne sono aggiunte oltre 500. E altre si aggiungono in
queste ore. Sono quelle di artisti, intellettuali, professori, registi,
archeologi, architetti, editori, scrittori, musicisti. Sono firme che vengono
dall’accademia, dalle professioni, dalla scuola, dal sindacato, da quella che
qualcuno pensa ormai di poter chiamare con disprezzo società civile, non
sapendo che senza civiltà nessuna società potrebbe essere. Sono firme motivate
poiché non è possibile aderire all’appello direttamente dal sito
di Repubblica, ma solo contattando la redazione. Sono firme lontane
anni luce dai like su Facebook, dai voti online o dai sondaggi social. Che cosa
ha mosso questa partecipazione? Che cosa unisce persone tanto diverse? A
chi si rivolgono?
Tutto ha inizio con l’esame di maturità:
la prova scritta di storia è stata cancellata da questo governo, gli studenti
non sono più tenuti a conoscere il passato. Repubblica alla fine di
febbraio, con una serie di articoli e interviste a storici e intellettuali non
solo italiani, ha denunciato questa grave decisione. Il ministro
dell’Istruzione ha risposto con una lettera in cui sosteneva che la storia
«potrà essere proposta, in modo trasversale, non in una sola tipologia di
prova, ma in più tracce. Nell’analisi di un testo letterario, come anche
nell’analisi e nella produzione di un testo argomentativo» e sottolineava
quanto questa "distribuzione" fosse stata gradita dagli studenti nei
test di simulazione dell’esame. Come se potesse essere l’esaminato a decidere
l’esame. Da questa risposta inadeguata, da questa distribuzione che è in realtà
una dissoluzione, da questo capovolgimento adolescenziale del concetto di
maturità, è nato il manifesto che da giorni centinaia di persone stanno
sostenendo. La conoscenza della storia, dice, «è un principio di democrazia e
di uguaglianza tra i cittadini. È un sapere critico non uniforme, non omogeneo,
che rifiuta il conformismo e vive nel dialogo». Parole che suonano più che
stridenti con lo spirito del tempo, riassunto da un altro suo passaggio: «Sono
diffusi sentimenti di rifiuto e diffidenza nei confronti degli
"esperti", a qualunque settore appartengano. La comunicazione semplificata
tipica dei social media fa nascere la figura del contro-esperto che rappresenta
una presunta opinione del popolo, una sorta di sapienza mistica che attinge a
giacimenti di verità che i professori, i maestri e i competenti occulterebbero
per proteggere interessi e privilegi». E basta leggere le cronache di questi
giorni dopo il 25 aprile, festa della Liberazione macchiata dalla pretesa
impunità fascista, per meditare su quest’altro passaggio: «Si negano fatti
ampiamente documentati; si costruiscono fantasiose contro-storie; si
resuscitano ideologie funeste in nome della deideologizzazione». Ecco che cosa
è questo manifesto, ecco dove si sta riconoscendo l’Italia migliore che c’è e
che lo sta sostenendo: un istinto di verità, un’intuizione, la cultura storica
e politica prima della politica. Chi firma sa che la storia è un bene comune. È
non dimenticare né gli errori dei padri né i loro insegnamenti. È sapere da che
punto siamo partiti per misurare quanto ci siamo emancipati o quanto siamo
regrediti. È una categoria dello spirito che ci ricorda, nell’eco delle guerre
millenarie dell’umanità, quanto sia precaria, incerta e impermanente la nostra
condizione. È riconoscere dove va il futuro imparando dal passato. È saper
vedere che la vicenda umana è fatta più di migrazioni e profughi che di Stati
nazione e che il nostro eterno muoversi sotto il cielo sarebbe solo cieca e
coatta sofferenza se non venisse scritto, tramandato, studiato e ricordato. Il
nostro giornale raccogliendo questo appello rende pubblico il timore e la
speranza che racchiude, e si rivolge alle istituzioni che hanno il dovere di
ascoltare. Chiediamo al ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti, come recita
l’appello, di revocare la cancellazione della prova di storia nell’esame di
maturità, che le ore dedicate alla disciplina nelle scuole vengano incrementate
e non ulteriormente ridotte, che dentro l’università sia favorita la ricerca,
ampliando l’accesso agli studiosi più giovani. E ci rivolgiamo al presidente
della Repubblica Sergio Mattarella affinché si faccia garante delle voci che
questo appello testimonia, preoccupate non solo per la memoria del passato ma
anche per la prospettiva del futuro del nostro Paese.
Chiediamo al ministro di ripristinare la
traccia storica all’esame di maturità
E ci rivolgiamo al presidente Mattarella
affinché queste voci vengano ascoltate
La Repubblica, 1 maggio 2019
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