Emanuele Macaluso parla a Portella della Ginestra dopo 71 anni. Nel 1948, da giovanissimo segretario della Cgil, aveva tenuto il suo primo comizio dal sasso di Barbato, a un anno dalla strage. Oggi ha concluso il suo intervento piangendo, per l’emozione di essere tornato forse per l’ultima volta in quel posto e per il saluto e la promessa fatta ai caduti. Questa la trascrizione del suo intervento:
“Compagni, non vi dimenticheremo mai”, ha detto Macaluso con gli occhi che si riempivano di lacrime. “Non potevo mancare a questo appuntamento, volevo tornare qui, questi sono stati i momenti della mia formazione. Per me, che poi ho avuto tanti incarichi, la mia formazione politica, sociale e umana è legata agli anni in cui sono stato nel sindacato e in cui ho potuto coltivare un rapporto umano con migliaia di lavoratori, contadini, metallurgici, operai, braccianti e zolfatari.
Quando gli operai del Cantiere scioperavano per 40 giorni e gli zolfatari per 60 giorni, pensate che io di notte potessi dormire? No, pensavo a quelle donne, a quegli uomini a quei bambini. Uno sciopero in quegli anni per me diventava un modo diverso di concepire il lavoro e la battaglia sindacale. Ho diretto l’organizzazione del PCI, sono stato deputato, senatore, direttore dell’Unitá, ho avuto tanti incarichi importanti ma la mia nascita politica e come persona è qui. Per questo io, a 95 anni, voglio tornare a dirlo ai giovani. Badate che se non unite l’Europa, e se non si capisce che esiste una questione sociale nel nostro Paese, cosa che una forza di sinistra dovrebbe capire - la questione sociale dovrebbe essere ragione essenziale della sua esistenza- non si va avanti. Questo è mancato in questi anni. Io ogni giorno scrivo e ho ricordato a questi compagni, e amici, che la questione sociale a volte è stata cancellata anche da governi di centrosinistra, che non hanno riconosciuto nemmeno il sindacato come interlocutore, come colui con cui fare i conti, perché significa fare i conti col mondo del lavoro. Ed è questo che mi preme sottolineare ancora una volta. Nel 1947, quando si consumò quella strage, c’era ancora l’unità sindacale, che poi si è rotta dopo il 1948. Io ero segretario regionale e facevo parte della direzione nazionale. Ricordo quel giorno in cui era riunito il direttivo della Cgil e i dirigenti della corrente cattolica uscirono e fecero la scissione. Ricordo la faccia triste di Di Vittorio, i suoi tentativi di mantenere l’unità. Era difficile, il mondo si separava. C’era la guerra fredda, c’erano divisioni nazionali e internazionali che condizionarono, in negativo, il sindacato, che subì la scissione. Oggi la situazione è cambiata, non c’è più nessuna ragione per essere divisi. Non ci sono più quei partiti e non c’è più la guerra fredda. E quindi bisogna lavorare all’unità del sindacato. Mi fa piacere che Landini abbia posto con forza questo problema. Si farà, non si farà? Però bisogna porla la questione. Bisogna dire ai lavoratori che per incidere su una situazione politica grave, gravissima, in cui la destra ha ripreso il manico del potere e lo esercita come vediamo che lo esercita, ebbene ritengo che oggi la forza organizzata del mondo del lavoro, che purtroppo è solo il sindacato, il quale ha una grande responsabilità, sociale e anche politica, culturale e di formazione delle coscienze, oggi può incidere per contrastare processi politici negativi, vergognosi anche. Stamattina ho letto che Urban, il governante ungherese, che ha già soppresso l’indipendenza della stampa e della magistratura, ha detto di avere impedito in Ungheria l’ingresso anche di un solo emigrato. Allo stesso modo il ministro degli Interni italiano Salvini ha impedito che entrassero in Italia immigrati via mare. Ecco l’unità della destra fatta sulla pelle del mondo più disagiato. Meglio vederli annegare che salvarli. È una vergogna, se penso a cosa è stata l’emigrazione italiana. Questi cialtroni non lo sanno o non lo vogliono sapere. Io sono andato negli anni Cinquanta e Sessanta in Germania, in Belgio, a Marsinel . Come vivevano i nostri emigrati? In Germania vivevano accampati. Come lo sono oggi i braccianti. Io vi assicuro che ho visti gli italiani in quelle condizioni. E oggi tutto questo è stato dimenticato, quello che è stato fatto ai nostri padri, fratelli e ai nostri figli. Come sono stati dimenticati i morti nella miniera di Marcinelle, in Belgio, con tanti italiani tra le vittime tra cui molti siciliani. Questa è storia e memoria. Un popolo che perde la memoria perde il domani. La memoria serve per costruire il domani, per non commettere gli errori che sono stati fatti . È questa la memoria da conservare. E quindi anche la memoria di Portella. Questa giornata serve a dirci: compagni, che siete morti qui, noi non vi abbiamo dimenticato. Noi, il messaggio che ci avete dato, siamo qui per proiettarlo nel domani, con i giovani, con i ragazzi, per fare una Sicilia e un’Italia migliori. Onore ai caduti di Portella e a tutti i caduti della lotta alla mafia, all’arroganza, alla prepotenza”.“Compagni, non vi dimenticheremo mai”, ha detto Macaluso con gli occhi che si riempivano di lacrime. “Non potevo mancare a questo appuntamento, volevo tornare qui, questi sono stati i momenti della mia formazione. Per me, che poi ho avuto tanti incarichi, la mia formazione politica, sociale e umana è legata agli anni in cui sono stato nel sindacato e in cui ho potuto coltivare un rapporto umano con migliaia di lavoratori, contadini, metallurgici, operai, braccianti e zolfatari.
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