Romina Marceca
Le parentele scomode di Di Liberto, il commercialista
ucciso. Il fratello: "Bisconti non lo vediamo da anni, non c’entriamo
nulla"
«L’omicidio di un uomo perbene» , dicono in paese, a Belmonte Mezzagno,
in una mattina di scirocco in cui le strade sono desolate. Nella terra del
commercialista Antonio Di Liberto, ucciso con quattro colpi di calibro 7,65,
chi ha deciso di parlare non avanza ombre sul professionista o racconta di
legami sospetti. Eppure l’esecuzione nella strada sterrata di contrada
Piraineto, a poco più di 100 metri dalla sua villa bianca e ultramoderna,
ricalca un cliché mafioso. Quali erano i segreti del commercialista che era
titolare di due studi tra Misilmeri e Belmonte Mezzagno con oltre 20
dipendenti? Cosa ha fatto o cosa non ha fatto per meritarsi questa fine?
Ci sono parentele scomode, seppur alla lontana, nella famiglia della
vittima. «Con Filippo Bisconti noi non c’entriamo nulla, mio fratello non lo
vedeva da anni. L’ultima volta fu per motivi di lavoro», dice Sergio Di
Liberto, il fratello ginecologo, appena sceso dalla sua Audi davanti alla villa
di famiglia. Filippo Bisconti, arrestato nel blitz che ha sgominato la nuova
cupola di Cosa nostra, è cugino di secondo grado dei Di Liberto. Nella strada
senza uscita che sale un po’ sulla montagna, arrivano Suv e auto di lusso in
continuazione.
Una famiglia ricca, forse tra le più ricche, quella dei Di Liberto, in un
paese dove i giovani passano le giornate al bar e la disoccupazione ha toccato
livelli preoccupanti. Nella residenza dalle grandi vetrate che si affacciano su
un giardino curato, chiusa in una stanza, c’è la vedova del commercialista.
Ripete continuamente la stessa frase: «Antonio dove sei amore mio?». Il suo
cognome, Cavallotti, è uno di quelli che hanno legato Belmonte Mezzagno a Cosa
nostra. Vincenzo, Gaetano e Salvatore Vito Cavallotti sono lontani parenti
della vedova e sono gli imprenditori nel settore della metanizzazione,
considerati dal tribunale «socialmente pericolosi» per le loro contiguità
mafiose nel feudo di Benedetto Spera.
Sui muri di Belmonte dal mattino sono apparsi centinaia di manifesti a
lutto: «Un crimine ignobile che suscita sdegno e incredulità e che colpisce
tutta la comunità» , c’è scritto sopra. Sono stati affissi dal Pd, il partito
di cui fa parte l’altro fratello di Di Liberto, Pietro, che di Belmonte è stato
anche sindaco dal 2012 al 2017.
Le indagini non escludono nulla e prendono in considerazione ogni
particolare poco chiaro che sfiora la storia della famiglia. Perché, di certo,
per cercare la soluzione del secondo delitto che colpisce il paese in cinque
mesi bisogna scavare nella professione ma anche nella vita privata del
commercialista. «Mio fratello era solo un uomo stanco che lavorava dalla
mattina alla sera. E poi accompagnava i figli al tennis. Abbiamo detto tutto
quello che sappiamo agli inquirenti» , spiega il fratello Sergio. Gli fa eco
un cognato con gli occhi lucidi: «Lo Stato dovrebbe intervenire dopo questo
delitto che con Antonio non c’entra nulla».
Antonio Di Liberto era il consulente della maggior parte delle aziende del
circondario: da Altofonte a Misilmeri e Belmonte. Autofficine, bar e fino
all’azienda di trasporti dei fratelli Bisconti, anche loro imparentati col
pentito e anche loro cugini dei Di Liberto. In via Umbria, a pochi metri da
dove è stato freddato Di Liberto, c’è un’altra bella villa. Ci abita
l’ostetrica che è arrivata tra le prime a soccorrere il commercialista
ammazzato. «Siamo ancora sotto shock per quanto è accaduto. Pensavamo che
quegli spari fossero di cacciatori fuori stagione. Qui intorno nessuno rispetta
le norme sull’attività venatoria. E, invece, non era così» . Su un palo della
luce all’interno del giardino la famiglia da qualche tempo ha installato una
telecamera: «Qui i ladri sono una costante e cerchiamo di difenderci» ,
racconta l’ostetrica. Quella telecamera potrebbe avere inquadrato il passaggio
degli assassini.
Dalla Statale alla piazza del paese dedicata a Garibaldi sono dieci minuti
in auto. E il paese o resta in silenzio o dice: «Se ne va un pezzo importante,
un grande professionista» . Un’icona per tutti il commercialista di successo
che «mai ha avuto una lite con qualcuno» , «mai ci sono stati clienti
insoddisfatti nel suo studio» e «era di una gentilezza disarmante». Resta il
mistero. Perché gli hanno sparato? «Forse – dice una donna – non lo sapremo
mai».
La Repubblica Palermo, 10 maggio 2019
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