FRANCESCO MERLO
Solo Roma rende i giovani più giovani. Intanto perché sono tanti, ma
soprattutto perché sono inattesi nella città più scettica e più sgamata del
mondo.
Meno di Milano, certo. Ma con il vantaggio che qui l’ abbondanza, la
potenza e il flusso sono la vita dove non te l’aspetti. Un chilometro di
manifestazione fresca, calma e composta con la sorpresa di sentire il nuovo
arrangiamento di una vecchia musica nella città dove il terribile Hulk dei
social, il Capitano di Facebook, il Truce di Instagram meno di sei mesi fa
aveva scalato il cielo della piazza del Popolo, la piazza tricolore. E invece
oggi, senza neppure dircelo, tutti in piazza Ostiense pensiamo che sia “
merito” di Salvini se Roma, che di solito preferisce lo sberleffo alla
passione, abbia invece scelto l’allegra testimonianza di sinistra.
È vero che c’è pure la liturgia di una piccola claque che applaude il
balbettio antifascista di Virginia Raggi e un’altra claque che la fischia
perché la povera sindaca come Totò « si è buttata a sinistra » . Durano poco ma
si capisce bene che applauso e fischio “ a comando” sono una cerimonia:
applaudire per non essere fischiati, fischiare per non farla applaudire. Con
l’aggravante che qui le feste nazionali, compresi il 25 aprile e il Primo
maggio, sono così liturgiche che sempre desantificano le feste.
Invece oggi non c’è il solito vuoto della folla, e la data storica non è
solo il pretesto di ritualità stanche all’Altare della Patria, ma c’è appunto
la festa vera, il capogiro collettivo, il gioioso pandemonio di sudori e di
odori. Senza farsi illusioni, però. Se stamani è tornato - ringiovanito - il
vecchio paesaggio di sinistra è anche perché Roma sta davvero male e si sente
sventrata e umiliata nella famosissima bellezza che potrebbe non essere eterna.
Dunque oggi Roma rende i giovani più giovani anche perché, illuminate dal
sole, tutte queste facce allegre non somigliano alle bandiere falce&
martello e agli slogan che sono invece quelli tristi e vecchissimi del ‘ 68. E
va bene che tutte le giovinezze sono ripetitive, ma nessuno dimentica che anche
gli uomini della sinistra hanno avuto in mano le chiavi dello Stato, il Pci e i
comunisti di Cossutta, quelli di Bertinotti, e poi Prodi, D’Alema, Bersani,
Enrico Letta, Renzi, Napolitano... Ecco perché, tenendo nelle mani il bordo
dello striscione “ No pasaràn”, questi ragazzi sorridono tutti insieme mentre
gridano « fascisti carogne / tornate nelle fogne » e addirittura « fuori i
compagni dalle galere / dentro mettiamo le camicie nere » , e ancora « bombe a
mano / contro il Vaticano » : sorridono per il disagio della inadeguatezza del
rimario trinariciuto; sorridono per la distanza che c’è tra loro e le parole
che pronunziano.
Mi avvicino ad un gruppetto che palesemente si sta divertendo e domando: «
Quali galere, quali camicie nere? » . Un ragazzetto piccolo e scuro vuol sapere
il mio nome. Lo digita su Google e comincia a farmi domande elaborando le
informazioni che trova in Rete. E finalmente, per rispondermi , si gira e mi
mostra, di spalle, la scritta sulla maglietta: “ THIS MACHINE KILLS FUCKING
FASCISTS !”. Gli spiego che il verso di quella canzone non c’entra nulla con la
sua generazione. « Chi l’ha detto? Le stampa lui, Paolo, un nostro compagno di
scuola » .
Paolo studia al Liceo Musicale e già compone, soprattutto per violino. E mi
accorgo che al collo porta il crocifisso e una chiave di violino. Domando
a tutti se voteranno, ma uno solo è maggiorenne: « Sono incerto, avrei votato
Cinque stelle, ora non lo so più. Sicuramente voterò più a sinistra di te » .
L’ insegnante di Storia, mi raccontano, ha spiegato loro la differenza tra
memoria e ricordo. « Quelli individuali, che hanno a che fare con il cuore,
sono i ricordi. Invece la memoria è collettiva, è un magazzino, il frigorifero
della realtà, il carbon fossile della storia » . Dunque l’insegnante ha assegnato
un compito sul 25 aprile: “ raccontatelo attraverso i ricordi di famiglia”.
Ebbene, in casa di Paolo ci sono i ricordi forti del fratello fascista del
nonno, che combattè a Salò, e poi c’è la memoria antifascista di mamma e papà
che hanno sempre militato nel Pci, sezione Italia, « quella di Ingrao » . E tu
che compito hai fatto? « Ho raccontato i ricordi dello zio fascista, che sono
tragici smarrimenti personali, e li ho contrapposti alla freddezza della
memoria, che è ritrovamento oggettivo e sociale: la Resistenza, l’antifascismo,
la Costituzione » .
C’è, gli dico, una canzone di Gaber: “ Caro, vecchio zio fascista....”
Sorprendendomi di nuovo, la conosce: “ ... a vederti innaffiare le tue rose /
ancora non mi entra nella testa / come hai potuto fare certe cose”.
Alle 9.30 del mattino tutti questi ragazzi non c’erano ancora. E non
c’erano neppure tutte queste donne, studentesse, impiegate, commesse,
insegnanti, madri con il passeggino, tutte disinvolte e disarmanti con l’idea
forte e generosa che si possa ritrovare la luce e l’aria anche nell’antro scuro
della politica italiana; donne giovani e donne anziane, facce non rifatte di
una Roma che ha preso vita ed è diventata un serpente lungo la via Ostiense:
colori, tamburi, balli, canzoni e un armamentario vecchio di slogan ( meglio
dimenticarli) con pochissime concessioni alla fantasia: “ sfrociarsi è un
dovere”, “ non è tornato il fascismo, ma solo i gerarchi”. Alle 9.30 quando ero
arrivato al largo Bompiani dietro le bandiere delle appartenenze avevo visto
gli omoni della Fiom, il partito comunista di Marco Rizzo, i venditori dei
giornali “ Rivoluzione”, “ Lotta Comunista”, un “ Paese Sera”, e poi i
rifondaroli, quelli di Emergency, i “ vecchi compagni” che ogni tanto vedono
arrivare un sessantotto e non vogliono perderselo, e i palestinesi che
vorrebbero spiegano - un 25 aprile che li liberi da Israele. È per loro che gli
ebrei romani hanno deciso di non aggiungere al corteo che celebra la
liberazione dal nazifascismo - di cui furono le principale vittime - le
bandiere della Jewish Brigade.
Ecco: confesso che sembrava un déjà vu, una fuoriuscita dal tempo reale, un
conformismo estenuato, la sinistra come peso e come imbarazzo. E invece, a poco
a poco, sono arrivati i ragazzi a drappelli, a ciuffi, fischiettando con le
mani in tasca... E le belle facce di una Roma non intruppata si sono ritrovate
davanti al modernissimo monumento delle Fosse Ardeatine, con quel masso sospeso
sulla coscienza del mondo. È la Roma dell’accoglienza che crede nella legittima
difesa, ma non nella giustizia fai- da- te; la Roma che vuol tornare Capitale;
la Roma che si affida al Quirinale di Mattarella e rispetta la scienza, i
libri, le competenze. È la giovinezza che irrompe nell’antiquariato, è la
sinistra in cerca d’autore.
La Repubblica, 26 aprile 2019
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