Maurizio Landini |
[Il ritratto] Saldatore a 16
anni con il brevetto nel letto. E le botte dai poliziotti per difendere gli
operai. Politiche: “I miei modelli sono Di Vittorio e Claudio Sabattini, Pierre
Carniti e Bruno Trentin, Berlinguer e Ingrao”. Pausa. “E ovviamente Massimo
Troisi”. Perché? “Voleva fare nel cinema quel che io vorrei fare nel sindacato:
ridare dignità alla rabbia, all’indignazione, lui con la potenza del riso, io
con la potenza del lavoro. Voglio cambiare l’Italia cambiando il sindacato”
Ve lo ricordate il Marchionne di Maurizio Crozza con la sua parlata inconfondibile? “C’è Landini che mi fa gli scherzi!!!”. Da ieri Maurizio Landini è il nuovo segretario designato della Cgil, un bello scherzo davvero, contro ogni pronostico. Ad indicarlo è il segretario uscente, Susanna Camusso, il che, unito al suo innegabile carisma mediatico, nel complicato meccanismo di designazione delle leadership di Corso Italia, significa che il sindacalista di Reggio Emilia ha moltissime possibilità di diventare il nuovo segretario del più grande sindacato italiano. Se non altro perché nella Cgil non esiste l’elezione diretta, e il sindacato “rosso” nei suoi complicato processi decisionali (rigorosamente di secondo grado) ha più affinità con un Conclave che con le primarie del Pd.
Ve lo ricordate il Marchionne di Maurizio Crozza con la sua parlata inconfondibile? “C’è Landini che mi fa gli scherzi!!!”. Da ieri Maurizio Landini è il nuovo segretario designato della Cgil, un bello scherzo davvero, contro ogni pronostico. Ad indicarlo è il segretario uscente, Susanna Camusso, il che, unito al suo innegabile carisma mediatico, nel complicato meccanismo di designazione delle leadership di Corso Italia, significa che il sindacalista di Reggio Emilia ha moltissime possibilità di diventare il nuovo segretario del più grande sindacato italiano. Se non altro perché nella Cgil non esiste l’elezione diretta, e il sindacato “rosso” nei suoi complicato processi decisionali (rigorosamente di secondo grado) ha più affinità con un Conclave che con le primarie del Pd.
Landini - si
parva licet componere magnis - per la Cgil, potrebbe trasformarsi
nell’equivalente sindacale di quello che papà Bergoglio è stato per la Chiesa:
ovvero l’outsider che diventa monarca, il riformatore che nasce tra le
mura di casa e rimette in moto un intero mondo, il portatore di un elettroshock
che riattiva un corpo oggi paralizzato dalla (aspra) contesa interna e da un
moderno “Che fare?”. Altro paradosso: Landini è oggi l’uomo più vicino alla
vittoria pur essendo entrato da “terzo concorrente” nella partita della
segreteria, in una curiosa corsa a tre dove il candidato “conservatore”
Vincenzo Colla, ex numero uno dell’Emilia Romagna, ha eliminato dalla gara la
candidata più giovane, la “rinnovatrice” Serena Sorrentino (che era la
favorita, la prima scelta della Camusso). Le categorie che sostengono (e
che continuano a sostenere) Colla nella sua sfida finale - in testa pensionati,
edili, chimici -
preferivano
un segretario in perfetta continuità con il passato, che mantenesse lo stesso
identico rapporto con il Pd, sul modello della vecchia “cinghia di
trasmissione” un uomo che non turbi le vecchie abitudini.
E così hanno
costretto a uscire dalla corsa la Sorrentino, quarantenne segretaria della
funzione pubblica, colpendola con il loro veto anagrafico (“È troppo giovane”).
Un classico della battaglia politica. Ma questo killeraggio per paradosso, ha
rimesso in pista Landini, che - con testardaggine -negli ultimi anni aveva
rifiutato qualsiasi lusinga della politica, ed era rimasto in corsa fino
all’ultimo senza avere nessun appoggio se non quello degli operai della Fiom,
che aveva diretto. L’elezione del nuovo vertice del sindacato si terrà in
occasione del diciottesimo congresso nazionale della Cgil in programma a
Bari dal 22 al 25 gennaio prossimi, in un sfida tutta da vedere. Ma
quel giorno, se Landini vince, si compirà una scalata al cielo lunga almeno tre
anni. A Francesco Merlo, che lo intervistava nell’ormai lontanissimo
2015, quando tutti lo voleva leader della sinistra in funzione anti-Renzi, il
sindacalista emiliano rispondeva (già allora) di non avere nessuna intenzione
di correre per le politiche: “I miei modelli sono Di Vittorio e Claudio
Sabattini, Pierre Carniti e Bruno Trentin, Berlinguer e Ingrao”. Pausa. “E
ovviamente Massimo Troisi”. Perché? “Voleva fare nel cinema quel che io vorrei
fare nel sindacato: ridare dignità alla rabbia, all’indignazione, lui con la
potenza del riso, io con la potenza del lavoro”. Farai - chiedeva Merlo - il
partito del lavoro? “No. Io voglio cambiare l’Italia cambiando il sindacato. E
non capisco perché accada questo: più dico che non mi candiderò in politica e
più la gente si convince che mi voglio candidare in politica”. Perché in
Italia, gli rispondeva il giornalista, hanno tutti cominciato così, mentendo:
Berlusconi, Monti, Grillo, ma anche Cofferati e Prodi .”Invece io, - rispondeva
Landini - con la famosa doppiezza italiana, non c’entro nulla. Dentro la mia
testa c’è il sindacato. È solo quello”. E poi: “Il congresso della Cgil è fra
tre anni. Lavoro per questo obiettivo”. Aveva contro tutte le principali
categorie, sembrava un don Chisciotte (e io stesso ho pensato all’epoca che
fosse una impresa impossibile).
Landini è
nato nell’Appenino reggiano a Castelnuovo ne’ Monti: “Ho messo i miei primi passi
ai piedi della rupe di Bismantova dove Dante immaginò l’Eden. Ancora oggi sono
luoghi incantati: i boschi, il Buddismo, il vivere slow, ogni tanto nel fine
settimana faccio un giro per andare a trovare i vecchi amici, e per me è come
rigenerarmi in un mondo perfetto”. Oggi Landini vive a San Polo d’Enza, a due
passi dal castello di Matilde di Canossa dove si umiliò Enrico IV e ama
raccontare: “bello, no? Tutte le settimane anche io vado a Canossa. Un
esercizio utilissimo”. Torna dalla moglie, che ha sposato nel 1998, e lavora in
Comune, e che non è mai apparsa una sola volta in pubblico per una scelta di
discrezione. Landini non vuole che se ne scriva neppure il nome di battesimo:
“E’ un patto tra di noi. Lei vuol restare fuori”. Non ha figli perché non ne
sono arrivati. Ha iniziato la sua carriera come operaio metalmeccanico
saldatore. Suo padre toglieva i tronchi dalle strade con la sega e i guantoni,
sua madre stava in casa, e ogni tanto andava a fare le pulizie nelle case
borghesi. Il sindacalista di Reggio Emilia a Merlo si raccontó così: “C’erano
già tantissimi operai in quei paesetti dell’Appennino reggiano, e a dieci anni
eravamo uomini fatti: tuti maneschi, sboccati, insolenti e… tutti comunisti”.
Una famiglia classica: “Noi eravamo in cinque: tre maschi e due gemelle. Il più
grande, che ne ha 12 più di me, ora è in pensione e fa il volontario
alla Croce Verde. Il più giovane, Leonida, lavora in un supermercato con un
contratto a termine. Una sorella ha aperto un bar. Io sono il quarto”. Quei
paesi, raccontava Landini, “Erano gruppi di case. Noi siamo arrivati in pianura
seguendo il lavoro di mio padre, ex partigiano. Da lui, che è morto nel 2014,
ho imparato la dignità del lavoro e il valore della lotta contro gli occupanti
nazisti e i repubblichini. Anche la casa di mia madre, a Monte Piano, era un
rifugio di partigiani. Sono pronto a tutti i cambiamenti: ma dalla guerra
partigiana non mi schioda nessuno”.
Il giovane
Landini ha un percorso irregolare: “Ho smesso con la scuola a 15 anni. Ero
stato promosso al terzo anno di Ragioneria, ma a casa non c’erano soldi”. Così
a 16 anni va a a lavorare come saldatore anche se già da qualche anno, mentre
era ancora alle elementari, aveva già iniziato a fare l’apprendista
fabbro dal marito della sorella. Anche per questo motivo ha scritto un
libricino a fumetti sui diritti e sul lavoro, per le scuole, spesso accetta
inviti negli istituti e ripete sempre: “I bimbi devono andare a scuola. E la
scuola deve insegnare la dignità del lavoro”.
Primo
impiego all’officina del dottor Cavazzoni di San Polo d’Enza. Poi la
cooperativa. Il primo stipendio, che non si scorda mai: “Prendevo 800mila lire
al mese, fatte le proporzioni una pacchia rispetto ai saldi di oggi. Ma ricordo
anche quei primi giorni: ti dovevi abituare a respirare i fumi, ai vapori acri
della fiamma che ti bruciano la gola”. E ancora: “Come spiegare oggi ad un
ragazzo cosa significava prendere il primo brevetto professionale, diventando
operaio specializzato?”. Per quel mondo che viveva nel culto del lavoro è come
diventare Re. La prima sera Maurizio si addormenta con il brevetto stretto in
mano: “Bisognava imparare anche a proteggersi dalla luce della fiamma. La
cultura delle precauzioni non esisteva. La sera, se durante il giorno non eri
stato attento, chiudevo gli occhi, ti ritrovavi davanti le stelle e non dormivi
più fino alla mattina dopo”.
L’episodio
chiave della sua carriera è il famoso sciopero, raccontato (anche) in forma di
monologo in una indimenticabile puntata di Michele Santoro per il centesimo
compleanno della Fiom. Nella sua impresa nasce uno sciopero, di cui Landini
diventa animatore, perché il gruppo di operai lavora all’aperto e senza
protezioni, sotto pioggia e vento. Ma il loro datore di lavoro è una
cooperativa, e il rapporto con il partito -come è noto -in Emilia è molto
stretto. Il capo della cooperativa infatti si arrabbia per l’astensione dal
lavoro, lo punta, e gli dice a brutto muso: “Landini! Ma ti rendi conto che io
te abbiamo in tasca la tessera dello stesso partito!?”. La risposta è
memorabile: “È vero. Sarà pure la stessa, la tessera, ma noi quando lavoriamo
nel cantiere all’aperto, abbiamo freddo uguale”. E così arrivano guanti,
giacconi, protezioni. E nasce anche una carriera solare, perché le vite solo
fatte di punti di svolta: “Se non fosse stato per quello sciopero oggi non
sarei sindacalista”. Distanze siderali dai modelli ore e post renziani di
questi anni. Molti sindacalisti hanno un curriculum, Landini ha una biografia
(che è una cosa ben diversa).
Nel suo
romanzo di formazione “non ci sono droghe e rivolte giovanili. Non ho girato il
mondo, non parlo le lingue”. E con un senso di ironia tutto teatrale Landini
ama ripetere con un sorriso: “Ho fatto il militare Trapani”. Non ha nessun
vezzo mondano: “Non ho tempo per il cinema, non vedo la tv, faccio le ferie a
Gabicce perché amo nuotare”, E le passioni: “Ho giocato al calcio, ero un
discreto mediano, mi piace la canzone italiana, sopratutto quella di De
Gregori, Zucchero, Ligabue”. Per questo è molto attratto dalla musica, e in
particolare da quella cantata: “Mio padre e mio zio - ha raccontato in quella
bella e unica intervista autobiografica a Francesco Merlo - cantavano le
romanze, ‘la biondina di Voghera / sempre ha in core di quel dì,/ il garzon che
alla riviera/ dielle un bacio… e poi fuggì’. Ma io non so cantare bene. Mio
fratello Leonida è molto bravo”. Ancora oggi, quando deve spiegare ai
lavoratori garantiti cosa sia la precarietà dei non garantiti, Landini ricorda
l’emozione di Leonida che un giorno lo chiama dal supermercato per dirgli con
la voce spezzata dall’emozione che gli hanno rinnovato il contratto a termine.
Non
frequenta luoghi chic, non conosce salotti, rispetto alla classe dirigente
della sinistra di questi anni, è uno dei pochi che assomiglia (anche
socialmente) al suo popolo. Ha raccontato: “La mia fortuna è che guadagno 2300
euro al mese. Non mi è mai mancato nulla”. A Roma ha abitato per anni vicino a
Porta Pia, in un appartamentino molto spartano preso in affitto dal sindacato
per i suoi numeri uno.
Ed è
diventato leggendario per la canotta bianca a girocollo che spunta fuori dal
qualsiasi camicia, che secondo qualche giornalista era frutto di una studiata
strategia comunicativa. Invece anche l’omone di Reggio Emilia ha un
tallone d’Achille: “La maglia della salute me la impose la mamma perché fin da
bambino ero cagionevole e se me la tolgo, ancora oggi, rischio la polmonite”
(infatti ne ha avuta una, anche pochi mesi fa). Quando Maurizio Crozza gli
faceva la celebre imitazione del borsello e del gettone telefonico, Landini
rideva come un matto. E sembrano anacronistici anche quegli immancabili
occhiali di metallo con la montatura stile Ddr che porta sempre incollati sul
naso: “Mi accorsi che ero miope perché non leggevo più i cartelli in autostrada,
ma un medico bizzarro mi disse che era diabete e mi mise a dieta: continuai a
non vederci ma ero diventato un figurino, ah, ah, ah”.
Landini è
stato il grande avversario di Marchionne, ed a celebrarlo - dopo una campagna
di comunicazione vinta d’istinto, in televisione - fu proprio l’ex Ad della
Fiat che ammise in una celebre intervista ad Ezio Mauro, dopo la vittoria
ottenuta al referendum Mirafiori (ottenuta per il rotto della cuffia solo
grazie al voto dei colletti bianchi): “Quelli della Fiom hanno costruito un
capolavoro mediatico. Mistificando la realtà, ovvio, ma ci sono riusciti!”. Si
riferiva alla campagna televisiva di Landini e del suo responsabile auto,
Giorgio Airaudo. Insieme a lui entró in fabbrica la sera del referendum per
l’ultima assemblea con gli operai che si sporgevano per toccarli e con sulla
testa la minaccia di restare fuori. Sorrisi e lacrime operai che dicevano:
“Sono con voi ma non vi posso votare” e la Fiom fu costretta a lasciare le sue
salette, a portare fuori dai Mirafiori le gigantografie di Berlinguer e di
Lama. Ci ritornarono, due anni dopo, al termine di una lunga battaglia legale,
come dice Landini “E grazie a quello strumento imperfetto ma formidabile che si
chiama Costituzione Italiana”.
Sul
capolavoro l’amministratore delegato della Fiat aveva ragione. Tuttavia, quando
Marchionne è morto, il Landini segretario confederale della Cgil non ha detto
una parola sulle polemiche del passato, attenendosi - più che a una scelta di
comunicazione - ad una sua idea di rispetto dell’avversario. Polemiche senza
fine in vita, silenzio da morto. Western Emiliano. Ancora una volta,
l’epitaffio di quella battaglia, persa nei numeri, ma vinta nei simboli,
fu un’altra irresistibile raffica di gag di Crozza con il Marchionne satirico
che esclamava esterrefatto nei suoi dialoghi con la spalla sublime e arguta di
Andrea Zalone: “Vede? Vede? Ci sono quelli della Fiom che mi fanno gli
scherzi...”. E Zalone: Ma che dice? E Marchionne: “Sì, gli scherzi! Landini mi
ha messo un gatto morto nelle mazze da golf”. E ancora: “In America, senta come
suona bene, mi chiamano King of the car. Qui Landini mi chiama e mi fa:
“Sergioooo! E io: ‘Si?’. E lui: ‘Prrrr!’. Quando lascio il laptop del computer
acceso mi cambia lo stato sentimentale e mi scrive: ‘Fidanzato con Cecchi
Paone!”. Risate.
Ma c’è stata
sicuramente una occasione in cui - anche mediaticamente - Landini divenne
leader prima di esserlo. E fu nel 2014 quando il video di lui che protegge il
corteo degli operai di Terni dalle cariche della polizia fece il giro del web.
A Piazza indipendenza il corteo fu caricato (senza motivo) e Landini di ripreso
dalle telecamere mentre da un lato parlamentava con la polizia denunciando la
camera, e dall’altro teneva a bada, persino fisicamente, la reazione degli
operai furibondi: «Fermi! Fermi! non passiamo dalla parte del torto». Più
tardi racconterà. Appena siamo partiti in corteo stiamo stati caricati senza
alcuna motivazione. Anch’io ho preso le botte dai poliziotti. Alcuni dei nostri
sono finiti in ospedale. Non finisce qui». Tuttavia spense l’incendio, chiamó
Renzi intimandogli di far ripristinare la legalità e riuscì a far
concludere pacificamente il corteo di centinaia di operai dell’acciaieria di
Terni che stavano manifestando contro il piano industriale della ThyssenKrupp.
Ama leggere
“Molto e di tutto”. Gli piacciono i gialli (il suo preferito è Montalbán) ma ha
una predilezione anche per gli italiani (come il suo conterraneo
Lucarelli). Al governo di centrosinistra, dopo aver accolto Renzi senza
pregiudizi, non ha fatto nessuno sconto, nel merito delle sue scelte sul
lavoro, a partire dal jobs act: “Proprio quando il governo cancella i diritti,
la maggioranza di quelli che lavorano non ha rappresentanza sindacale. Così
come la maggioranza dei votanti non vota”. Nel 2016 si è gettato anima e corpo
nella battaglia per il No al referendum costituzionale, facendo la spola di
notte in macchina per tornare ai tavoli contrattuali che lo attendevano la
mattina a Roma. Tutte le sere. Una notte, a Ferrara, a tre giorni dal voto, con
centinaia di persone sotto il portico, il microfono non funzionava, e Landini
aveva fatto ricorso al suo leggendario vocione, amplificato dalle volte. Il
proprietario del bar affacciato sotto gli archi era uscito e aveva detto al
ragazzo de sindacato: “Guarda, io sono d’accordo con Landini, ma potete
abbassare il volume dell’amplificatore? Qui tremano i bicchieri!”. E il
ragazzo: “Non c’è nessun amplificatore”. Il giorno dopo Landini - soliti
polmoni - deve saltare con la morte nel cuore il comizio di Brescia. Chiude a
Reggio Emilia, a casa sua, con Bellaciao suonata con il violino e abbracciato
da Adelmo Cervi. Lacrime, applausi, ma la solita ironia di Landini si abbatte
sul vecchio amico: “Non vorrei che per quanto sei stonato regaliamo qualche
voto alla Boschi”. Gli dicono, con una punta di polemica: “Ma è giusto come un
sindacalista faccia campagna per un referendum costituzionale”. Lui risponde
secco: No, non puó. Deve”. Memorabile scontro con la Santanché, due anni fa:
“Lei, caro Landini è un privilegiato della Casta sindacale . Io la rispetto,
come persona, ma so che difende con passione privilegi anacronistici”. Lui:
“Cara signora, visto che con dieci stipendi dei miei si compra una borsetta
delle sue, sono molto contento che lei mi consideri parte delle casta dei
lavoratori”.
Anche al suo
sindacato non ha mai risparmiato critiche: “Oggi è una macchina burocratica
enorme, che deve rimettersi in moto e cambiare: seimila funzionari solo in
Piemonte, ottomila in Emilia. Una nomenklatura che a volte difende privilegi”.
E ancora: “Non perdere lo spirito dei nostri padri può significare una cosa
sola: i garantiti, che hanno la cultura del lavoro, devono pensare in primo
luogo ai non garantiti che non hanno avuto nessuno da cui impararla”.
Ma è proprio
sulla paura di questo cambiamento possibile che Colla ha da giocarsi buone
carte, facendosi portavoce di quei settori della Cgil che vogliono continuare a
gestire il sindacato come hanno fatto in questi anni. Un punto di forza del rivale
di Landini è il rapporto più ortodosso con il Pd. Questo però è anche il suo
punto debole, perché il sindacato rosso sto cambiando rapidamente la sua
fisionomia, non è più monolitico: non è un caso, forse, che nella categoria
della Funzione Pubblica spopolino gli elettori del Movimento 5 Stelle, mentre
nella stessa Fiom convivono tante complesse anomalie: è il sindacato con un 20%
di elettori della lega tra i suoi iscritti, ma anche con il più alto numero di
iscritti tra i lavoratori extracomunitari, ma anche con un gruppo dirigente
intermedio, soprattutto fra i delegati di fabbrica, che guarda con grande
simpatia a di Maio, e ai suoi provvedimenti di sapore “laburista”. Anche in
questo, Landini e la Sorrentino sono più in sintonia con il nuovo tempo, mentre
Colla è più in sintonia con una idea di collateralita con il Pd. Un bivio
importante quello tra autonomia e rapporto ombelicale che attraversa tutto il
congresso. Non a caso Colla ha attaccato Landini accusandolo di eccessiva
vicinanza al ministro del lavoro al tavolo dell’Ilva (Landini ha partecipato
alla trattativa) e poi questa estate ha attaccato per l’invito a Savona alla
festa della Cgil (“Dobbiamo marcare la nostra autonomia dal governo). Landini
non ha approfondito la polemica e solo una accusa fa lateralmente imbufalire.
Quando gli dicono che non firma i contratti: “Li sfido a contarli e a trovare
un sindacalista che ne ha fatti più di me”. Ci sono due candidati, due
progetti, due uomini. Per la prima vota la Cgil sceglie il suoi leader un ballottaggio,
e questo -ovviamente - è un progresso.
notizie.tiscali.it
10 ottobre 2018
10 ottobre 2018
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