MARIO
PINTAGRO
Il
"salto" non è ampissimo, forse appena cinque metri, tuttavia è
sufficiente a creare un effetto spettacolare. Perché piccolo, a volte, è bello.
La cascata delle due rocche a Corleone è un sito di grande bellezza, un
microambiente in cui la natura regala immagini di grande suggestione.
Appena fuori
l’abitato di Corleone, si raggiunge da Palermo imboccando la strada statale per
Agrigento, passando prima da Bolognetta e Marineo. Bisogna
superare il centro per raggiungere il sito che i giovani chiamano il "canyon".
Alla cascata bisogna andarci dall’autunno alla tarda primavera, non più tardi.
Il perché è semplice: la Sicilia non è terra di fiumi né di grandi montagne e i
corsi d’acqua hanno un regime prevalentemente torrentizio. Così il torrente San
Leonardo, affluente sinistro del Belìce, d’estate può esaurire il suo corso,
lasciando a corto d’acqua il letto ghiaioso e delusi gli amanti della natura.
Ma nei mesi invernali e sino a maggio lo spettacolo è assicurato, soprattutto
se le piogge sono state abbondanti. Il corso del San Leonardo, a un chilometro
dal centro abitato, raggiunge una piccola gola, quasi un canyon caratterizzato
da rocce sedimentarie, dai caratteristici strati. L’acqua scivola veloce sulla
terrazza calcarea, si divide poi in due-tre bracci e precipita con gran fragore
nella pozza sottostante di acque smeraldine.
Se ha
piovuto molto l’effetto cascata è ancora più corposo e il getto è più intenso
ed unico.
L’acqua si
nebulizza e incrociando i raggi solari si ha l’effetto iride, un arcobaleno a portata
di mano. L’acqua scorre e la minutissima pioggia si deposita ora sui mandorli
ora sui cespugli di artemisia, euforbia, sulle foglie di acanto, sulle
pale di fichidindia e sui rovi. In primavera decine di libellule, cavolaie e
farfalle monarca danzano festose nei dintorni della cascata. Un piccolo
sentiero gradonato, a sinistra della cascata, consente la vista di un
acquedotto scavato sulla roccia, forse di origine medievale. Il salto
dell’acqua era sufficiente a mantenere attivo un mulino di cui si osservano
ancora le condutture e le chiuse. Tra le rocce, gli occhi attenti dei geologi,
possono scovare fossili antichissimi.
«Le
calcareniti di Corleone – spiega il naturalista Giuseppe Ippolito – risalgono
al Miocene, un arco temporale compreso tra tredici e venti milioni di anni fa.
Si tratta di
rocce sedimentarie che presentano laminazione incrociata a testimonianza della
presenza di correnti. Al loro interno sono presenti ittiodontoliti, cioè denti
fossili di pesce, tra cui anche le attuali orate e lo squalo. Sembra strano, ma
dove adesso ci sono fertili campagne c’era il mare, in cui abbondavano
specie anche più grandi di quelle attualmente viventi».
Fu il
geologo Gaetano Giorgio Gemmellaro a sollevare l’attenzione sul canyon di
Corleone. Alcuni di questi fossili sono infatti presenti nel museo
dell’Università di Palermo a lui dedicato. Non è molto famosa la cascata delle
due Rocche, ma recentemente è balzata agli onori della cronaca grazie al voto
dei "Luoghi del cuore" del Fondo ambiente italiano e ha anche una
pagina su Tripadvisor, con una quarantina di giudizi più che positivi che
lamentano però anche la scarsa cura del posto e le vandalizzazioni che ha
subito l’ex mulino che doveva essere un centro visitatori. Scrive l’utente
Niba206: «In effetti è talmente poco conosciuta che non è facile trovarla.
Appena arrivati, c’è un piccolo posteggio e poi passiamo qualche oretta a
goderci lo spettacolo di quest’angolo di natura. A mio parere, dovrebbe essere
valorizzata di più e per questo motivo non do il massimo punteggio che
meriterebbe. Ovviamente
la consiglio, ci mancherebbe altro».
E il sito
Hundredrooms lo scorso anno ha inserito la cascata delle due rocche tra le
quindici più belle d’Italia, insieme alla celebre cascata delle Marmore. La
cascata delle due rocche non è l’unico sito da vedere a Corleone, definita la
"città delle cento chiese". Il vicino bosco della Ficuzza, con il
pulpito del re è un altro luogo di grande fascino. In cima alla rupe calcare
gradonata, sedeva il re borbone Ferdinando IV, armato di schioppo, in attesa
delle prede. Sullo sfondo è la monumentale quinta di Rocca Busambra, tra le
montagne più alte della provincia con i suoi 1613 metri.
La Repubblica Palermo, 14 dic 2018
Nessun commento:
Posta un commento