CLAUDIO REALE
«Contrapporre la liberazione dal fascismo e la lotta alla mafia non ha
senso. Possiamo celebrarle entrambe, e con quelle celebrare la liberazione
della donna o il suffragio universale. Sono tappe di un processo storico che
bisogna rivendicare e difendere». Lo storico Salvatore Lupo non accetta la logica del ministro dell’Interno
Matteo Salvini, che domani sarà a Corleone per provare a spostare l’attenzione
dall’antifascismo all’antimafia: «Siamo nel 2019 — ha detto il ministro degli
Interni annunciando la sua partecipazione alle iniziative in provincia di
Palermo — e mi interessa poco il derby fascisti-comunisti. Mi interessa il
futuro del nostro Paese». «La pacificazione — ribatte Lupo — è un argomento con
una sua tradizione. In genere viene invocata dai neofascisti. Salvini, invece,
dice che tutto questo non esiste più, che è solo un trucco dei suoi avversari
per cambiare argomento. E invece è lui a cambiarlo».
Ecco, siamo al punto: come sta la nostra
democrazia?
«La nostra democrazia è a un brutto passaggio. Io capisco che moltissimi
definiscano i rischi che corre attualmente la nostra democrazia come fascismo:
fa parte del linguaggio politico. Bisognerebbe dire però che questo ha poco a
che vedere col fascismo storico».
Perché?
«Perché il fascismo storico si collega con un tempo specifico, quello
fra le guerre mondiali, e ha una funzione: la risposta ai problemi di una
transizione politica. È irripetibile, per fortuna: perché quella risposta fu
catastrofica».
Quindi chi evoca il fascismo oggi sbaglia?
«Non sono d’accordo con chi dice che c’è un problema di rinascita del
fascismo. Ma ammetto che il linguaggio radicale possa usare delle parole per
evocare dei concetti».
Si spieghi meglio.
«Se io voglio dire a una persona che è prepotente gli darò del
mafioso. Non è letterale, ma fa capire. Ecco: chi vuol usare una definizione
radicale non ha bisogno della mia autorizzazione. Non ha bisogno
dell’autorizzazione degli storici».
L’esempio sulla parola “mafioso” era
particolarmente calzante, visto che la contrapposizione che fa Salvini riguarda
proprio mafia e fascismo.
«Nessuno mette in dubbio l’importante della battaglia contro la mafia. La
liberazione dal fascismo è però una tappa di avvicinamento alla nascita
della nostra Repubblica democratica, ed è dunque una precondizione per tutto
ciò che siamo, anche per Salvini».
Questa data, quest’anno, assume un
significato diverso? Cosa bisognerebbe fare per celebrarla?
«Per me che faccio lo storico e che sono nato nel 1951 questa data ha
sempre assunto lo stesso significato. I movimenti, però, fanno bene a cercare
di riempire questa occasione con una risposta ai pericoli per la democrazia. Anche
perché, se Salvini avesse voluto, avrebbe potuto usare il Primo maggio: se
davvero avesse voluto celebrare la lotta alla mafia, sarebbe potuto venire a
Portella delle Ginestre fra una settimana. Le date hanno un significato in
relazione a quello che rappresentano: io sono affezionato all’idea che il 25
aprile sia una tappa importante della democratizzazione passata».
Passata? Non è una lettura che va
declinata al presente, dunque?
«No, ma i movimenti che fanno un investimento sul futuro fanno benissimo a
virarla sui tempi che stiamo vivendo».
Cosa farà lei il 25 aprile di quest’anno?
«Forse niente. Tradizionalmente vado alle manifestazioni, ma forse adesso
sono vecchio. Mi piacerebbe di più fare un seminario con i miei studenti».
È questo che dovremmo fare?
«È quello che faccio io. Nella storia che insegno io il fascismo c’è».
Dovremmo farlo anche noi? Ripassare la
storia per non ripeterla?
«Ripassarla tutta, senza contrapposizioni. Parlando del 25 aprile o del 2
giugno. Parlando del 1861. La Liberazione e l’avvento della Repubblica sono
date fondanti per chi crede nelle ragioni di questa democrazia. È evidente che
in questo momento abbiamo un problema importante di investimento sul futuro.
Chi è chiamato a farlo, a progettare l’Italia di domani, dovrebbe evitare di
negare evocando derby o altre sciocchezze di questo genere».
La
Repubblica Palermo, 24 aprile 2019
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