GIORGIO RUTA
Gli spari alla cieca colpirono Angela Talluto Aveva un anno. Il fratello
ricorda quel giorno del ’45 a Montelepre: così crollò il mito del bandito “
buono”
Soffiava un leggero venticello che rinfrescava l’aria ancora calda di
quella sera di fine estate. In corso Vittorio Emanuele, a Montelepre, ci si
godeva il fresco seduti sull’uscio della casa della famiglia Spiga. Correva
l’anno 1945, il giorno era il 7 settembre. L’Italia era da poco liberata e la
banda di Salvatore Giuliano scorrazzava da un po’. «Successe il finimondo»,
ricorda nella sua officina di Palermo il meccanico Franco Talluto, 78 anni a
giugno. A quei tempi di anni ne aveva quattro e giocava sotto le gambe degli
adulti assieme alla sorellina Angela, un anno, davanti a quella casa di
Montelepre, quando da un muretto i banditi aprirono il fuoco contro di loro.
L’obiettivo era il militante socialista Giovanni Spiga, ma a morire fu la
piccola Angela: uccisa da una pallottola che la colpì in faccia.
«Molti ne parlano bene di Giuliano, per me chi spara sulla folla è un uomo
senza dignità», dice il meccanico. Franco Talluto porta ancora segni sul corpo
a ricordargli quel giorno di 74 anni fa. Mostra l’indice senza falangetta, poi
arrotola il pantalone sulla gamba sinistra per far vedere due cicatrici. «Fui
ferito anche io. Una pallottola mi colpì alla mano, un’altra entrò nella coscia
e uscì più sopra, senza colpire il femore. Caddi a ridosso di una cunetta, fu
la mia fortuna: mi riparò dagli altri proiettili, mentre altre tre persone
furono colpite».
La sindaca di Montelepre Maria Rita Crisci ha tolto la polvere da questo
omicidio dimenticato e ha dedicato una villetta comunale alla piccola vittima.
«Qui c’è ancora chi dipinge Giuliano come un eroe. È più facile pensarlo
così in un paese in cui la ferita è ancora aperta e tante vicende vanno
chiarite», dice la donna eletta nel 2015, con una lista civica di centro
sinistra.
Ci tiene molto alla memoria, questa amministratrice, con la tessera del Pd
in tasca: «Ho un sogno, aprire un centro di documentazione in cui poter
dare ai nostri giovani la possibilità di informarsi senza visioni di parte.
Voglio mettergli sotto il naso la storia, fuori dai cliché».
Il signor Franco era troppo piccolo per ricordare bene l’agguato, ma la
storia l’ha sentita ripetere a casa tante volte da averla fatta sua. In un
angolo del portafoglio, custodito in una tasca interna della tuta, tiene
piegato in quattro un fogliettino su cui è stampato un articolo comparso su un
sito che parla di sua sorella Angela. «Noi vivevamo a Palermo, in via Catania.
Mio padre Pasquale faceva il muratore, mia madre Antonina, originaria di Montelepre,
era casalinga», ricorda Talluto. Il 7 settembre, la signora e i figlioletti
Angela e Franco prendono la corriera e vanno in paese a trovare la nonna.
Cenano da lei e intorno alle 21 la salutano. «Siamo andati davanti alla casa
degli Spiga dove erano tutti riuniti fuori, come si usa fare nei paesi. Poi successe
il finimondo», ricorda Talluto. A essere denunciati per l’agguato furono
Salvatore Giuliano, Rosario Candela e Antonino Terranova. Volevano uccidere
Spiga per la sua fede socialista, ma lo mancarono. E non le presero mai più
perché si andò a rifugiare negli Stati Uniti.
«Quando finirono gli spari, i feriti fummo messi nel cassone del camioncino
di un lattaio per andare subito in un ospedale. Ma, mi raccontarono, che i
banditi bloccarono sia la strada per Partinico, sia quella per Palermo. Dei
conoscenti avviarono un dialogo e il camioncino riuscì ad andare nel capoluogo.
Ma per mia sorella non c’era più nulla da fare», ricorda Franco.
La memoria di Angela Talluto la coltiva con cura Graziella Accetta, la
mamma di Claudio Domino, il bimbo ucciso nel 1986 a Palermo. La vicenda l’ha
raccontata in una scuola di Montelepre davanti a una platea di studenti che non
conoscevano la storia di quel maledetto 7settembre: «Sono 109 i bambini uccisi
dalla mafia. Un numero che dimostra come sia una fesseria che Cosa nostra abbia
un codice d’onore», dice la donna che domani ricorderà anche la piccola vittima
del bandito in un incontro nell’auditorium di Montelepre. Sulla stessa linea è
Dino Paternostro, responsabile legalità della Cgil Palermo: «Giuliano non era
solo un bandito ma anche un mafioso che non guardava in faccia nessuno. Altro
che Robin Hood».
Per molti anni, in un angolo di casa Talluto, in un quadro era custodito un
ricciolo biondo di Angela. «Poi non so che fine fece. Mia mamma il giorno
dell’agguato era incinta. Quando partorì una femminuccia e la chiamò come la
figlia uccisa. Aveva la sindrome di down e l’attenzione di tutta la famiglia si
spostò su di lei», racconta Franco.
Sono trascorsi tre quarti di secolo dall’agguato di Montelepre. Una domanda
senza risposta rimbalza in testa al meccanico: «Dove è il corpo di mia sorella?
Non so dove la seppellirono, mi piacerebbe prendere quel che rimane e
portarla al cimitero dei Rotoli, dove abbiamo una tomba di famiglia». Infila,
il fogliettino con l’articolo su Angela nel portafoglio, esce dall’officina e
conclude: «Possono dire quello che vogliono, ma chi spara sulla folla è un
irresponsabile».
La Repubblica Palermo, 4 aprile 2019
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