TULLIO FILIPPONE
La solidarietà ai migranti della Sea Watch richiama il
gesto del ’92: "Ci sono tante analogie"
«Con le lenzuola i siciliani hanno rialzato la testa dopo le stragi
mafiose. Adesso, come nel ’92, possiamo stenderle sui balconi per non essere
complici delle stragi mare e del clima di odio». C’è un filo conduttore, una
pellicola già vista, che lega le lenzuola immacolate, che recitavano
"silenzio è mafia", all’appello dei balconi siracusani a lasciare
sbarcare donne e bambini della Sea Watch, bloccati in rada a largo della città
aretusea.
Ai protagonisti della stagione del "comitato dei lenzuoli" delle
stragi di Capaci e di via D’Amelio, l’esortazione disperata di corso Umberto a
Siracusa, ricorda i tessuti bianchi sventolati dai balconi della Palermo ferita
dalla mafia.
«Oggi come allora — dice la scrittrice Beatrice
Monroy, che era nel primo nucleo ristretto — ci sentiamo
imprigionati. Nel 1992 c’era un popolo che era ostaggio passivo del piombo
mafioso, oggi c’è una società che assiste impotente a scelte politiche che
dimenticano l’umanità e, allo stesso tempo, ci sono uomini, donne e bambini
tenuti prigionieri in una nave». E già qualcuno come Valeria
Ajovalasit lancia un’iniziativa a Palermo: «Ci sono tante analogie con
quel gesto simbolico geniale lanciato da Giuliana Saladino nel ’92, spero che
questo movimento non resti solo a Siracusa, ma si estenda al resto della
Sicilia, come presidente di Arcidonna lancio un appello a tutte le persone che
si oppongono alle scelte fasciste del ministro degli Interni affinché espongano
le lenzuola».
A Palermo, le lenzuola per i migranti erano già apparse davanti al
teatro Massimo, con un j’accuse più rabbioso, all’indomani del
naufragio del 3 ottobre 2013 di Lampedusa, madre di tutte le stragi del mare,
che inghiottì 368 vite umane.
Coprivano dei finti corpi senza vita e lanciavano il messaggio "Sangue
Nostrum", in polemica con il programma europeo di salvataggio. E poco più
di due anni fa, mentre in Parlamento si discuteva della legge sullo ius
soli, alcuni giovani figli d’Italia senza passaporto si avvolgevano in
lenzuoli bianchi per chiedere la cittadinanza negata. Ma adesso, per chi ha
vissuto la stagione dei lenzuoli negli anni Novanta, a partire dalla stanzetta
dove Giuliana Saladino e sua figlia Marta convocarono i "primi
ribelli", vederle sventolare sui balconi di Siracusa è un altro «risveglio
della società civile».
«Questo gesto può avere lo stesso impatto simbolico prorompente che
ebbe l’iniziativa del comitato — dice Roberto Alajmo, che nel 2012,
vent’anni dopo, a quell’esperienza, dedicò il libro "Un lenzuolo contro la
mafia" — nel 1992 chi esponeva un lenzuolo contro la mafia aveva quasi la
sensazione di essere in minoranza, anche se in realtà, come poi dimostrò
l’imitazione di massa di questo gesto, non era così. Oggi come allora, in un
momento storico così difficile, esporre un lenzuolo per restare umani è un
gesto rivolto agli amici, a coloro i quali la pensano come te, per sentirsi
meno isolati, per farsi coraggio, per riconoscersi in una squadra e dire: qui
abita un antimafioso o un antirazzista». Secondo Piera
Falluca, professoressa al liceo Meli e una delle prime aderenti "al
comitato dei lenzuoli", nel gesto dei siracusani c’è un’analogia simbolica
molto forte con quello dei palermitani di 27 anni fa. «Quel lenzuolo dove
adesso scriviamo ‘restiamo umani’ e con il quale chiediamo di fare sbarcare i
migranti è lo stesso con cui ieri avvolgevamo i morti del piombo mafioso e oggi
copriamo i corpi dei disperati annegati in mare. Come 27 anni fa, è l’unico
modo con cui non sentirsi complici e dissentire con le scelte di una politica
che non rappresenta i nostri valori».
L’importante, però, è "essere in tanti", come quando il comitato
dei lenzuoli portava il suo messaggio ai circoli militari alle borgate
popolari. «Nel 1992 — ricorda Simona Mafai — eravamo in pochi e tutto
partì spontaneamente, ricordo i lenzuoli che cominciavano ad apparire al Borgo
Vecchio e alla Kalsa, io stessa, in punta di piedi, ne portai uno in un circolo
militare e lo esposero subito.
Questa iniziativa è lodevole, anche se per forza di cose, difficilmente
potrà toccare la forte emozione e indignazione che si respiravano in città dopo
le stragi mafiose. Mi auguro però che, come allora, ci sia un’adesione
spontanea e inaspettata».
E non è forse un caso che i lenzuoli, ancora una volta siano partiti
proprio dalla Sicilia.
«Parliamo di due momenti storici e due contesti molto diversi —
dice Giovanna Fiume, professore ordinario di storia moderna a Palermo
— ma allora come oggi il lenzuolo, medium semplice e diretto, è un simbolo per
prendere una posizione, che non poteva che essere lanciato in Sicilia, che ha
vissuto così da vicino la violenza mafiosa e che sta assistendo al dramma umano
dei migranti».
Repubblica Palermo, 27 genn 2019
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