Giovanni Orcel |
UMBERTO SANTINO
Manca più di un mese al 21 marzo, giorno consacrato al ricordo delle
vittime delle mafie, ma ogni giorno è buono per una discussione in cui si
deplora che mentre alcune vittime sono state messe sugli altari, altre sono
completamente dimenticate.
Il Centro Impastato ha dedicato gran parte della sua attività al recupero
della memoria, raccogliendo informazioni anche, o soprattutto, su figure di cui
si sa pochissimo, quasi nulla, tranne la data in cui sono state uccise. E’
stato un lavoro che ha incontrato molte difficoltà in mancanza di fonti
affidabili, per cui, in più di un caso, si è dovuto ricorrere a formule
interrogative, riguardo al ruolo delle vittime e alle motivazioni dell’atto di
violenza che ha posto fine alla loro vita.
Ci sono poi figure che si possono definire borderline, nel senso che è
difficile tracciare un confine tra avversione e interazione rispetto
all’organizzazione mafiosa. Il problema si è riproposto anche recentemente con
il caso di imprenditori che hanno denunciato gli estorsori ma avrebbero
mantenuto rapporti con ambienti mafiosi. Sarebbe stato bene affrontare il
problema con la volontà di chiarire fino in fondo le varie situazioni, mentre
si è preferito ricorrere a provvedimenti amministrativi che hanno causato
lacerazioni nello stesso movimento antiracket. E queste lacerazioni sarà
difficile ricomporle.
Fare storia e confrontarsi con la realtà attuale, in un contesto segnato da
pervasività e ambiguità, in cui la stessa antimafia troppo spesso si concede
alla spettacolarità, organizza eventi e diserta la quotidianità e talvolta più
che esprimere una netta presa di posizione si presta a camuffamenti (le
cronache giudiziarie mostrano personaggi che hanno fatto della predicazione
antimafia la maschera di complicità mai archiviate) vuol dire muoversi con
avvedutezza e sapere che c’è sempre, o spesso, una certa dose di rischio.
L’unico criterio da seguire dovrebbe essere l’onestà intellettuale con cui
si ricostruisce il passato o si analizza il presente. E questo non vale solo
per la mafia, si può dire che valga sempre e in ogni caso. E sono scelte da
evitare sia la santificazione che la condanna all’oblio.
Qualche caso esemplare. Giovanni Falcone è diventato, spesso assieme a
Paolo Borsellino, altre volte da solo, una sorta di santo patrono (ed è stata
una scelta all’insegna della sacralizzazione quella di separare il suo corpo da
quello di Francesca Morvillo, sua compagna di impegno e di vita, e porlo in una
chiesa, Pantheon del sicilianismo, accanto a personaggi con cui non aveva nulla
da spartire) ma si tende sempre più a oscurare la sua biografia: le avversioni
all’interno della magistratura, le invidie e le denigrazioni, anche da parte di
membri settari e incolti della cosiddetta società civile, il vero e proprio
calvario che ha vissuto prima di essere immolato dalla violenza mafiosa.
Giovanni Orcel, il sindacalista ucciso il 14 ottobre 1920, non figura nelle
storie della mafia più gettonate e una delle ragioni può essere stato il
ricorso alla vendetta privata da parte dei suoi compagni, stanchi di attendere
una giustizia che non sarebbe mai arrivata, con l’uccisione del capomafia
indicato come mandante del delitto.
Il Centro Impastato assieme alla CGIL ha voluto riscoprire il suo ruolo
all’interno di un periodo storico decisivo nella storia del nostro Paese. C’è
una lapide sul luogo dell’uccisione, in via Vittorio Emanuele, chi vi passa è
pregato di guardarla, e c’è un libro, di cui si consiglia la lettura.
Ma anche per Peppino Impastato si può dire che se fosse stato per la
magistratura, con poche eccezioni, e le forze dell’ordine sarebbe passato per
attentatore. Se è diventato una delle vittime di mafia più note e amate si deve
all’impegno di pochissimi che per anni hanno dovuto subire emarginazione e
avversione. La giustizia e la memoria non sono gratuite, si conquistano. Ma per
farlo occorrono costanza fino all’ostinazione. Non basta redigere elenchi più o
meno improvvisati e scopiazzati a destra e a manca, pensando di fare uno scoop
mentre è soltanto una minestra riscaldata.
La Repubblica Palermo , 19 febbraio 2019
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