Sebastiano Tusa |
SALVO PALAZZOLO
"È morto nel giorno della battaglia tra romani e
punici: la passione a cui aveva dedicato anni di ricerche"
PALERMO - «Papà è un uomo che ama le grandi battaglie», ripete Andrea Tusa mentre
guarda di continuo il telefonino. E spera ancora che papà Sebastiano
chiami, magari dicendo: non sono salito su quell’aereo per Nairobi, non ho
fatto in tempo con la coincidenza. Sebastiano Tusa, archeologo appassionato e
integerrimo assessore siciliano ai Beni culturali, è nella lista dei passeggeri
saliti su quel volo dell’Ethiopian che non è mai arrivato a Nairobi. Tusa era
diretto a Malindi, dove era stato invitato dall’Unesco a coordinare un progetto
di ricerche in mare. Era diventato famoso proprio per le attività subacquee
portando in luce testimonianze incredibili della storia siciliana. Il suo nome
era legato anche al ritrovamento del Satiro di Mazara, una delle statue più
belle del Mediterraneo.
«Quello di Malindi è un incarico importante», Andrea ancora spera. «Papà
non si è mai arreso», dice. «Due anni fa, ha vinto la battaglia contro un
tumore molto aggressivo. Tutti lo davano per spacciato. E lui, invece, non si è
rassegnato. Perché papà è forte, determinato. Papà è il mio modello». La
speranza di un figlio, mentre un amico corre in un angolo di casa per piangere:
«Maledetto 10 marzo», sussurra Ludovico Gippetto. «Il giorno della battaglia
delle Egadi, il grande amore di Sebastiano. Dieci marzo del 241 avanti Cristo.
Una vita a studiare e fare scavi nei fondali su quella battaglia fra le navi di
Roma e Cartagine. E ora la storia ha sconfitto Sebastiano proprio il 10 marzo».
Ma Andrea non vuole sentire parlare di sconfitta. «Perché le battaglie di
papà devono essere portate avanti», ripete. L’ultima battaglia, l’archeologo
del mare di fama internazionale Sebastiano Tusa l’aveva avviata un anno fa nel
più difficile dei terreni. La Regione Siciliana. «Voleva riformare i beni
culturali e istituire venti parchi archeologici», racconta il
figlio, innamorato di questa terra come il padre — è un etnoantropologo.
«Stava conducendo la battaglia più difficile, nel palazzo». Ora Andrea fa
una lunga pausa.
Mentre nella casa di piazza Ignazio Florio è un via vai di amici e parenti,
che si stringono attorno alla moglie di Tusa, Valeria Patrizia Li Vigni,
direttrice del museo d’arte contemporanea di Palazzo Riso. L’altro figlio,
Vincenzo, archeologo pure lui, sta tornando da Londra, dove lavora.
Andrea riprende: «Negli ultimi tempi, papà era amareggiato, l’avevo sentito
al telefono mentre diceva, con tono arrabbiato: "L’assessore sono io, le
decisioni le prendo io". Qualcuno non l’aveva informato di una cosa
importante». Anche il padre di Sebastiano era archeologo.
«Nonno Vincenzo aveva istituito il parco di Selinunte — racconta Andrea —
Papà era su quella strada. Un’impresa non facile, c’erano persone che volevano
mettergli i bastoni fra le ruote».
Alcuni giorni fa, l’assessore si era confidato con un giornalista della
Rai, Ernesto Oliva, che era andato a intervistarlo sul ritrovamento di
un’antica nave a Trapani. «Le minacce arrivavano dai Salvo, il parco era su
alcuni loro terreni — questo l’ultimo racconto di Sebastiano Tusa — In quei
giorni, papà ci diceva di non uscire da casa». I Salvo, i potenti esattori che
erano il braccio economico di Cosa nostra. «Negli ultimi tempi, c’erano
tensioni per la storia dei nuovi parchi — sussurra Andrea — lo vedevo
preoccupato, ma lui non si fermava». A Siracusa, qualcuno insisteva per la
"riperimetrazione" del parco. «Ma Sebastiano non ne voleva sapere —
racconta uno dei suoi collaboratori, Salvo Emma — E andava avanti, con il
sostegno del governo». L’assessore Tusa aveva fretta, sapeva che il partito del
cemento custodiva grandi affari in cantiere. Dice Andrea: «Le battaglia di papà
non possono restare sepolte sotto le macerie. I venti parchi archeologici
devono essere istituiti al più presto. E così papà avrà vinto anche la sua
ultima battaglia».
La Repubblica, 11 marzo 2019
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