Palazzo D'Orleans, sede della Presidenza della Regione siciliana |
Umberto Santino
È una vecchia storia ma, come tutte le vecchie storie, rischia di
riprodursi all’infinito e diventare una parte del paesaggio, un fatto naturale.
La storia è quella della famigerata Tabella H che, con denominazione mutata
o anonima, continua a imperversare. È una sorta di libro-paga della Regione
destinato a foraggiare un po’ tutti, da comitati, associazioni, fondazioni,
istituti che hanno una storia e sono certamente esperienze importanti nella
realtà regionale, alle feste patronali e alle sagre paesane. Un accostamento
che è già di per sé incongruo e umiliante.
Anche quest’anno il rito della pioggia di finanziamenti si è ripetuto, ma a
scartamento ridotto. Da qui recriminazioni e lamentazioni.
Sulla stampa si legge che «tutto li fronte antimafia» è in subbuglio.
Veramente tutto non proprio. Per esempio, il Centro Impastato non ha di che
lamentarsi, poiché non fa neppure domanda, niente chiede e niente riceve.
Anche questa è una vecchia storia. Non abbiamo fatto voto di povertà. Fin
da quando ci siamo, dal 1977, ci siamo guardati in giro e abbiamo visto che
vento tirava. Per fare qualsiasi attività ci vogliono soldi e non ci voleva
molto a capire che l’autofinanziamento non bastava. Ma non c’è voluto neppure
molto per capire che i fondi regionali venivano distribuiti con un criterio
rigorosamente clientelare. Non era difficile accodarsi.
Bastava avere qualche contatto con un assessore o anche con un funzionario
di qualche peso e ce ne sarebbe stato anche per noi. Ma era questo che volevamo
accingendoci a svolgere la nostra attività? E per di più dopo aver deciso di
dedicare il Centro a Peppino Impastato, che aveva rotto con il padre e la
parentela, esempio di una radicalità inedita, ma su cui allora circolavano voci
persistenti e diffuse che lo davano per terrorista, inesperto o suicida?
Abbiamo fatto un tentativo volto, con molta, imperdonabile ingenuità, a
cambiare in qualche modo le cose. Dopo anni di esclusivo autofinanziamento, nel
novembre del 1987 abbiamo presentato un dossier dal titolo "Un centro per
uno" con il sottotitolo "Le spese culturali della Regione
siciliana" e immagine di copertina una grande Q: il marchio di qualità. Ci
sosteneva l’allora gruppo parlamentare di Democrazia proletaria all’Assemblea
regionale, che da tempo fa parte dell’antiquariato. Poche pagine, con
un’introduzione sui «cento fiori siciliani», le tabelle con i dati sui
finanziamenti e le organizzazioni beneficiarie. E poi le proposte: una legge
che regolasse l’erogazione dei fondi sulla base di un criterio oggettivo: chi
c’è, cosa fa, che competenze ha, di quali mezzi si è dotato, quali sono i suoi
programmi?
Erano proposte elementari, ma non hanno avuto molto seguito. Eppure, dopo
più di dieci anni, nel 1999, con la legge regionale 20, qualcosa delle nostre
proposte è stato accolto.
L’articolo 16 istituiva un albo regionale di associazioni, fondazioni,
centri studi, in possesso di requisiti che sarebbero stati indicati con un
apposito protocollo, e solo questi sarebbero stati ammessi al finanziamento. Il
regolamento sarebbe venuto solo nel gennaio del 2003. Nel frattempo si era
levato il coro delle lamentele da parte di centri, associazioni, fondazioni a
cui erano stati sospesi i contributi. E Cuffaro, che si accingeva a vivere le
disavventure che l’avrebbero portato a Rebibbia, accolse le lamentele e
archiviò quella norma.
Da allora i tentativi di cambiare musica sono caduti nel vuoto e siamo
arrivati fino a oggi. Si è istituzionalizzato un tipo di antimafia che si
potrebbe definire "assistita", che va in crisi se vengono tagliati o
azzerati i fondi. Si vuole continuare su questa linea, giocare la partita a chi
ha di più e a chi ha di meno, o è arrivato il momento che il "fronte
antimafia" si mobiliti per sottrarsi alla dipendenza dall’assessore e dal
governatore di turno?
Ma già gli auguri per il nuovo anno lasciano spazio al disincanto di un
indimenticabile dialogo leopardiano.
La Repubblica Palermo, 13 genn 2019
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