AMELIA
CRISANTINO
Il 14
ottobre del 1920 veniva ucciso il leader degli operai metallurgici di Palermo
in un clima di tensione rinfocolato dalle calunnie
Giovanni
Orcel lo sapeva d’essere destinato a morire ammazzato. Era solo questione di
tempo, e di tempo ne restava poco. La sera del 14 ottobre 1920 aveva appena
lasciato la sede palermitana della Fiom e stava tornando a casa in compagnia
dell’amico Pietro Parrino. Arrivati
all’angolo fra corso Vittorio Emanuele e via Collegio del Giusino veniva
aggredito da un sicario che riusciva a pugnalarlo al fianco: non aveva ancora
33 anni, ma i soccorsi furono tardivi e morì nella notte all’ospedale San
Saverio. Scrive Giovanni Abbagnato, nell’unico libro a lui dedicato, che alla
notizia della sua morte Palermo fu bloccata da uno sciopero generale spontaneo.
Il corteo attraversò una città a lutto che piangeva il suo ultimo eroe, ma
Palermo scorda presto anche i suoi figli migliori e solo qualche anno fa —
grazie all’impegno del Centro Impastato e della Camera del Lavoro — è stata
posta una targa sul luogo dell’agguato.
Giovanni
Orcel sapeva che non lo avrebbero risparmiato, chiunque al suo posto lo avrebbe
capito. Specie dopo il 29 febbraio di quello stesso terribile 1920, quando a
Prizzi veniva ucciso Nicola Alongi: assieme, avevano sperimentato le prime
forme di quell’unione fra contadini e operai che sarebbe poi stata teorizzata
da Gramsci. Alongi era leader riconosciuto dei contadini del corleonese ed era
un ruolo carico di incognite, perché nel sostenere le rivendicazioni contro i
padroni i sindacalisti rischiavano la vita. Per rimanere a Corleone, nel 1919
venivano uccisi Giovanni Zangara e il capolega Giuseppe Rumore, collaboratore
di Alongi: si voleva soffocare il movimento nella paura, obbligarlo a sparire.
Ma gli operai guidati da Orcel denunciano la mafia e danno il via ad una
colletta per la famiglia Rumore.
Se Alongi è
il leader riconosciuto dei contadini, Giovanni Orcel è il riferimento
degli operai. La sua parabola è compressa nei pochi anni che gli furono dati da
vivere, ed è quella di un leader naturale che solo la vigliaccheria di un
sicario poteva fermare. Era nato a Palermo in una famiglia modesta, non
frequenta le scuole superiori ma diventa tipografo compositore che all’epoca
era un mestiere molto politicizzato. Si avvicina alla Camera del lavoro di via
Montevergini e agli ambienti socialisti, organizza la Lega dei lavoratori del
libro, dirige il settimanale La riscossa socialista e lavora alla
costituzione della prima federazione regionale del Partito socialista.
Finita la
guerra nel marzo 1919 diventa segretario generale della Fiom, che con i suoi
duemila iscritti è la punta avanzata del movimento sindacale a Palermo; nel
maggio fonda il quindicinale La dittatura operaia poi ribattezzato La
dittatura proletaria, che naturalmente risente dell’esperienza sovietica.
Nel marzo del 1920, viste rifiutate le loro richieste, i metallurgici guidati
da Orcel scioperano per l’abolizione delle gabbie salariali — cioè il diverso
trattamento economico degli operai meridionali rispetto a quelli del Nord — ,
contro lo straordinario e il lavoro a cottimo: sugli stessi temi Orcel
interviene a Genova, al congresso nazionale della Fiom.
Di nuovo a
Palermo, s’impegna contro il carovita sollecitando la formazione di una
commissione comunale per il controllo dei prezzi. Nell’estate guida la protesta
operaia, alla nuova ondata di scioperi la proprietà reagisce con numerosi
licenziamenti e, d’accordo con altre aziende metallurgiche nazionali, il 4 settembre
gli operai occupano il Cantiere navale presidiato dalla polizia. Il Consiglio
di fabbrica organizza l’immediata ripresa delle attività e l’entusiasmo è
grande, una delle navi in lavorazione viene battezzata "Nicolò
Alongi".
L’occupazione
del Cantiere continua sino al 29 settembre, poi ci si arrende: alla mancanza di
soldi, al progressivo esaurimento delle scorte per i lavori, all’esplosione di
due bombe misteriose, alla tragica morte di un operaio per un incidente sul
lavoro. Il movimento è diviso.
Orcel guida
gli intransigenti decisi a resistere ma, da segretario della Fiom, gestisce le
trattative per un accordo con la proprietà del cantiere: è una decisione
sofferta, che gli scatena contro gli avversari.
Viene
addirittura accusato di tradimento.
È molto
brutto il clima che sta crescendo attorno al rivoluzionario capace di
conquistare gli operai di Palermo, l’isolamento attraversato dalle calunnie è
pesante.
Per la mafia
è il momento buono per colpirlo, eliminando così quella sua pericolosa utopia
su operai e contadini che si riconoscono e lottano assieme. A fermarlo provvide
un sicario la sera del 14 ottobre, pare che il mandante sia stato il capomafia
di Prizzi: erano gli stessi uomini che qualche mese prima avevano ammazzato
Alongi, ma le denunce della moglie e dei compagni non ebbero seguito.
Gli
assassini di Giovanni Orcel sono rimasti ignoti.
La Repubblica Palermo, 16 ottobre 2018
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