Un momento della presentazione del libro |
di
Giorgio Bongiovanni
Grande
successo di pubblico oltre 500 persone
C’erano gli attori Claudio Gioè e Carmelo Galati, c’era il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, c’era il presidente emerito dell’A.N.P.I Carlo Smuraglia, c’era l’avvocato Armando Sorrentino, c’eravamo anche noi di ANTIMAFIADuemila per raccontarvi i lavori di questo incontro con la città di Palermo. E naturalmente c’erano gli autori, il sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo e il giornalista e scrittore Saverio Lodato.
C’erano gli attori Claudio Gioè e Carmelo Galati, c’era il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, c’era il presidente emerito dell’A.N.P.I Carlo Smuraglia, c’era l’avvocato Armando Sorrentino, c’eravamo anche noi di ANTIMAFIADuemila per raccontarvi i lavori di questo incontro con la città di Palermo. E naturalmente c’erano gli autori, il sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo e il giornalista e scrittore Saverio Lodato.
(Andato in onda il 19 dicembre 2018 - Edizione delle 14:00)
“Per Palermo questa è una serata di rottura, una serata eccezionale. Nella città dove ormai sembra, leggendo i giornali, che non accada più nulla, che certe parole siano scomparse dal dizionario anche di quotidiani una volta democratici e assai diffusi, viene da chiedersi ‘ma forse siamo rimasti davvero alcuni visionari, alcuni fantasmi a ritenere ancora significato discutere al Teatro Biondo di Palermo di Trattativa Stato-Mafia’. Ecco perché la serata di questa sera per Palermo è una serata eccezionale e straordinaria, io ho l’impressione che tutti noi che siamo qui, siamo qui per dimostrare che abbiamo capito tutto quello che c’era da capire. Ciò non significa che le oltre 5000 pagine di motivazione di sentenza ci dicano tutto quello che c’è da sapere, ma ci dicono che alcune cose non erano dietrologia, sospetti, intuizioni, concezioni visionarie”. Così all'interno del suo intervento ha dato onore alla presenza ingente di pubblico uno degli autori del libro “Il Patto Sporco”, Saverio Lodato.
La città ha risposto, la gente ha capito che non era una farsa, una barzelletta, la trattativa Stato-Mafia, la quale viene in gran parte nel libro testimoniata. La città ha capito, certo ancora c’è molto da lavorare e c’è molto da divulgare per quanto riguarda certe verità indicibili che scottano. Il Patto Sporco è, come ha commentato l’avvocato Armando Sorrentino, una “piattaforma da cui partire” per il “recupero di una moralità pubblica dispersa”. Un libro che, ricordiamo, parla di una “sentenza storica” di un processo altrettanto storico che alcuni giornalisti hanno definito “una baggianata” ma che in realtà non fa altro che raccontare una piccola parte di storia di un Paese dove “guardie e ladri si sono scambiati molto spesso il loro abito”.
Lodato: ''In questo Paese i
giornali non si indignano più''
"In questo Paese quando qualche vecchietto delle Brigate Rosse va nelle università italiane e giustamente ci si indigna se i cattivi maestri del terrorismo tornano in cattedra, ma poi nessuno dice niente se un condannato, seppur in primo grado, come Mori augura la morte ai suoi accusatori e parla di legalità nelle scuole. Possibile che i giornali non si indignano più? Possibile restare in silenzio?". A dirlo è il giornalista e scrittoreSaverio Lodato presentando il libro "Il Patto Sporco" scritto assieme al pm Nino Di Matteo. Infine ha lanciato una provocazione a tutti quei soggetti che in qualche maniera avevano scritto contro il processo mentre questo era ancora in pieno svolgimento. Da Giuliano Ferrara, a Giuseppe Sottile, passando per Giorgio Mulé, Enrico Deaglio, Pino Arlacchi, Marcelle Padovani ed Eugenio Scalfari. "Se fossimo in un Paese civile tutti coloro i quali hanno espresso questi giudizi pubblicando per 5 anni un gran fracasso letterario, politico, giudiziario sul processo forse oggi dovrebbero avere il coraggio intellettuale di misurarsi con questa sentenza".
Infine ha concluso leggendo un lungo elenco di vittime di mafia e ribadendo con forza: "Falcone, Borsellino, Dalla Chiesa e tanti altri furono uccisi dalla mafia ma furono condannati a morte dallo Stato di allora".
Lodato: dietro Messina Denaro ''non soltanto familiari e fedelissimi''
“A chi vogliono ancora raccontare che dopo quasi due secoli di vita, la mafia è ancora viva? A chi vogliono raccontare che nell’era dei droni e di cento forze di polizia schierate sul territorio siciliano, un paesanazzo come Matteo Messina Denaro, che si nasconde dietro un paio di lenti affumicate, può restare latitante dal giorno delle stragi di Capaci e di via d’Amelio, cioè da oltre un quarto di secolo?”. A dirlo è lo scrittore Saverio Lodato alla presentazione del libro scritto con Nino Di Matteo “Il Patto Sporco” (ed. Chiarelettere) presso il Teatro Biondo di Palermo. “A chi vogliono fare credere che i suoi fiancheggiatori sono soltanto familiari premurosi e amici fedelissimi? - ha detto ancora il giornalista - Abbiate il coraggio di dire la verità.” O forse “E’ ancora troppo presto per ammanettare l’uomo che custodisce i segreti del Patto Sporco, di quell’intreccio nefasto fra Stato e Mafia che ha scandito a suon di bombe la storia degli ultimi decenni”. “Abbiate il coraggio di dire che Matteo Messina Denaro non ha alcun bisogno di nascondersi perché sono altri che lo nascondono spontaneamente”.
“Ce n’è sempre uno a piede libero", ha spiegato Lodato partendo da Badalamenti per passare per i grandi boss mafiosi fino ad arrivare a Riina e Provenzano: “Una volta c’era Bernardo Provenzano, e poi, anche lui finì in manette... E ora c’è Matteo Messina Denaro. Ce n’è sempre uno a piede libero. In circolazione. Il notaio di turno di quel Patto sporco stipulato fra lo Stato e la Mafia che evidentemente per qualcuno è impossibile rescindere”.
"In questo Paese quando qualche vecchietto delle Brigate Rosse va nelle università italiane e giustamente ci si indigna se i cattivi maestri del terrorismo tornano in cattedra, ma poi nessuno dice niente se un condannato, seppur in primo grado, come Mori augura la morte ai suoi accusatori e parla di legalità nelle scuole. Possibile che i giornali non si indignano più? Possibile restare in silenzio?". A dirlo è il giornalista e scrittoreSaverio Lodato presentando il libro "Il Patto Sporco" scritto assieme al pm Nino Di Matteo. Infine ha lanciato una provocazione a tutti quei soggetti che in qualche maniera avevano scritto contro il processo mentre questo era ancora in pieno svolgimento. Da Giuliano Ferrara, a Giuseppe Sottile, passando per Giorgio Mulé, Enrico Deaglio, Pino Arlacchi, Marcelle Padovani ed Eugenio Scalfari. "Se fossimo in un Paese civile tutti coloro i quali hanno espresso questi giudizi pubblicando per 5 anni un gran fracasso letterario, politico, giudiziario sul processo forse oggi dovrebbero avere il coraggio intellettuale di misurarsi con questa sentenza".
Infine ha concluso leggendo un lungo elenco di vittime di mafia e ribadendo con forza: "Falcone, Borsellino, Dalla Chiesa e tanti altri furono uccisi dalla mafia ma furono condannati a morte dallo Stato di allora".
Lodato: dietro Messina Denaro ''non soltanto familiari e fedelissimi''
“A chi vogliono ancora raccontare che dopo quasi due secoli di vita, la mafia è ancora viva? A chi vogliono raccontare che nell’era dei droni e di cento forze di polizia schierate sul territorio siciliano, un paesanazzo come Matteo Messina Denaro, che si nasconde dietro un paio di lenti affumicate, può restare latitante dal giorno delle stragi di Capaci e di via d’Amelio, cioè da oltre un quarto di secolo?”. A dirlo è lo scrittore Saverio Lodato alla presentazione del libro scritto con Nino Di Matteo “Il Patto Sporco” (ed. Chiarelettere) presso il Teatro Biondo di Palermo. “A chi vogliono fare credere che i suoi fiancheggiatori sono soltanto familiari premurosi e amici fedelissimi? - ha detto ancora il giornalista - Abbiate il coraggio di dire la verità.” O forse “E’ ancora troppo presto per ammanettare l’uomo che custodisce i segreti del Patto Sporco, di quell’intreccio nefasto fra Stato e Mafia che ha scandito a suon di bombe la storia degli ultimi decenni”. “Abbiate il coraggio di dire che Matteo Messina Denaro non ha alcun bisogno di nascondersi perché sono altri che lo nascondono spontaneamente”.
“Ce n’è sempre uno a piede libero", ha spiegato Lodato partendo da Badalamenti per passare per i grandi boss mafiosi fino ad arrivare a Riina e Provenzano: “Una volta c’era Bernardo Provenzano, e poi, anche lui finì in manette... E ora c’è Matteo Messina Denaro. Ce n’è sempre uno a piede libero. In circolazione. Il notaio di turno di quel Patto sporco stipulato fra lo Stato e la Mafia che evidentemente per qualcuno è impossibile rescindere”.
Noi “ci siamo stancati di
credere alle favole. - ha concluso lo scrittore Lodato - i
conti non tornano più”.Ci sono giornali che “vorrebbero un'antimafia
mutilata, attenta solo a concentrare la sua attenzione sui boss e i picciotti
di quartiere. Ma è soltanto questo la mafia? Carabinieri, polizia, guardia
di finanza, da anni ripuliscono periodicamente Palermo e la Sicilia, a colpi di
blitz, colpendo le nuove leve mafiose, che via via prendono il posto di quelle
vecchie. Non fanno in tempo a risollevarsi che già si ritrovano in prigione.
Eppure, neanche questo gigantesco sforzo è sufficiente. E questa storia
infinita non ci dice forse che la mafia non è rappresentata solo da boss e
picciotti di quartiere? Ci vuole molto per capirlo?”Si è chiesto in
ultima battuta Lodato, invitando intellettuali e giornalisti ad analizzare i
fatti: “Se certi intellettuali
della nostra città dedicassero più tempo all’analisi dei fatti, avremmo tutti
le idee più chiare. E le avrebbe anche più chiare quello storico che
pretendendo di cancellare il passato, volendo rimuovere il futuro, si ritrova
poi a dare una versione gelatinosa di questo nostro presente, dove non si
capisce mai chi fu? Come fu? E perché fu?”.
Lodato: “Non ci piace l'ipocrisia. Per anni ci hanno raccontato una favola.”
di AMDuemila
“Non ci piace l’omertà. Non ci piace l’ipocrisia delle televisioni e dei giornali. Ecco perché questa sera siamo qui.” Ha detto Saverio Lodato, autore, assieme al sostituto procuratore alla Dna Di Matteo, del libro “Patto Sporco” presentato questa sera a Palermo al Teatro Biondo. “Viviamo tutti a Palermo, e ormai sappiamo come è andata. Per decenni ci hanno raccontato una storia falsa. Hanno nascosto che la mafia non era altro che un braccio armato di un Potere che spesso aveva bisogno di nascondersi. Che aveva bisogno di restare dietro le quinte. Nascosto, invisibile.”
Ma, ha fatto notare il giornalista, “non esiste nessun paese in Europa, come l’Italia, che abbia alle spalle 70 anni di stragi e di grandi delitti, misteri e casi irrisolti, commissioni parlamentari d’inchiesta sul fenomeno mafioso, che si susseguono ormai con cadenza biblica, mentre se Cosa Nostra fosse stata quella che ci avevano raccontato, sarebbe dovuta scomparire da tempo”.
Di Matteo: "Stiamo correndo pericoli gravi come magistratura ed istituzioni democratiche"
"Quello che è accaduto intorno al processo trattativa è una metafora dei pericoli gravissimi che stiamo correndo come magistratura ed istituzioni democratiche". Così è intervenuto il sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo, durante la presentazione del suo libro "Il Patto Sporco" (ed Chiarelettere), scritto assieme a Saverio Lodato. "Non possiamo dimenticare gli attacchi subiti quando abbiamo chiesto di sentire il Presidente della Repubblica in merito alla vicenda delle famose intercettazioni tra Mancino, allora indagato e oggi assolto, con il Capo dello Stato. Quante volte a Palermo mi è capitato di scambiare delle battute con dei colleghi i quali mi dicevano 'voi avete ragione nella vicenda delle intercettazioni, con un comportamento rispettoso della legge ed inserito nei criteri previsti del codice. Però c'è una questione di opportunità politica e certe iniziative è meglio evitarle'. Ecco il rischio che stiamo correndo. Il pericolo di scendere in valutazioni di opportunità politica".
Di Matteo: "Sentenza trattativa scomoda e per questo non se ne parla"
"La sentenza sulla trattativa Stato-mafia è una sentenza scomoda perché tratta una vicenda scabrosa per il potere di ieri e di oggi. Per questo motivo oggi non se ne parla. Del resto sin dall'inizio delle indagini la rappresentazione mediatica ha visto travisamenti, falsità e nascondimento dei fatti". E' iniziato così l'intervento del sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo, intervenuto alla presentazione a Palermo del libro "Il Patto Sporco", scritto assieme a Saverio Lodato ed edito da Chiarelettere.
"Si è alzato un vero e proprio muro di gomma del silenzio - ha aggiunto Di Matteo - oggi coloro i quali hanno orchestrato il dileggio e la delegittimazione preferiscono oggi tacere, senza trovare coraggio per un confronto. E questo muto del silenzio lo abbiamo voluto rompere con questo libro. Questo processo ha riguardato gruppi di potere che ancora oggi condizionano pesantemente la nostra democrazia e riguardano fatti che non appartengono ad un passato remoto ma continuano a provocare i suoi effetti anche nel presente". Di Matteo ha poi ricordato anche processi storici come il Maxiprocesso di Palermo e il processo Andreotti, quindi ha letto alcuni passaggi delle motivazioni della sentenza pubblicate il 19 luglio scorso. "In questa sentenza - ha proseguito il magistrato - si conferma che trattativa ci fu e che alla mafia fu riconosciuta la dignità come interlocutrice paritaria dallo Stato. Si dice che la trattativa non evitò altro sangue e che anzi Cosa nostra si convince che le stragi pagassero. Si dice che la trattativa provocò l'accelerazione della strage di Borsellino. E le stragi di Firenze, Milano e Roma furono il frutto avvelenato della stessa trattativa. Si dice che tre governi subirono e percepirono chiaramente le minacce e le richieste di Cosa nostra ma nessuno tra gli uomini di Stato ha denunciato quel che stava accadendo. Poi si afferma che il governo Berlusconi si adoperò ad esaudire le richieste della mafia attraverso alcune leggi ed alcune norme inserite nel decreto Biondi, anche noto comm salva ladri, che non fu convertito in legge solo con l'opposizione di Maroni che si accorse che si stava facendo un regalo ai mafiosi dopo aver firmato. E si dice anche che almeno fino al 1994 Berlusconi continuò a versare centinaia di milioni di vecchie lire a Cosa nostra. Lo stesso ex premier che ancora viene ricevuto dal Quirinale, che è protagonista della politica presente e che è pronto a far cadere anche l'attuale governo. Ecco dunque che si comprende perché non si deve parlare di questa sentenza".
Di Matteo: ''Sentenza trattativa indica la strada per ricerca verità su stragi''
"La sentenza sulla trattativa Stato-mafia dello scorso 20 aprile, con le successive motivazioni del 19 luglio, indica la strada per il completamento del percorso di verità sulle stragi del 1992-1993". Lo ha detto con forza il sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo, intervenendo al teatro Biondi di Palermo per la presentazione del libro scritto assieme a Saverio Lodato, "Il Patto Sporco"."Sulle stragi non è vero che non è stato fatto nulla in questi anni. Oggi conosciamo molte cose e non era scontato che si conoscessero. E' comunque vero che la verità parziale resta sempre una verità negata - ha proseguito - Noi non siamo stati mai così vicini alla verità come dopo la sentenza del 20 aprile scorso. E quei passi che mancano dovrebbero essere mossi presto, in maniera corale, con determinazione ed intelligenza non solo con l'attività investigativa della magistratura ma anche da un'attività politica, con le commissioni parlamentari. Anche se i mesi passati nel grande silenzio dopo la sentenza mi fanno pensare che questo Paese ha paura della verità. Ho paura che ancora una volta si abbia una gran voglia di archiviare per sempre quelle pagine buie del suo recente passato".
Claudio Gioè legge: "E
venne il giorno della sentenza"
di AMDuemila
"Ricordo tutto di quel giorno e di quelli lunghissimi che lo precedettero. A conclusione di oltre cinque anni di dibattimento, la Corte si era ritirata in camera di consiglio sei giorni prima di quel 20 aprile. In me e nei colleghi la lunga attesa faceva aumentare la tensione. Con Teresi, Tartaglia e Del Bene, eravamo consapevoli che l’eventuale assoluzione degli imputati, e in particolare di quelli istituzionali, avrebbe segnato il definitivo tramonto di un’epoca e di una aspirazione: quella di colpire i rapporti alti, altri, inconfessabili, di Cosa Nostra con il Potere. Sapevamo che quel rischio era concreto perché era la prima volta in cui mafiosi e uomini in divisa erano accusati di avere insieme minacciato il governo della Repubblica. Ma restavamo convinti che le prove raccolte avrebbero portato alla condanna di tutti gli imputati di quel terribile reato: minaccia a corpo politico dello Stato". Ha rammentato così l'attore Claudio Gioè quei momenti salienti che precedettero la pronuncia della sentenza di primo grado nelle parole di Nino Di Matteo che li ha vissuti in prima persona. L'attore, leggendo alcuni stralci del libro il "Patto Sporco" durante la presentazione ancora in atto presso il Teatro Biondo di Palermo, è stato accompagnato dal collegaCarmelo Galati raccontando al pubblico quella "giornata storica" del 20 aprile 2018. "Entrammo nell’aula bunker del carcere Pagliarelli, a Palermo, un quarto d’ora prima delle 16. Trovammo in aula decine e decine di giornalisti e telecamere che, duole ricordarlo, si erano visti con un pari spiegamento di forze solo all’udienza iniziale. Si percepiva la febbrile attesa di una sentenza che in ogni caso avrebbe rappresentato una pietra miliare nella storia della giustizia italiana. Quando la Corte entrò calò un silenzio spettrale. Nei volti dei giudici si percepivano tensione e stanchezza. Il presidente iniziò la lettura, anche la sua voce tradiva emozione. Pochi attimi e capimmo com’era andata. Tutti gli imputati che rispondevano di quel reato furono riconosciuti colpevoli. E condannati a pene detentive adeguate alla gravità dei fatti accertati. La Trattativa c’era stata. La minaccia anche. Mentre correva il sangue delle stragi c’era chi, in nome dello Stato, dialogava e interagiva con il nemico. La lettura del dispositivo durò alcuni minuti. In aula risuonava solo la voce del presidente". E negli attimi successivi "ricordo solo una gran confusione attorno a me. Ma ricordo benissimo ciò che provai. Aspettai la fine della lettura e, mosso da un istinto che sin lì avevo controllato, strinsi a me, in un abbraccio liberatorio, i miei tre colleghi. Con Teresi, Tartaglia e Del Bene avevamo condiviso non un semplice processo ma un’avventura umana e professionale che aveva cementato la nostra amicizia. Voglio essere chiaro: non era la gioia di vedere condannati degli imputati. La sofferenza di un condannato non è motivo di gaudio per il suo accusatore. - ha continuato l'attore de "La mafia uccide solo d'estate" - Era l’abbraccio di quattro magistrati che avevano creduto in un lavoro difficile e delicato che avrebbe potuto anche concludersi con un nulla di fatto. Uscendo dall’aula, avvertii un’altra sensazione molto confortante: la magistratura italiana è ancora in grado di esercitare sino in fondo tutta la sua autonomia senza timori reverenziali e calcoli di opportunità politica”.
di AMDuemila
"Ricordo tutto di quel giorno e di quelli lunghissimi che lo precedettero. A conclusione di oltre cinque anni di dibattimento, la Corte si era ritirata in camera di consiglio sei giorni prima di quel 20 aprile. In me e nei colleghi la lunga attesa faceva aumentare la tensione. Con Teresi, Tartaglia e Del Bene, eravamo consapevoli che l’eventuale assoluzione degli imputati, e in particolare di quelli istituzionali, avrebbe segnato il definitivo tramonto di un’epoca e di una aspirazione: quella di colpire i rapporti alti, altri, inconfessabili, di Cosa Nostra con il Potere. Sapevamo che quel rischio era concreto perché era la prima volta in cui mafiosi e uomini in divisa erano accusati di avere insieme minacciato il governo della Repubblica. Ma restavamo convinti che le prove raccolte avrebbero portato alla condanna di tutti gli imputati di quel terribile reato: minaccia a corpo politico dello Stato". Ha rammentato così l'attore Claudio Gioè quei momenti salienti che precedettero la pronuncia della sentenza di primo grado nelle parole di Nino Di Matteo che li ha vissuti in prima persona. L'attore, leggendo alcuni stralci del libro il "Patto Sporco" durante la presentazione ancora in atto presso il Teatro Biondo di Palermo, è stato accompagnato dal collegaCarmelo Galati raccontando al pubblico quella "giornata storica" del 20 aprile 2018. "Entrammo nell’aula bunker del carcere Pagliarelli, a Palermo, un quarto d’ora prima delle 16. Trovammo in aula decine e decine di giornalisti e telecamere che, duole ricordarlo, si erano visti con un pari spiegamento di forze solo all’udienza iniziale. Si percepiva la febbrile attesa di una sentenza che in ogni caso avrebbe rappresentato una pietra miliare nella storia della giustizia italiana. Quando la Corte entrò calò un silenzio spettrale. Nei volti dei giudici si percepivano tensione e stanchezza. Il presidente iniziò la lettura, anche la sua voce tradiva emozione. Pochi attimi e capimmo com’era andata. Tutti gli imputati che rispondevano di quel reato furono riconosciuti colpevoli. E condannati a pene detentive adeguate alla gravità dei fatti accertati. La Trattativa c’era stata. La minaccia anche. Mentre correva il sangue delle stragi c’era chi, in nome dello Stato, dialogava e interagiva con il nemico. La lettura del dispositivo durò alcuni minuti. In aula risuonava solo la voce del presidente". E negli attimi successivi "ricordo solo una gran confusione attorno a me. Ma ricordo benissimo ciò che provai. Aspettai la fine della lettura e, mosso da un istinto che sin lì avevo controllato, strinsi a me, in un abbraccio liberatorio, i miei tre colleghi. Con Teresi, Tartaglia e Del Bene avevamo condiviso non un semplice processo ma un’avventura umana e professionale che aveva cementato la nostra amicizia. Voglio essere chiaro: non era la gioia di vedere condannati degli imputati. La sofferenza di un condannato non è motivo di gaudio per il suo accusatore. - ha continuato l'attore de "La mafia uccide solo d'estate" - Era l’abbraccio di quattro magistrati che avevano creduto in un lavoro difficile e delicato che avrebbe potuto anche concludersi con un nulla di fatto. Uscendo dall’aula, avvertii un’altra sensazione molto confortante: la magistratura italiana è ancora in grado di esercitare sino in fondo tutta la sua autonomia senza timori reverenziali e calcoli di opportunità politica”.
Le due voci Gioè e Galati
“Colpevoli!”
L’ultima lettura, a due voci, di Claudio Gioè e Carmelo Galati sulla sentenza trattativa Stato-mafia, ha concluso l’evento al Teatro Biondo di Palermo: “Colpevoli. Colpevoli per essere scesi a patti con Cosa Nostra. Colpevoli per aver trattato in nome di uno Stato che mai avrebbe dovuto trattare. Colpevoli per aver creduto che la divisa che indossavano, gli alamari, le mostrine, gli alti gradi di comando che rappresentavano, li esentassero dal dovere istituzionale di non scendere a compromesso con chi stava riducendo l’Italia a un mattatoio. Colpevoli di avere fatto pervenire a Silvio Berlusconi e al suo governo le richieste avanzate dalla mafia per porre fine allo stragismo. Colpevoli, in altre parole, di intelligenza con il nemico. Le prove, dunque, c’erano. Le prove erano state raccolte e portate in dibattimento da un ristretto gruppo di PM che non si sono rivelati né visionari, né persecutori incattiviti: Nino Di Matteo,Vittorio Teresi, Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia. E non dimentichiamolo Antonio Ingroia, il quale, per aver creduto per primo da pubblico ministero in quello che sembrava un teorema impossibile, vide le pene dell’inferno. Le prove hanno retto al vaglio di un dibattimento durato oltre cinque anni”. Le considerazioni di Lodato sono datate 20 aprile, giorno in cui fu pronunciata la sentenza al processo trattativa.
“Si diceva, infine, che Lo Stato non avrebbe mai processato se stesso. - hanno continuato i due attori - Questo Stato - rappresentato dalla seconda corte d’assise di Palermo, presieduta da Alfredo Montalto- non solo il processo lo ha celebrato. Ha avuto anche il coraggio, non da poco nell’Italia di oggi, di dire le parole più scomode che si potessero sentire sull’argomento: la verità su come andarono davvero le cose negli anni delle stragi; stragi in cui, ricordiamolo en passant, persero la vita, fra gli altri, Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani, Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Eddie Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina, Agostino Catalano, per non parlare delle vittime civili di Roma, Firenze e Milano. Le pene sono ‘pesanti’. Ma questa non è una sentenza "pesante". È una sentenza ‘storica’, e non ci vuole molto a capire perché”.
L’ultima lettura, a due voci, di Claudio Gioè e Carmelo Galati sulla sentenza trattativa Stato-mafia, ha concluso l’evento al Teatro Biondo di Palermo: “Colpevoli. Colpevoli per essere scesi a patti con Cosa Nostra. Colpevoli per aver trattato in nome di uno Stato che mai avrebbe dovuto trattare. Colpevoli per aver creduto che la divisa che indossavano, gli alamari, le mostrine, gli alti gradi di comando che rappresentavano, li esentassero dal dovere istituzionale di non scendere a compromesso con chi stava riducendo l’Italia a un mattatoio. Colpevoli di avere fatto pervenire a Silvio Berlusconi e al suo governo le richieste avanzate dalla mafia per porre fine allo stragismo. Colpevoli, in altre parole, di intelligenza con il nemico. Le prove, dunque, c’erano. Le prove erano state raccolte e portate in dibattimento da un ristretto gruppo di PM che non si sono rivelati né visionari, né persecutori incattiviti: Nino Di Matteo,Vittorio Teresi, Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia. E non dimentichiamolo Antonio Ingroia, il quale, per aver creduto per primo da pubblico ministero in quello che sembrava un teorema impossibile, vide le pene dell’inferno. Le prove hanno retto al vaglio di un dibattimento durato oltre cinque anni”. Le considerazioni di Lodato sono datate 20 aprile, giorno in cui fu pronunciata la sentenza al processo trattativa.
“Si diceva, infine, che Lo Stato non avrebbe mai processato se stesso. - hanno continuato i due attori - Questo Stato - rappresentato dalla seconda corte d’assise di Palermo, presieduta da Alfredo Montalto- non solo il processo lo ha celebrato. Ha avuto anche il coraggio, non da poco nell’Italia di oggi, di dire le parole più scomode che si potessero sentire sull’argomento: la verità su come andarono davvero le cose negli anni delle stragi; stragi in cui, ricordiamolo en passant, persero la vita, fra gli altri, Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani, Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Eddie Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina, Agostino Catalano, per non parlare delle vittime civili di Roma, Firenze e Milano. Le pene sono ‘pesanti’. Ma questa non è una sentenza "pesante". È una sentenza ‘storica’, e non ci vuole molto a capire perché”.
Lombardo: ''Non ci sono tante
mafie, il sistema criminale è uno solo''
“Questo libro fa capire che il processo Trattativa è un atto di coraggio e dà coraggio per continuare la ricerca di risposte non scontate e domande che in tanti non vorrebbero vengano poste”. Così ha detto Giuseppe Lombardo, procuratore aggiunto di Reggio Calabria, alla presentazione del libro “Il Patto Sporco” di Saverio Lodato e Nino Di Matteo che si sta tenendo al Teatro Biondo di Palermo, organizzata da ANTIMAFIADuemila e Chiarelettere.
Coraggio, che ha evidenziato il procuratore Lombardo, “non è diffuso” soprattutto “in Calabria” dove per anni “ho trovato più vuoti acquisitivi che risposte giudiziarie”, nonostante “si trovino tracce incredibilmente chiare al rapporto strettissimo tra ‘Ndrangheta e Cosa nostra già prima degli anni ’70”quando la mafia calabrese “era già molto oltre rispetto all’organizzazione criminale primordiale”.
“Avevamo traccia che quel tipo di comportamento delittuoso serviva a molto altro - ha spiegato Lombardo parlando della stagione terribile dei sequestri nella locride - serviva a testare uno Stato”.
“Per anni in Calabria ci si era limitati alla ricostruzione delle capacità criminali e non era stata contestualizzata in un disegno più ampio” ma “lo abbiamo detto assieme tante volte: non ci sono tante mafie, evitate questo grossolano errore, il sistema criminale è uno solo, le grandi mafie non sono state mai componenti isolate mosse in maniera disgiunta l’una dall’altra”. Perché? “Perché nella logica complessiva che il sistema mafioso deve avere non ci devono essere distonie, non si deve correre il pericolo che quello che si fa oltre lo stretto di Messina sia un problema per gli altri”.
Il procuratore aggiunto di Reggio Calabria ha quindi parlato degli attentati ai carabinieri avvenuti tra dicembre ’93 e gennaio ’94, nei quali rimasero feriti quattro militari e morirono due carabinieri, e per i quali si sta svolgendo il processo “‘Ndrangheta stragista” in cui Giuseppe Lombardo sta rappresentando la pubblica accusa. Gli attentati “erano stati ricostruiti come ragazzate solo perché consumati ai danni di carabinieri da un soggetto poco più che maggiorenne e uno minorenne” senza rendersi conto che “sei militari dell’arma dei carabinieri erano stati colpiti in quell’arco temporale utilizzando la stessa arma, come è possibile che una ragazzata venga fatta sempre con la stessa arma?”. “Io non credo alla distrazione. - ha detto Lombardo - solo quando abbiamo iniziato a parlare di quelle stragi, qualcuno si è accorto che sono rivendicate attraverso la sigla: Falange armata”. “E’ normale - si è chiesto il procuratore aggiunto di Reggio Calabria - che, in un sistema in cui viene comunicato tutto in tempo reale, nessuno si sia posto il problema di capire che cosa significasse quella rivendicazione alla luce del fatto che la prima volta che si utilizza quella sigla è per omicidio l'11 aprile 90 a Milano da esponenti di vertice della ‘Ndrangheta calabrese?”. Sigla poi utilizzata per rivendicare le stragi di Cosa nostra.
Con quella sigla “Abbiamo la prova di un legame enorme”. Esprimendo ancora una volta l’apprezzamento per il lavoro dei colleghi di Palermo, Lombardo ha concluso: “Noi cercheremo di dare quelle risposte che servono a trovare quel calore che io ho trovato entrando in questo teatro e che a Reggio Calabria non trovo”.
Smuraglia: con “Il Patto Sporco” sentenza trattativa non resta solo agli addetti ai lavori
“Il merito degli autori” è di “far conoscere” e “spiegare nel dettaglio una sentenza (quella della trattativa Stato-mafia, ndr) che altrimenti leggerebbero solo storici e addetti ai lavori”. A dirlo è stato Carlo Smuraglia, presidente emerito ANPI, al Teatro Biondo di Palermo dove è in corso la presentazione del libro “Il Patto Sporco”.
“E magari - ha aggiunto Smuraglia - ci fossero più magistrati e giornalisti così. Di Matteo si impegna in prima persona andando a scavare fino in fondo” senza curarsi “di critiche, invidie e delle gravi minacce subite” e Lodato “pone domande per aiutare ed essere aiutato a capire di più, senza guardare in faccia nessuno”. Proprio parlando di “invidie” Smuraglia ha ricordato di quando il Csm, di cui all’epoca faceva parte, scelse di non nominare Giovanni Falcone capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo: “Quante volte sentivo parlare di Falcone con un certo fastidio perché usciva sui giornali, era motivo di invidia”.
“Il Patto Sporco”, ha quindi ricordato il presidente ANPI, ha l’ulteriore merito “di suscitare riflessioni e domande: quando questo Paese sarà davvero democratico? Quando potrà pensare alla possibilità di un contatto tra Stato e mafia come qualcosa di inammissibile?” Oggi al contrario, ha aggiunto Smuraglia, “sappiamo di personaggi politici che hanno avuto rapporti con la mafia”. E se questo Paese, ha concluso, “privilegia l’oblio” oggi va ribadito che “queste sono vicende di enorme gravità e riguardano tutti”.
“Questo libro fa capire che il processo Trattativa è un atto di coraggio e dà coraggio per continuare la ricerca di risposte non scontate e domande che in tanti non vorrebbero vengano poste”. Così ha detto Giuseppe Lombardo, procuratore aggiunto di Reggio Calabria, alla presentazione del libro “Il Patto Sporco” di Saverio Lodato e Nino Di Matteo che si sta tenendo al Teatro Biondo di Palermo, organizzata da ANTIMAFIADuemila e Chiarelettere.
Coraggio, che ha evidenziato il procuratore Lombardo, “non è diffuso” soprattutto “in Calabria” dove per anni “ho trovato più vuoti acquisitivi che risposte giudiziarie”, nonostante “si trovino tracce incredibilmente chiare al rapporto strettissimo tra ‘Ndrangheta e Cosa nostra già prima degli anni ’70”quando la mafia calabrese “era già molto oltre rispetto all’organizzazione criminale primordiale”.
“Avevamo traccia che quel tipo di comportamento delittuoso serviva a molto altro - ha spiegato Lombardo parlando della stagione terribile dei sequestri nella locride - serviva a testare uno Stato”.
“Per anni in Calabria ci si era limitati alla ricostruzione delle capacità criminali e non era stata contestualizzata in un disegno più ampio” ma “lo abbiamo detto assieme tante volte: non ci sono tante mafie, evitate questo grossolano errore, il sistema criminale è uno solo, le grandi mafie non sono state mai componenti isolate mosse in maniera disgiunta l’una dall’altra”. Perché? “Perché nella logica complessiva che il sistema mafioso deve avere non ci devono essere distonie, non si deve correre il pericolo che quello che si fa oltre lo stretto di Messina sia un problema per gli altri”.
Il procuratore aggiunto di Reggio Calabria ha quindi parlato degli attentati ai carabinieri avvenuti tra dicembre ’93 e gennaio ’94, nei quali rimasero feriti quattro militari e morirono due carabinieri, e per i quali si sta svolgendo il processo “‘Ndrangheta stragista” in cui Giuseppe Lombardo sta rappresentando la pubblica accusa. Gli attentati “erano stati ricostruiti come ragazzate solo perché consumati ai danni di carabinieri da un soggetto poco più che maggiorenne e uno minorenne” senza rendersi conto che “sei militari dell’arma dei carabinieri erano stati colpiti in quell’arco temporale utilizzando la stessa arma, come è possibile che una ragazzata venga fatta sempre con la stessa arma?”. “Io non credo alla distrazione. - ha detto Lombardo - solo quando abbiamo iniziato a parlare di quelle stragi, qualcuno si è accorto che sono rivendicate attraverso la sigla: Falange armata”. “E’ normale - si è chiesto il procuratore aggiunto di Reggio Calabria - che, in un sistema in cui viene comunicato tutto in tempo reale, nessuno si sia posto il problema di capire che cosa significasse quella rivendicazione alla luce del fatto che la prima volta che si utilizza quella sigla è per omicidio l'11 aprile 90 a Milano da esponenti di vertice della ‘Ndrangheta calabrese?”. Sigla poi utilizzata per rivendicare le stragi di Cosa nostra.
Con quella sigla “Abbiamo la prova di un legame enorme”. Esprimendo ancora una volta l’apprezzamento per il lavoro dei colleghi di Palermo, Lombardo ha concluso: “Noi cercheremo di dare quelle risposte che servono a trovare quel calore che io ho trovato entrando in questo teatro e che a Reggio Calabria non trovo”.
Smuraglia: con “Il Patto Sporco” sentenza trattativa non resta solo agli addetti ai lavori
“Il merito degli autori” è di “far conoscere” e “spiegare nel dettaglio una sentenza (quella della trattativa Stato-mafia, ndr) che altrimenti leggerebbero solo storici e addetti ai lavori”. A dirlo è stato Carlo Smuraglia, presidente emerito ANPI, al Teatro Biondo di Palermo dove è in corso la presentazione del libro “Il Patto Sporco”.
“E magari - ha aggiunto Smuraglia - ci fossero più magistrati e giornalisti così. Di Matteo si impegna in prima persona andando a scavare fino in fondo” senza curarsi “di critiche, invidie e delle gravi minacce subite” e Lodato “pone domande per aiutare ed essere aiutato a capire di più, senza guardare in faccia nessuno”. Proprio parlando di “invidie” Smuraglia ha ricordato di quando il Csm, di cui all’epoca faceva parte, scelse di non nominare Giovanni Falcone capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo: “Quante volte sentivo parlare di Falcone con un certo fastidio perché usciva sui giornali, era motivo di invidia”.
“Il Patto Sporco”, ha quindi ricordato il presidente ANPI, ha l’ulteriore merito “di suscitare riflessioni e domande: quando questo Paese sarà davvero democratico? Quando potrà pensare alla possibilità di un contatto tra Stato e mafia come qualcosa di inammissibile?” Oggi al contrario, ha aggiunto Smuraglia, “sappiamo di personaggi politici che hanno avuto rapporti con la mafia”. E se questo Paese, ha concluso, “privilegia l’oblio” oggi va ribadito che “queste sono vicende di enorme gravità e riguardano tutti”.
Sorrentino: ''Sentenza
trattativa chiarisce, ma c'è qualcos'altro''
E’ una “piattaforma da cui partire”per il “recupero di una moralità pubblica dispersa” il libro “Il Patto Sporco” (ed. Chiarelettere) scritto a quattro mani dal pm Nino Di Matteo conSaverio Lodato. A dichiararlo l’avvocato Armando Sorrentinointervenuto nel corso della presentazione del volume al Teatro Biondo di Palermo.
“La sentenza” del processo trattativa Stato-mafia, “tra i più pesanti e difficili”, ha aggiunto Sorrentino, “è il risultato di tanti altri processi, ricerche, studi, battaglie” che “mi auguro, sia anche un punto di partenza per la nostra democrazia”. Una pronuncia, ha sottolineato, “che chiarisce, ma non chiarisce tutto. C’è qualcos’altro”.
Il pregio del libro, ha continuato Sorrentino, è proprio quello “di non storicizzare il problema della trattativa”, ricordando non solo il patto tra Stato e mafia dei primi anni Novanta, ma anche lo sbarco delle forze alleate, quando “hanno voluto e stabilito la nascita di un rapporto politico tra gli Stati Uniti e Cosa nostra”. L’avvocato ha quindi richiamato alla memoria uno degli articoli del trattato di pace stipulato a Parigi nel 1947, secondo il quale “l’Italia non incriminerà né perseguiterà alcun cittadino italiano per avere, dal giugno 1940 all’entrata in vigore del trattato, agito in favore della causa delle potenze alleate ed associate. In calce - ha chiarito Sorrentino - una lista di diecimila nomi, ancora segreta, di cui oltre mille mafiosi”.
“Sono stanco - ha quindi riflettuto Sorrentino - di sentir parlare dell’Italia dei misteri. Qui non c’è nessun mistero, ma segreti, che qualcuno sa e non dice”.
Bongiovanni: ''Il Patto Sporco un libro che racconta un processo storico''
“E’ un momento particolare della nostra nazione e 'Il Patto Sporco' è un libro che racconta un processo che senza dubbio si può definire storico”. A dirlo è stato il direttore diANTIMAFIADuemila Giorgio Bongiovanni, introducendo l’evento di presentazione del libro scritto a quattro mani dal pm Nino Di Matteo e dal giornalistaSaverio Lodato (Il “Patto Sporco”, edito da Chiarelettere), in corso al Teatro Biondo di Palermo. “Per la prima volta nella storia della mafia e dell’antimafia vengono portati alla sbarra non solo boss di Cosa nostra ma anche uomini di Stato e la maggior parti degli imputati, anche se siamo ancora di fronte ad una sentenza di primo grado, sono stati condannati”. “Questo libro - ha concluso Bongiovanni - nella sua parte centrale parla di questo processo, cosiddetto della Trattativa Stato-mafia, ma anche di altri aspetti che Lodato, intervistando il pm Di Matteo, mette in evidenza”.
Le letture di Claudio Gioè: "Venticinque anni di solitudine e coraggio"
"Ho la consapevolezza di essere sgradito a una parte consistente e importante del Potere. Ma non a tutto il Potere. Peccherei di superficialità se pensassi una cosa del genere. Negli ultimi anni, quando il livello delle mie inchieste si è scontrato con settori importanti delle istituzioni, spesso, anche da quei settori, in mezzo a tanta ostilità, ho registrato attestati di stima e di appoggio.
Continuo a sperare, prima o poi, in una vita più normale, a costo di assumermi la responsabilità di scelte difficili. Continuerò a provare infinita gratitudine e stima per chi rischia la vita per me. Ma non mi rassegno a pensare a livelli di protezione così alti come a una condizione che mi accompagnerà per sempre". Hanno dato così il via alla presentazione del libro "Il Patto Sporco. Il processo Stato-mafia nel racconto di un suo protagonista" Claudio Gioè e Carmelo Galati. I due attori hanno riportato al pubblico del Teatro Biondo di Palermo alcuni passi dell'opera, interpretando il dialogo racchiuso al suo interno tra gli autori, il sostituto procuratore Nino Di Matteo ed il giornalista e scrittore, Saverio Lodato. Claudio Gioè e Carmelo Galati hanno vestito fedelmente i sentimenti e le emozioni che trapelano dalle pagine del libro "Il Patto Sporco" nella voce del magistrato Di Matteo che ha vissuto "venticinque anni di inchieste e di solitudine, di ricerca accanita della verità, di successi e momenti di amarezza, ma anche di isolamento e vita blindata. - ha letto Galati - Un quarto di secolo, con la toga addosso, nell’Italia di oggi. Dall’età di trent’anni, a oggi che ne ha cinquantasette".
Carmelo Galati: "Trattavano di nascosto mentre in Italia si moriva"
"Mafia e Stato. Criminalità e apparati. Buoni e cattivi. È di questo che stiamo parlando. Di una partita complessa, nella quale tanti soggetti non sempre si affrontavano come avversari, schierati come erano dalla stessa parte". A leggere questo passo del pm Nino Di Matteo contenuto nel libro "Il Patto Sporco", l'attore del film "I cento passi", Claudio Gioè durante la presentazione del volume ancora in corso presso il Teatro Biondo di Palermo. Il libro scritto a quattro mani dal sostituto procuratore Nino Di Matteo e dal giornalista e scrittoreSaverio Lodato vuole parlare, tramite "il racconto di un suo protagonista", la storia della trattativa tra lo Stato e la mafia e il processo che ne è seguito oltre 20 anni dopo e che vide alla sbarra per la prima volta uomini delle istituzioni e delle forze dell'ordine. Uomini "perfettamente individuabili - le cui - manine hanno accompagnato, e in certi casi diretto dall’esterno sia la mafia sia il terrorismo in questo paese. Ma nessuno voleva trarne le dovute conseguenze. Non si volevano delineare responsabilità politiche, istituzionali, storiche, che avrebbero potuto precedere e prescindere dalla responsabilità penale di soggetti determinati". Oggi "Il Re è nudo" come ha letto Carmelo Galati nelle veci di Saverio Lodato. Ma nel frattempo a "morire nelle barricate" erano "tutti quelli che si permisero di mettere in discussione la sostanziale convivenza, la spartizione occulta di una gestione del potere reale che a molti andava bene ma che calpestava i diritti di tutti. Magistrati, uomini politici, poliziotti e carabinieri, giornalisti e imprenditori, sacerdoti, che non accettavano, che non si piegavano, che mettevano in discussione la logica della mediazione, della coesistenza e del compromesso. E di fronte a uno scenario di queste dimensioni, non si può parlare di un merito della magistratura. Ma del demerito di chi ha volutamente ignorato che, per lunghi tratti di strada, Stato e mafia hanno camminato di pari passo".
E’ una “piattaforma da cui partire”per il “recupero di una moralità pubblica dispersa” il libro “Il Patto Sporco” (ed. Chiarelettere) scritto a quattro mani dal pm Nino Di Matteo conSaverio Lodato. A dichiararlo l’avvocato Armando Sorrentinointervenuto nel corso della presentazione del volume al Teatro Biondo di Palermo.
“La sentenza” del processo trattativa Stato-mafia, “tra i più pesanti e difficili”, ha aggiunto Sorrentino, “è il risultato di tanti altri processi, ricerche, studi, battaglie” che “mi auguro, sia anche un punto di partenza per la nostra democrazia”. Una pronuncia, ha sottolineato, “che chiarisce, ma non chiarisce tutto. C’è qualcos’altro”.
Il pregio del libro, ha continuato Sorrentino, è proprio quello “di non storicizzare il problema della trattativa”, ricordando non solo il patto tra Stato e mafia dei primi anni Novanta, ma anche lo sbarco delle forze alleate, quando “hanno voluto e stabilito la nascita di un rapporto politico tra gli Stati Uniti e Cosa nostra”. L’avvocato ha quindi richiamato alla memoria uno degli articoli del trattato di pace stipulato a Parigi nel 1947, secondo il quale “l’Italia non incriminerà né perseguiterà alcun cittadino italiano per avere, dal giugno 1940 all’entrata in vigore del trattato, agito in favore della causa delle potenze alleate ed associate. In calce - ha chiarito Sorrentino - una lista di diecimila nomi, ancora segreta, di cui oltre mille mafiosi”.
“Sono stanco - ha quindi riflettuto Sorrentino - di sentir parlare dell’Italia dei misteri. Qui non c’è nessun mistero, ma segreti, che qualcuno sa e non dice”.
Bongiovanni: ''Il Patto Sporco un libro che racconta un processo storico''
“E’ un momento particolare della nostra nazione e 'Il Patto Sporco' è un libro che racconta un processo che senza dubbio si può definire storico”. A dirlo è stato il direttore diANTIMAFIADuemila Giorgio Bongiovanni, introducendo l’evento di presentazione del libro scritto a quattro mani dal pm Nino Di Matteo e dal giornalistaSaverio Lodato (Il “Patto Sporco”, edito da Chiarelettere), in corso al Teatro Biondo di Palermo. “Per la prima volta nella storia della mafia e dell’antimafia vengono portati alla sbarra non solo boss di Cosa nostra ma anche uomini di Stato e la maggior parti degli imputati, anche se siamo ancora di fronte ad una sentenza di primo grado, sono stati condannati”. “Questo libro - ha concluso Bongiovanni - nella sua parte centrale parla di questo processo, cosiddetto della Trattativa Stato-mafia, ma anche di altri aspetti che Lodato, intervistando il pm Di Matteo, mette in evidenza”.
Le letture di Claudio Gioè: "Venticinque anni di solitudine e coraggio"
"Ho la consapevolezza di essere sgradito a una parte consistente e importante del Potere. Ma non a tutto il Potere. Peccherei di superficialità se pensassi una cosa del genere. Negli ultimi anni, quando il livello delle mie inchieste si è scontrato con settori importanti delle istituzioni, spesso, anche da quei settori, in mezzo a tanta ostilità, ho registrato attestati di stima e di appoggio.
Continuo a sperare, prima o poi, in una vita più normale, a costo di assumermi la responsabilità di scelte difficili. Continuerò a provare infinita gratitudine e stima per chi rischia la vita per me. Ma non mi rassegno a pensare a livelli di protezione così alti come a una condizione che mi accompagnerà per sempre". Hanno dato così il via alla presentazione del libro "Il Patto Sporco. Il processo Stato-mafia nel racconto di un suo protagonista" Claudio Gioè e Carmelo Galati. I due attori hanno riportato al pubblico del Teatro Biondo di Palermo alcuni passi dell'opera, interpretando il dialogo racchiuso al suo interno tra gli autori, il sostituto procuratore Nino Di Matteo ed il giornalista e scrittore, Saverio Lodato. Claudio Gioè e Carmelo Galati hanno vestito fedelmente i sentimenti e le emozioni che trapelano dalle pagine del libro "Il Patto Sporco" nella voce del magistrato Di Matteo che ha vissuto "venticinque anni di inchieste e di solitudine, di ricerca accanita della verità, di successi e momenti di amarezza, ma anche di isolamento e vita blindata. - ha letto Galati - Un quarto di secolo, con la toga addosso, nell’Italia di oggi. Dall’età di trent’anni, a oggi che ne ha cinquantasette".
Carmelo Galati: "Trattavano di nascosto mentre in Italia si moriva"
"Mafia e Stato. Criminalità e apparati. Buoni e cattivi. È di questo che stiamo parlando. Di una partita complessa, nella quale tanti soggetti non sempre si affrontavano come avversari, schierati come erano dalla stessa parte". A leggere questo passo del pm Nino Di Matteo contenuto nel libro "Il Patto Sporco", l'attore del film "I cento passi", Claudio Gioè durante la presentazione del volume ancora in corso presso il Teatro Biondo di Palermo. Il libro scritto a quattro mani dal sostituto procuratore Nino Di Matteo e dal giornalista e scrittoreSaverio Lodato vuole parlare, tramite "il racconto di un suo protagonista", la storia della trattativa tra lo Stato e la mafia e il processo che ne è seguito oltre 20 anni dopo e che vide alla sbarra per la prima volta uomini delle istituzioni e delle forze dell'ordine. Uomini "perfettamente individuabili - le cui - manine hanno accompagnato, e in certi casi diretto dall’esterno sia la mafia sia il terrorismo in questo paese. Ma nessuno voleva trarne le dovute conseguenze. Non si volevano delineare responsabilità politiche, istituzionali, storiche, che avrebbero potuto precedere e prescindere dalla responsabilità penale di soggetti determinati". Oggi "Il Re è nudo" come ha letto Carmelo Galati nelle veci di Saverio Lodato. Ma nel frattempo a "morire nelle barricate" erano "tutti quelli che si permisero di mettere in discussione la sostanziale convivenza, la spartizione occulta di una gestione del potere reale che a molti andava bene ma che calpestava i diritti di tutti. Magistrati, uomini politici, poliziotti e carabinieri, giornalisti e imprenditori, sacerdoti, che non accettavano, che non si piegavano, che mettevano in discussione la logica della mediazione, della coesistenza e del compromesso. E di fronte a uno scenario di queste dimensioni, non si può parlare di un merito della magistratura. Ma del demerito di chi ha volutamente ignorato che, per lunghi tratti di strada, Stato e mafia hanno camminato di pari passo".
AntimafiaDuemila, 18 Dicembre 2018
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