di Agostino Spataro
1… Se il conflitto libico dovesse acuirsi- ha avvertito (o minacciato?) Serraj- migliaia di libici e non solo si riverserebbero in Italia. Ecco, ci risiamo: per spingere l’Italia a entrare direttamente nel conflitto interno libico si continua con il gioco dei ricatti. La politica, la diplomazia, la dignità dei popoli sono state sostituite dal ricatto e, talvolta, dalla corruzione. In Libia e altrove. Anche questo è un segno inquietante dei tempi tristi che stiamo vivendo.
L’Italia non deve ingerirsi, ma agire affinché cessi il conflitto e che in Libia vincano la pace e la concordia nazionale. In caso contrario, di fronte alla fuga di profughi di guerra, certo, non si potranno chiudere i porti anche se non sta scritto in nessun libro che devono accollarseli tutti l’Italia e l’Europa.
Saremmo, infatti, di fronte ad una nuova emergenza umanitaria
internazionale che, in quanto tale, va affrontata in un quadro di
responsabilità internazionale,in ambito Onu e in altri, ripartendone il
carico, in misura proporzionata, ai Paesi europei ed arabi, in primo luogo a
quelli che hanno provocato e alimentato il conflitto. Poiché deve finire questa
storia che ci sono alcuni governi che accendono l’incendio e poi lasciano ad
altri l’onere di riparare i danni. Si dovrebbe introdurre una norma che
obblighi gli Stati bellicisti a far fronte alle conseguenze derivate in termini
di accoglienza dei profughi e di ricostruzione delle città, delle economie
distrutte.
La guerra in Libia l’hanno accesa alcuni Paesi importanti e ricchi quali
gli Usa, la Francia, la Gran Bretagna cui si sono accodati alcuni stati arabi e
islamici, quale il Qatar, la Turchia e purtroppo anche l’Italia. Così come lo
Yemen è sotto attacco di una coalizione di sceiccati arabi, guidati
dall’Arabia Saudita. D’altra parte, è preferibile accoglierli nei paesi
confinanti poiché, è ragionevole attendersi che, finita la guerra, i profughi
rientrino più agevolmente nelle loro case. Come accade nella piccola e povera
Giordania che, da anni, accoglie diverse centinaia migliaia di profughi
provenienti da diversi Paesi del Medio Oriente: dai Territori palestinesi
occupati dagli israeliani, dall’Iraq, dalla Siria, dallo Yemen,
ecc.
2… Che fare? Agire per restituire al mite popolo libico il livello di relativo
benessere conosciuto nel recente passato e la speranza di una democrazia più
evoluta e di vivere in pace con tutti i popoli del Mediterraneo e
dell’Africa. Se in Libia c’è, oggi, un Paese europeo che sta rischiando
qualcosa di grosso questo è l’Italia. Ho scritto, per tempo, che la guerra a
Gheddafi era anche contro gli interessi italiani in Libia e che si sarebbe
vinta la guerra ma perdere il dopoguerra.(1)
Esattamente, ciò è successo in questi 8 anni. Gli ultimi nostri governi
hanno agito con dilettantismo e in posizione subordinata agli interessi
strategici di paesi nostri concorrenti, per altro puntando sul cavallo
sbagliato. Ed ecco il risultato: disastroso per il popolo libico e per
la pace e la sicurezza nel Mediterraneo. Persistere nell’errore, oltre
che un’inammissibile ingerenza, sarebbe un assurdo accanimento
contro se stessi.
L’Italia, infatti,era (è?) il principale partner europeo della Libia. Non
so bene oggi, ma nel passato Italia e Libia di Gheddafi potevano vantare un
quasi pareggio della bilancia commerciale. Fatto unico con i Paesi arabi
produttori d’idrocarburi.
L’emigrazione si sviluppava in senso inverso: dall’Italia partirono circa
20.000 tecnici e operai per andare a lavorare in Libia. Un grande risultato
politico ed economico, frutto della sapienza e della lungimiranza della nostra
politica estera, elaborata e supportata da una intesa politica e parlamentare
che accomunava maggioranza e opposizione del Pci.
La crisi libica è affare del popolo libico. L’Italia, l’Unione europea
dovrebbero astenersi dalle ingerenze, dal vendere armi, semmai adoperarsi per
favorire una soluzione politica del conflitto, per l’unità nazionale della
Libia, politica e fisica.
3… Non si può affrontare il dramma delle migrazioni verso
l’Italia e l’Europa solo con il metro delle misure di sicurezza (in parte
necessarie) oppure monetizzando le politiche di contenimento dei flussi. L’immigrazione
deve avvenire nella legalità e nella solidarietà, nel rispetto delle leggi e
della dignità umana.
Da tempo, in Italia. il dramma dei migranti è divenuto per il ceto politico
non un fatto umanitario, ma materia di vergognosa contesa elettorale fra i due
schieramenti (razzisti e “buonisti”); gli immigrati sono stati visti come merce
da trafficare o da rinchiudere nei lager in condizioni disperate mediante
accordi monetizzati mirati a bloccarli in Sudan o in Libia.
Fino a oggi, questo è stato il profilo delle politiche portate avanti
dall’Italia e dalla U.E. Soldi, soldi, soldi per tenere lontani gli immigrati e
soldi, tanti soldi, lucrati da trafficanti spregiudicati (spesso pregiudicati)
che controllano i flussi, impongono ai malcapitati prezzi esagerati e
condizioni di vera schiavitù.
Visti i pessimi risultati, appare chiaro che bisogna cambiare radicalmente
le politiche migratorie nazionali e comunitarie.
Una nuova politica migratoria è possibile.
L’Unione Europea, il nuovo Parlamento che andremo ad eleggere a fine
maggio, dovranno farsi carico del problema, proponendosi come centro di
programmazione e di coordinamento delle politiche migratorie, creando un fondo
specifico per finanziare le azioni necessarie.
A tal fine sarebbe auspicabile che l’U.E. promuovesse, con la
partecipazione dei principali Paesi d’origine, una Conferenza intergovernativa
sulle migrazioni per giungere ad accordi di programmazione e di
regolamentazione dei flussi, di promozione dell’accoglienza, favorendo
l’integrazione socio-economica e il rispetto dei diritti salariali e normativi
dei migranti legalmente presenti nei singoli Paesi europei.
Così come sul versante delle organizzazioni non governative bisognerebbe
rimodulare e re-indirizzare il ruolo delle Ong le quali devono produrre in
loco formazione, istruzione e soprattutto assistenza allo sviluppo
socio-economico locale, occupazione, cultura democratica, ecc. (2)
4… La situazione è difficile, al limite ingovernabile. Taluni
pensano che possa essere risolta ricorrendo ai tribunali.
Purtroppo, in fatto di diritti umani, di crimini di guerra lo stesso
Tribunale internazionale, spesso invocato, c’è dove stravede e dove non vede.
Il problema delle migrazioni, destinato a continuare speriamo nella
legalità e nella solidarietà, non può essere affidato alle corti di giustizia e
nemmeno essere trattato, come oggi avviene strumentalmente, come cavallo di
battaglia dello scontro elettorale fra le stesse forze di maggioranza che,
fregandosene dei diritti umani e salariali dei migranti, stanno
polarizzando il confronto, in un gioco delle parti davvero scandaloso ai danni
dei migranti e di una “sinistra” (quale?) che - secondo l’editorialista di “La
Repubblica” Federico Rampini- rischia di essere percepita dagli elettori come
“il partito degli stranieri”.
Certo, alcuni eccessi ci sono stati e vanno condannati. Tuttavia, il
problema non si risolve deferendolo ai tribunali (che devono accertare e
condannare le eventuali responsabilità di chicchessia), ma con uno sforzo
unitario di comprensione, d’impegno politico a tutela dei diritti di
tutti: dei migranti e dei cittadini italiani che li accolgono.
5… Perché la Libia? A mio parere, la causa principale sta ne
valore intrinseco, geo-economico e strategico, della Libia. Quanto vale
la Libia? Molto, anzi moltissimo. Per le sue importanti risorse di idrocarburi
(e anche per le sue riserve auree) questo Paese costituisce un boccone troppo
ghiotto per le superpotenze mondiali le quali non intendono lasciare all’Italia
il primato nelle relazioni preferenziali, economiche e anche politiche,
conseguito durante i 42 anni della gestione di Gheddafi. Questo mi
sembra il punto politico dirimente.
La storia delle relazioni italo-libiche nel secondo dopoguerra è davvero
emblematica di una concezione politica intelligente, accorta che, basandosi sul
principio della reciprocità, ha consentito di costruire un rapporto
solido e vantaggioso per entrambi i Paesi. A differenza degli ultimi
governi, in passato l’Italia ha operato, da protagonista, per realizzare, con
successo, unapolitica estera, relativamente autonoma, verso la
Libia all’insegna della non ingerenza e della cooperazione in
diversi campi.
Un passato che non può essere rimosso, anzi che andrebbe ricordato, nel
bene e nel male, soprattutto alle nuove generazioni che sconoscono taluni
passaggi-chiave di tali relazioni.
A iniziare dal dramma (nostro) della cacciata, nel 1970, dei circa 20.000
coloni italiani. Ai soliti tromboni che chiedevano guerra, i governanti
italiani reagirono con saggezza e lungimiranza. All’indomani di quel drammatico
evento, il ministro degli esteri italiano, Aldo Moro, incontrò il
ventisettenne Gheddafi, leader della "rivoluzione" libica e insieme
tracciarono le linee della futura collaborazione economica, commerciale e,
anche, militare. Moro intuì le potenzialità del nuovo regime e le grandi
opportunità che si delineavano per l’Italia e si adoperò, realisticamente, per
incrementare e riequilibrare la bilancia commerciale e per rimpiazzare i 20.000
espulsi con 20.000 fra tecnici e operai specializzati italiani che
sarebbero arrivati, di li a poco, al seguito di grandi e medie aziende
italiane. Fra queste di grandissimo rilievo è la presenza dell’Eni e delle
consociate.
Taluni, polemicamente, lo definirono “lodo Moro”. Lodo o altro, quelle
intese funzionarono a lungo, con esiti reciprocamente vantaggiosi per la pace
nel Mediterraneo e per il progresso socio-economico dei due Paesi.
Un rapporto laborioso, talvolta complicato, ma sostanzialmente leale. La
nostra lealtà fu tale che quando, nel 1971, i nostri servizi scoprirono
una nave di congiurati libici in partenza da Trieste per Tripoli con
l’obiettivo di rovesciare il regime di Gheddafi con l’assistenza e le armi
fornite dai servizi di sua Maestà britannica, l’on. Moro diede
ordine al generale Vito Miceli, capo dei servizi, di bloccarla per far fallire
il complotto.
Come dire: bisognava salvare Gheddafi per salvare gli interessi italiani in
Libia.
Altri tempi! Oggi, purtroppo, il nostro Paese è allo sbando, isolato e
maltrattato nel consesso delle nazioni, alle prese con una crisi acuta,
economica e di fiducia verso le istituzioni dello Stato e il sistema economico,
che mina gli assetti e il fururo della convivenza democratica della società
italiana. Speriamo bene.
(19/4/2019)
Agostino Spataro, giornalista, già membro delle commissioni Esteri e Difesa della Camera
dei Deputati, è autore di:
(1) “Nella Libia di Gheddafi” (2014)
Nessun commento:
Posta un commento