DANIELE IENNA
Viaggio tra corso Tukory e i rioni del blitz Cupola
2.0 “Qui l’illegalità nasce anche dall’assenza di diritti”
«Non lo conoscevo neanche di vista. La sua gioielleria ricade, come
territorio, nella mia parrocchia. Ma in questo quartiere ci sono tante chiese
vicine. Quindi può capitare che i fedeli cambino ogni domenica chiesa e non
abbiano un’identità parrocchiale ben precisa». Così don Jaroslaw Andrzejewski,
parroco di Sant’Agata La Pedata, riferendosi a Settimo Mineo, il padrino di
Cosa nostra arrestato insieme ad altri gregari nell’operazione “Cupola 2.0”. La
chiesa di don Jaroslaw si trova in via del Vespro, a pochi passi dalla
gioielleria di Mineo. E su come la Chiesa possa sconfiggere la mentalità
mafiosa, il parroco dice: «Noi preti facciamo il possibile per sensibilizzare
le coscienze, ma il problema centrale è la mancanza di lavoro, che distrugge
tantissimo l’identità del cittadino e produce molta delinquenza. Questo è
un quartiere pieno di problemi: da tre anni mi batto per sistemare la piazzetta
accanto alla chiesa e le forze dell’ordine si vedono poco in giro. Poi la
spazzatura non offre un decoro urbano».
Polacco, da trent’anni a Palermo, prima di quella di via del Vespro don
Jaroslaw guidava una parrocchia del quartiere Cruillas.
«La chiesa di Sant’Agata non ha un campo sportivo e i giovani non si
avvicinano a noi anche per questa ragione. Abbiamo però un gruppo scout che si
riunisce in un luogo qui vicino».
Ma c’è un’altra chiesa, vicino alla gioielleria del boss di corso Tukory:
di fronte alla stazione centrale, all’angolo con piazza Giulio Cesare, c’è
Sant’Antonino.
«Nella pastorale contro la mafia la nostra stella polare è la lettera
“Convertitevi”, scritta dai vescovi di Sicilia in occasione
del venticinquesimo anniversario della visita di Giovanni Paolo II alla
Valle dei templi di Agrigento – dice fra’ Gaetano Morreale – Abbiamo subito
recepito la lettera, l’abbiamo presentata anche nelle nostre omelie e
personalizzata in base al carattere di ciascun parrocchiano».
Fra’ Gaetano, francescano, racconta che insieme ai suoi confrati ha fatto
vedere ai bambini il cartone animato su don Pino Puglisi: «È un modo per
contestualizzare il fenomeno della mafia nel nostro quartiere».
A giugno, dentro la chiesa e insieme all’arcivescovo Corrado Lorefice, ha
organizzato un incontro sul giudice Rosario Livatino, vittima della mafia, su
cui è in corso la causa di beatificazione. Quel giorno c’erano pure i
magistrati Luigi Patronaggio e Sara Marino, delle procure di Agrigento e
Termini Imerese. «È necessario un lavoro di sinergia tra Stato, Chiesa e
società civile», sottolinea fra’ Gaetano.
Da corso Tukory si entra nel mercato di Ballarò. E qui, a pochi passi dalle
bancarelle, c’è la parrocchia di San Nicolò di Bari all’Albergheria. A guidarla
da un anno è un salesiano, padre Luigi Costanzo, originario della provincia di
Messina. «Questo è un quartiere dove c’è la mafia, ma ci sono anche tanti
lavoratori onesti, che soffrono la crisi economica», sottolinea il prete, che
aggiunge: «Una volta al mese, diamo il pacco spesa a più di duecento famiglie.
Che la mafia sia fuori dalla comunità e che lo stile mafioso non sia parte
dell’essere cristiano, lo abbiamo detto nelle catechesi e nelle predicazioni.
Nel quartiere c’è spaccio di droga e la droga, non dimentichiamolo, uccide». Il
salesiano conclude: «Lo Stato dovrebbe aiutare a trovare lavoro. Dovrebbe
impegnarsi a mantenere pulite le strade. Anche questo è un segnale di
educazione civica».
Poco più in là, nella zona del Policlinico, c’è la parrocchia di San
Tarcisio, in via Sebastiano La Franca. Si tratta di una chiesa prefabbricata,
totalmente circondata da un circuito di palazzi che sfiorano i dieci piani.
Il parroco, padre Mariano Graziano, ha in mano una copia dell’omelia
pronunciata da Papa Francesco a ottobre al Foro Italico, nella sua ultima
visita a Palermo. Il prete dice che, sulla base di quell’omelia, pochi giorni
fa ha tenuto un ritiro spirituale con alcuni parrocchiani e operatori
pastorali. Le parole del Papa sono chiare e non lasciano scampo: non si può
credere in Dio ed essere mafiosi.
E la Chiesa di Palermo lo scorso 8 dicembre ha lanciato un messaggio chiaro
contro la mafia.
Dopo secoli, per la prima volta, la processione della Madonna Immacolata ha
cambiato itinerario e, dalla chiesa di San Francesco d’Assisi, a pochi passi
dalla Vicciria, insieme all’arcivescovo Lorefice e al sindaco Orlando, ha
raggiunto piazza della Vittoria, fermandosi davanti alla questura. A spiegare
il motivo è fra’ Gesualdo Ventura, parroco di San Francesco d’Assisi, che dice:
«In questo modo abbiamo rappresentato la nostra vicinanza alle forze
dell’ordine.
Nella lotta alla mafia la Chiesa ha avuto un martire che si chiama Pino
Puglisi. La statua della Madonna aveva il volto rivolto verso la questura e
questo è stato un gesto molto apprezzato dal questore. È stato un messaggio
lanciato ai possibili mafiosi presenti nelle confraternite per invitarli a
convertirsi».
La Repubblica Palermo, 12.12.2018
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