A Corleone ieri sono stati ricordati Ugo Triolo e Mario Francese nell’ex chiesa di S. Andrea. L'iniziativa è stata organizzata dall'associazione "26 gennaio", col patrocinio del comune di Corleone e del consiglio comunale di Palermo, in collaborazione con Libera, Arci, Cgil, Consorzio Sviluppo e Legalità, Laboratorio della Legalità, Legambiente, IISS Don Colletto, IISS Di Vincenti, Associazione "Il Germoglio", Parrocchia S. Leoluca e Comitato Venerdì Santo. Ha introdotto Pippo Cipriani, sono intervenuti don Luca Leone, parroco di S. Leoluca, Dino Paternostro, direttore di Città Nuove, il dott. Leonardo Agueci, magistrato della Procura di Palermo in quiescenza. Ha concluso Dario Triolo, figlio dell'avvocato assassinato da Cosa nostra corleonese il 26 gennaio 1978. Alla fine della manifestazione si è esibita Roberta Pecoraro (voce), accompagnata da Emilio Garofalo (chitarra) e Giacomo Lucchese (tromba) con musiche e canzoni jazz soul pop "Viaggio dentro l'anima" (dp)
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IL MESSAGGIO DI GIULIO FRANCESE
Il messaggio per il Comitato 26 gennaio e per Dario Triolo
Cari amici e in particolare mi rivolgo a te caro Dario. Questa è una giornata difficile per te, per me. Una data che fa incrociare i nostri destini, le nostre storie, quella dei nostri padri, caduti nello stesso giorno, a distanza di un anno. Una data impressa nei nostri cuori, nelle nostre menti, nelle nostre vite, che ci fa guardare indietro, con rimpianto, ma per andare avanti, con l’orgoglio e la riconoscenza di appartenere a una storia non banale, ma piena di valori, che può e deve rappresentare un esempio.
Ugo Triolo e Mario Francese. Il tempo è ed è stato galantuomo. Più con noi che con te che sei ancora alla ricerca di verità e giustizia ma hai cominciato il tuo cammino di riscatto, nel nome del padre, e ti sono, ti siamo vicini in tanti. Corleone non può dimenticare l’esempio e il sacrificio di Ugo Triolo. Oggi lo ricordate in musica, con un concerto che è un viaggio nell’anima e saprà toccare il cuore di tanti giovani. È un inizio, Dario, ma è la strada giusta. E ti sono fraternamente vicino. Un abbraccio a te e a tutti voi
Giulio Francese
CHI ERA UGO TRIOLO?
Era un freddo
pomeriggio d’inverno. A Corleone, l’avvocato Ugo Triolo «aveva da qualche
minuto comprato due pacchetti di sigarette nel centrale tabaccaio di piazza
Garibaldi», avrebbe scritto un giornalista di razza come Mario Francese sul
“Giornale di Sicilia” del giorno dopo. «Con al guinzaglio il suo affezionato
barboncino nero – proseguiva l’articolo - il professionista, da circa quindici
anni vicepretore onorario di Prizzi, ma nato e residente a Corleone, si era
avviato lentamente per la via Roma, una strada in salita dove sono ubicati la
pretura e il magistrale. Trecento metri percorsi spensieratamente fumando e
giocando col suo Bull. Quindi, piazza San Domenico e poi il vicolo Triolo,
coperto da un tetto ad arco che sbocca in via Cammarata. Proprio uscendo dal
vicolo, al numero 49 di via Cammarata, è la casa dell’avvocato Triolo (…). Il
professionista ha avuto il tempo di premere sul bottone del citofono. Ha
risposto la moglie. Quindi, all’angolo della strada, a non più di due metri e
mezzo, dove si apre la via Rua del Piano (in cui abita il luogotenente di
Luciano Liggio, il latitante Totò Riina) qualcuno l’ha chiamato. “Ugo, Ugo…”.
Il professionista si è voltato , avrà visto qualcuno dinnanzi a lui con una
pistola in pugno. Ha avuto il tempo di alzare le mani, come per proteggersi il
viso. In quel momento un lugubre rosario di colpi…». Furono nove i colpi di P38
sparati contro l’avvocato Triolo. Solo due andarono a vuoto, gli altri sette lo
colpirono al petto e alla testa, uccidendolo. Erano le 17.40 del 26 gennaio
1978. Quando la moglie, col cuore in gola, aprì il portone di casa, il suo corpo
rantolante quasi le cadde addosso, facendola urlare dal dolore.
Chi poteva avere interesse ad assassinare – e per giunta in maniera così
plateale, con nove colpi di pistola sparatigli in faccia - una persona perbene
come l’avvocato Ugo Triolo? Uno che, secondo un altro giornalista di razza come
Pippo Fava, «non aveva mai avuto a che fare con interessi criminali, se non per
doveri del suo ufficio». Un aiuto per rispondere a questi interrogativi lo
diedero i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che, nell’ordinanza
sentenza del maxi-processo, trascrissero la dichiarazione di un collaboratore
di giustizia ante-litteram, Giuseppe Di Cristina. «Riina Salvatore e Provenzano
Bernardo, soprannominati per la loro ferocia “le belve” – dettò a verbale il
“pentito” - sono gli elementi più pericolosi di cui dispone Luciano Liggio.
Essi, responsabili ciascuno di non meno di quaranta omicidi, sono gli assassini
del vice-pretore onorario di Prizzi». A questa si aggiunsero anche le
dichiarazioni dei pentiti Francesco Di Carlo e Giovanni Brusca, che indicarono
in Riina e Provenzano i mandanti dell’omicidio e in Leoluca Bagarella, Antonino
Marchese e Giovanni Vallone il “gruppo di fuoco” che gli tese l’agguato la sera
del 26 gennaio 1978. Un delitto, dunque, voluto direttamente dalla “cupola” di
Cosa Nostra, saldamente in pugno ai “corleonesi” Riina e Provenzano ed eseguito
dai killer più feroci di cui disponevano, in primo luogo quel “Luchino”
Bagarella, che di Riina era il cognato. Furono fatte tante ipotesi, ma nessuna
è stata mai provata. Si disse, per esempio, che l’avvocato era proprietario di
un vasto appezzamento di terra in contrada “San Calogero”, che interessava i
mafiosi, ma che lui non voleva assolutamente vendere. Il pentito Di Carlo,
invece, ha svelato che negli uffici di una società di trasporti di via Leonardo
da Vinci a Palermo, un certo Vallone di Prizzi «chiese a Bernardo Provenzano di
eliminare Triolo, perché lo aveva ostacolato in alcune vicende collegate a
reati edilizi, da lui valutati nella veste di vice pretore (…). Lui è avvocato,
dovrebbe fare quello che dice il paesano e no quello che dice la legge». L'
avvocato Triolo – è un’altra ipotesi - fu ucciso 12 giorni dopo Marco Puccio,
un suo cliente accusato di abigeato. Forse, è un'ipotesi degli inquirenti, la
vittima si era confidata con il legale? Infine, si disse pure che Triolo aveva
svolto con “troppo zelo” il ruolo di pubblico ministero in un processo minore
contro Luciano Liggio.
Dino Paternostro
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