Giuseppina Paterniti |
DANIELE IENNA
Succeduta a Luca Mazzà, adesso dirige il Tg3. Siciliana ed europeista,
Giuseppina Paterniti ha ricevuto la nomina dall’amministratore delegato della
Rai, Fabrizio Salini nell’ambito dei nuovi assetti.
Direttrice, a chi dedica il suo nuovo
incarico?
«Ai miei telespettatori, perché saranno loro la nostra barra. Sono loro che
hanno diritto ad avere una informazione completa. Non possiamo venire meno a
questo dovere. Dobbiamo garantire un giornalismo indipendente e corretto,
perché sappiamo, e ne siamo consapevoli, che noi cronisti siamo i cani da
guardia della democrazia. Senza il nostro dovere compiuto fino in fondo, la
democrazia non si regge».
Qual è il suo legame con la Sicilia?
«Faccio le vacanze a Capo d’Orlando, le mie radici sono qui. Torno spesso a
casa. Lì ho mia mamma, mia sorella, le zie e pure molti amici. Noi i siciliani,
che abitiamo fuori, sentiamo molto forte questo senso dell’Isola. Le radici
sono profonde. Io sono un po’ "marina": la prima cosa che faccio a
Capo d’Orlando è andare sul lungomare e guardare le isole Eolie che ho davanti.
Mi ritorna in mente un fatto: quando ero a Bruxelles, ho incontrato un signore
molto anziano in metropolitana. Abbiamo cominciato a chiacchierare e abbiamo
capito di essere entrambi siciliani. Quel signore mi ha confidato: "Da una
vita sono qui. Mi hanno detto che mi sarei abituato, ma come facciamo noi
‘agrumi’ ad abituarci al clima del Belgio?».
A proposito, dal 2008 al 2015 è stata
corrispondente da Bruxelles. Cosa conserva di quell’esperienza?
«Dal punto di vista professionale, è stato un periodo che mi ha consentito
di aprire gli orizzonti e comprendere quello che accade a livello di politica
estera. A Bruxelles non ci sono solo i rappresentanti dell’UE, ma tutte le
parti del mondo che guardano quello che accade in Europa. Assistere e studiare
con attenzione i processi di integrazione dell’Unione è molto interessante. Mi
ha aiutato a capire tanto dell’anima dei popoli, dei Paesi. Se noi giornalisti
raccontassimo soltanto le posizioni politiche, riusciremmo a capire forse poco
di quello che si muove all’interno di un paese, come la sua cultura, le sue
capacità di innovazione».
Oggi l’Europa, anche a causa della Brexit,
sembra vivere una crisi di identità. Quale sarà il suo futuro?
«Voglio fare una premessa: se questa domanda la facesse a un giovane, le
risponderebbe subito che non si torna indietro. Perché i giovani sentono questa
identità europea: girano per l’Europa, avendo tutti i vantaggi di circolare e
di studiare senza passaporti da uno Stato all’altro.Tutto questo con una moneta
unica. Questo è il mondo lanciato verso il futuro. Probabilmente, i giovani
hanno tutta la forza di guardare al futuro molto più di quanto non la abbiano i
più ‘anziani’, che oggi cominciano a diventare la maggioranza nell’Unione
Europea, e che guardano alla conservazione. E’ come se avessero paura di quello
che può accadere. Il confronto più alto sarà fra chi ha l’energia e la forza di
guardare al futuro e chi, invece, preferisce intanarsi nella paura. Questo
è il vero problema che si porrà durante il periodo elettorale verso le elezioni
europee».
Come viene vista la Sicilia dalle
istituzioni dell’Ue?
«La Sicilia è apprezzata per il suo incredibile patrimonio culturale. Grazie
a questo, la nostra regione sta vivendo uno sviluppo turistico. Questa è la
grande carta di identità del nostro territorio. Dal punto di vista più
pratico dobbiamo, però, chiederci, e dobbiamo innanzitutto chiederlo a noi
stessi prima che ce lo chiedano gli altri, come mai non riusciamo a spendere
tutti i fondi europei, come mai non siamo in grado di fare i progetti per
ottenere i finanziamenti europei. Siccome siamo intelligenti e di cultura, la
domanda è: perché non lo facciamo? Ci sono molti interrogativi. Allora, forse
tocca a noi rimboccarci le maniche».
Con Palermo che rapporto ha?
«E’ il centro della cultura sicula. Ho un legame fortissimo con li
capoluogo. Adesso, poi, è capitale italiana della cultura. E’ tornata a essere
davvero una gran bella città: ha fatto grossi passi avanti nella
ristrutturazione globale del centro storico. E’ straordinario poterla
percorrere nelle sue strade, nei suoi vicoli. E’ una città che ti prende il
cuore. In questi ultimi tre anni, in cui sono stata vicedirettrice della Tgr
Rai, ho avuto anche rapporti stretti con la redazione di viale Strasburgo, dove
spesso sono andata a lavorare con i colleghi».
Aneddoti professionali legati alla
Sicilia?
«La prima parte del mio lavoro al Tg3 cominciò proprio in Sicilia. Seguivo
una rubrica che, all’epoca, si chiamava ‘Insieme’. E ho seguito tutta la
cronaca antimafia, prima e subito dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio. Ho,
quindi, conosciuto il coraggio di sindaci e semplici cittadini. Sono stata al
loro fianco, ricordo bene i loro volti e le loro lunghe battaglie. Volti di persone
che hanno combattuto e che, spesso, sono state lasciate sole. Ricordo, per
esempio, di essere stata parecchio sul posto di in un bene confiscato, una
cava, che però continuava a essere usata dai mafiosi. Per quel mio lavoro, sono
stata inseguita, mi avevano pure telefonato. Ho avuto dalla mia parte un
giornale e ho incontrato tanti colleghi bravi con cui mi confrontavo. Ma sono
cose che appartengono alla cronaca piccola, perché molti colleghi, all’epoca e
anche oggi, sono più esposti di me».
Il giornalismo siciliano è stato segnato
da numerose vittime della mafia. Da nativa di questa terra, cosa prova al
riguardo?
«E’ davvero terribile che ci siano stati tutti questi morti. Adesso si dice
che la mafia è stata quasi sconfitta perché non uccide. Credo, invece, che
bisogna stringere sempre i denti. Su questo non si deve assolutamente abbassare
la guardia. Tutte le morti e le stragi ci hanno insegnato molto e ci hanno
ferito nel profondo. Non si deve mai chiudere con la memoria.
Bisogna sempre sostenere chi, oggi, è in prima linea e continua, anche nel
silenzio, a fare la battaglia contro la mafia. E io spero che l’informazione li
continui a sostenere. In questo caso, sì, un’informazione ‘partigiana’, dalla
parte di chi lotta la mafia».
La
Repubblica Palermo, 11 nov 2018
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