Dal nostro inviato
CORLEONE - Stasera arriverà anche Luigi Di Maio a comiziare nel paese dei
vecchi boss, sei anni dopo il rassicurante show di Beppe Grillo: «La mafia qui
non c’è più, ce l’avete mandata al Nord», scherzò allora il vate ligure, alla
vigilia di un’ascesa di M5S che partiva proprio dalla Sicilia. Il capo politico
del movimento, invece, sbarca oggi a Corleone per chiudere la campagna
elettorale di un candidato sindaco, Maurizio Pascucci, che il suo messaggio
l’ha voluto lanciare con una eloquente foto postata sulla sua pagina Facebook:
c’è lui accanto a Salvatore Provenzano, nipote acquisito del capo di Cosa
Nostra. L’immagine ritrae i due nel bar di Provenzano e sopra c’è un commento
dell’esponente di 5 Stelle: «Un buon caffè con Salvatore. Delusione per i
maldicenti...». Ora, è vero che il titolare del bar e sua moglie - la
discendente diretta del padrino sono incensurati e che Pascucci dice di aver
voluto zittire con questa mossa chi lo tacciava di estremismo. Ma nessuno, da
queste parti, si era spinto a farsi propaganda lasciandosi ritrarre, a quattro
giorni dal voto, accanto a un erede di Provenzano.
Persino l’avversario di
centrodestra, l’ex deputato dc Nicolò Nicolosi che è in politica da oltre
trent’anni, parla di «segnale pericolosissimo». Quell’immagine, di certo, apre
un dibattito. Ed è destinata a diventare un emblema di questa consultazione che
riguarda un paese di soli 11 mila abitanti ma che ha portata infinitamente
extra-locale: sono le prime elezioni dopo la morte di Riina e di Bernardo
Provenzano, le prime dopo lo scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose,
unico atto di questo tipo nella storia di Corleone. Eppure Pascucci, fra i tre
concorrenti per la guida del municipio, sarebbe quello con il pedigree più
lungo: il 54enne toscano di Cecina da anni si occupa di sociale, è un membro
della fondazione intitolata ad Antonino Caponnetto ed è assistente parlamentare
del senatore Mario Giarrusso, capogruppo di M5S in commissione antimafia.
«Voglio rilanciare un movimento per la legalità che qui ha sempre perso ma
ha sempre combattuto», dice Pascucci. E condisce il suo proclama con una
ricetta originale: «Intendo aprire un dialogo con i familiari dei mafiosi: non
chiedo di rinnegare i parenti ma di prendere le distanze dalle loro storie». Di
qui, appunto, l’incontro con Salvatore Provenzano, durato un’ora, nel
bar frequentato anche da altri congiunti del boss. Il quesito rimane:
Pascucci è mosso da genuina voglia di “redenzione” o da un facile calcolo per
attirare i tanti corleonesi imparentati, da lontano o da vicino, con i vecchi
protagonisti di Cosa nostra?
Domanda che parte da una Corleone nuovamente al bivio: nell’agosto del 2016
lo scioglimento dell’amministrazione comunale di centrodestra guidata da
Lea Savona, un atto motivato da appalti affidati ad aziende in odor di mafia.
Da allora, invece, una gestione in nome delle regole affidata a tre commissarie
prefettizie che, tra l’altro, hanno fatto ripartire la riscossione dei tributi
(estendendola ai parenti dei boss che non pagavano) e lanciato segnali
simbolici come l’intitolazione della strada dove tuttora abita Ninetta
Bagarella, vedova di Totò Riina, al giudice Cesare Terranova che da Riina fu
fatto uccidere. «Corleone deve decidere da che parte stare. Ma temo sia un
problema che interessi poco di fronte all’emergenza economica e
dell’emigrazione», dice l’architetto Salvatore Saporito, 49 anni, esponente del
movimento civico «Ora Corleone» e unico candidato sindaco ufficiale del
centrosinistra. Ma il Pd ha ha almeno due anime contrapposte.
Con Saporito c’è un’area ex diessina che si riconosce nell’ex capogruppo
all’Ars Antonello Cracolici. Con Nicolò Nicolosi, appoggiato dal partito del
governatore Nello Musumeci, ci sono tre ex consiglieri dem e soprattutto - con
il ruolo di candidato vicesindaco - Salvatore Schillaci, ovvero l’ultimo
segretario (renziano) del partito democratico che a Corleone ha chiuso il suo
circolo un anno fa.
«La sinistra qui sta facendo un grave errore di sottovalutazione», dice
Pippo Cipriani, che fu il sindaco diessino della Primavera dopo le stragi del
‘92. «Questo paese - prosegue Cipriani - ha una voglia di normalità che nasconde
il ritorno di tanti eredi dei mafiosi e un tentativo di riorganizzazione di
Cosa nostra. Davanti a tutto ciò, non si può non opporre un progetto politico
chiaro. Non si può rinunciare, come ha fatto il Pd, a mettere in campo il
proprio simbolo». La sensazione è che chiunque prevarrà, alla fine, lo farà per
pochi voti, nella cittadina dei chiaroscuri simboleggiata da quel palazzo
confiscato parzialmente ai Lo Bue che si presenta con un balcone diviso a metà:
da un lato, restituito allo Stato, ci sono le bandiere tricolore e dell’Ue
piazzate dalle commissarie prefettizie. Dall’altro, le mutande stese - a mò di
sfregio dai parenti del mafioso che ancora abitano lì.
La Repubblica, 23 nov 2018
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