Nando Dalla Chiesa |
di ELISA
CHIARI
Sta facendo clamore la notizia di un ristorante di Parigi a pochi passi dall’ Arco di Trionfo, intestato alla società per azioni Luvitopace, con l’insegna Corleone by Lucia Riina, aperto dall’ ultima dei quattro figli di Totò Riina, capo dei capi di cosa nostra morto in carcere nel 2017. Abbiamo chiesto a Nando Dalla Chiesa, figlio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa ucciso da cosa nostra il 3 settembre del 1982, docente di Sociologia della criminalità organizzata all’ Università statale di Milano, che ha assegnato recenti tesi di laurea sul tema dei ristoranti che all’ estero usano la mafia come marchio, di aiutarci a capire che cosa rappresenta questo caso particolare e quali messaggi trasmette.
Sta facendo clamore la notizia di un ristorante di Parigi a pochi passi dall’ Arco di Trionfo, intestato alla società per azioni Luvitopace, con l’insegna Corleone by Lucia Riina, aperto dall’ ultima dei quattro figli di Totò Riina, capo dei capi di cosa nostra morto in carcere nel 2017. Abbiamo chiesto a Nando Dalla Chiesa, figlio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa ucciso da cosa nostra il 3 settembre del 1982, docente di Sociologia della criminalità organizzata all’ Università statale di Milano, che ha assegnato recenti tesi di laurea sul tema dei ristoranti che all’ estero usano la mafia come marchio, di aiutarci a capire che cosa rappresenta questo caso particolare e quali messaggi trasmette.
Professor Dalla Chiesa, a partire
dalla sua esperienza personale e di studioso, come legge questa insegna che sta
indignando molte persone?
«I Riina sono convinti di
rappresentare un marchio che può far leva sul consenso, una provocazione senz’
altro, ma anche un calcolo sui vantaggi economici che ne possono derivare. Ma
sta ad altri vanificare questo progetto, alle persone che possono scegliersi un
ristorante e rifiutarne un altro. Anche se non possiamo dimenticare che anche a
Pietro Maso che uccise i genitori arrivavano i carcere lettere con proposte di
matrimonio. Ci sono persone di psiche labile, ci sono persone che subiscono la
fascinazione del male e dunque ci sarà sempre qualcuno che racconterà con
vanità di avere cenato in quel ristorante, diversamente le mafie non avrebbero
l’influenza che hanno e che vive anche di consenso».
Succede a Parigi, all’ estero è più
facile?
«Sì è più facile perché l’Europa si
trastulla con l’iconografia della mafia come se fosse una cosa carina,
folklore, un gattino simpatico da tenere in braccio. È difficile far capire
all’ Europa che la criminalità organizzata è una bestia che gliela farà pagare
cara. Sto partendo ora per un ciclo di conferenze in Germania, che sta ancora
indietro in termini di consapevolezza».
Stiamo parlando di istituzioni o di
società civile?
«Di istituzioni, se le isitutuzioni
europee centrali e dei singoli Paesi mandassero messaggi diversi, le persone
avrebbero sentimenti diversi: noi vediamo che le istituzioni danno i messaggi
che vogliono: se comunicano paura serpeggia la paura, se comunicano
consapevolezza anche quella si diffonde, se comunicano messaggi di distacco
prevarrà il distacco. È vero che ci sono persone che non sono indifferenti e
che si battono comunque per trasmettere conoscenza, ma finché le istituzioni
restano inerti, la gente che si attiva sarà un’esigua minoranza».
ll sindaco di Corleone, Nicolò
Nicolosi, ha reagito con indignazione, ha detto che farà quanto legalmente
in suo potere per perché il nome e lo stemma della città siano dissociati da
quel ristorante...
«Le racconto un episodio per me
significativo: ai primi di settembre abbiamo fatto l’ università itinerante in
Sicilia: un percorso di rinascita a ritroso da Palermo ai luoghi delle lotte
contadine, siamo stati anche a Corleone e quando siamo andati a prendere un
caffè in piazza con gli studenti mi si è avvicinato commosso un signore e mi ha
detto: “Io sono un emigrato e sento il dovere di ringraziarla perché, se è vero
che tutto il mondo associa questa piazza all’ immagine della mafia, io ora qui
vedo lei. Ci siamo commossi entrambi. Ecco io direi che c’ è in corso una
partita sull’ identità di Corleone, se i cittadini di Corleone conoscono bene
il prezzo di quel marchio, il resto d’ Italia ne ha un’idea un po’ meno chiara,
l’ Europa ancora meno».
C’ è un problema di
prossimità? Più ci si allontata più la coscienza sfuma?
«Più ci si allontana meno la
consapevolezza è presente, è facile che da lontano gli stereotipi siano aiutati
a funzionare».
Il 15 marzo scorso il tribunale Ue
ha stabilito che il la catena spagnola di ristoranti “La Mafia se sienta a
la mesa”, “La Mafia si siede a tavola”, - caso denunciato proprio a partire
dalla ricerca di un suo allievo - non potrà registrare il marchio nell'Unione
europea. Basta questo a cambiare la sensibilità?
«Purtroppo no, faremo il salto di
qualità quando la sensibilità scatterà nei clienti, uno non ci dovrebbe proprio
entrare. Lo ammetto, se uno sputasse su una vetrina che vanta certi messaggi
non lo rimproverei».
In casi come quello del ristorante
parigino, spesso si innesca la riflessione sulle colpe dei padri che ricadono
sui figli. Come la vede?
«Se i figli si prendono volentieri
il marchio del padre, perché pensano che sia economicamente vantaggioso, devono
prendersi anche le conseguenze e le responsabilità; se desiderano passare
inosservati possono evitare di sfruttare una certa simbologia».
Famiglia Cristiana, 9 gennaio 2019
Nessun commento:
Posta un commento