GIOIA SGARLATA
A Portella il vino
Centopassi nasce dai terreni sottratti a Cosa nostra "All’inizio nessuno
voleva lavorarci". Adesso il nemico è la grandine
«Lì, dietro quella altura, la mafia aveva il suo poligono di tiro». Portella
della Ginestra, 950 metri d’altezza sul livello del mare. Vito Rappa, 33 anni,
pelle scurita dal sole e occhi accesi, indica un punto tra le montagne. Lui è
originario di Partinico ed è l’agronomo di Centopassi, l’etichetta del
Consorzio Libera Terra, nata come scommessa sociale e culturale nel 2001 sulle
terre confiscate alla mafia e diventata nel tempo una sfida imprenditoriale da
500 mila bottiglie l’anno. «Un’avventura collettiva, eroica e ambiziosa, almeno
quanto la prima», sorride Rappa. Lui a Centopassi è arrivato cinque anni fa per
uno stage. Oggi è l’uomo delle vigne, in giro tutto l’anno per i terreni del
Consorzio: 65 ettari in 12 diverse contrade sparse tra Palermo e Agrigento.
Portella è la vigna più alta di Centopassi. L’ultimo terreno ad essere
vendemmiato e anche tra i più belli da vedere. Da qui lo sguardo spazia su
strade e contrade arrivando fino al mare.
Bernardo Brusca lasciava che ci pascolassero pecore e capre dei pastori
amici, a guardia del territorio. Ora in questo ettaro e mezzo ci sono seimila
viti ad alberello («Nerello mascalese, Nerello cappuccio e Nocera»), e come
sentinelle piccoli roseti gialli, gentili e disarmati a proteggere l’uva dai
parassiti. La terra è scura e ricca di pietre che sembrano arrivare da secoli e
popolazioni lontane.
Rappa è una delle tre figure chiave dello staff vino: il coordinatore è
Giovanni Ascione, «tante vite alle spalle» come dice lui, e poi c’è l’enologo
Maurizio Alongi che lavora come consulente esterno. "I tre
moschettieri" li chiamano da queste parti. Perché sono loro che hanno
restituito personalità ai vini di queste zone e una prospettiva economica e
concreta al progetto di Libera.
«Non senza mugugni, specie all’inizio», confessa Rappa.
«Perché lavorare in biologico, controllare l’uva a vista, vendemmiarla
quando il tempo è giusto, valutando pianta per pianta, ettaro per ettaro,
è una fatica — spiega — E far comprendere ad agricoltori abituati all’ammasso,
che non conta la quantità ma la qualità del singolo grappolo non è stato
facile. All’inizio mi consideravano uno sceriffo...».
Ascione, 54 anni, casertano, adora la vigna di Portella. Lui è arrivato in
questo angolo di Sicilia per occuparsi all’inizio solo dell’aspetto
pubblicitario. Il nome Centopassi, tanto per dire, lo si deve alla sua agenzia
(«Ricordo che contattammo anche Marco Tullio Giordana per chiedere
l’autorizzazione», racconta), come l’idea di far disegnare le etichette con un
concorso aperto ai ragazzi delle scuole. Ma nelle sue tante vite, c’è una
grande passione per il vino e così eccolo alla testa dei tre moschettieri. Capo
dello staff che "guida" le tre cooperative di settore del
Consorzio coi nomi di altre storie eroiche: Placido Rizzotto, Pio La Torre,
Rosario Livatino.
La giornata a Portella è buona.
Finalmente non piove, dopo un’estate da dimenticare. «Solo ad agosto sono
piovuti quasi duecentocinquanta millimetri di pioggia — dice Rappa — Otto volte
più del normale. Ed è arrivata anche la grandine... La peggiore estate degli
ultimi 10 anni». E pensare che invece la primavera era andata bene: «Eravamo
riusciti a contenere la peronosfora ed eravamo soddisfatti...». Oggi invece, a
vendemmia ancora non finita, «la stima è di un trenta per cento in meno di uva
rispetto allo scorso anno, che già era stato poco generoso», fa i conti.
Ascione è l’Athos della situazione, gentile e lungimirante, un modello per
i giovani che qui arrivano di continuo per aiutare nei campi come
volontari unendosi ai dipendenti che oggi superano quota cento. Di certo, se
oggi le bottiglie di Centopassi sono vendute in 16 paesi del mondo —
dall’Inghilterra all’America, fino ad Hong kong — questo «lo si deve in gran
parte al suo intuito», dicono tutti in azienda.
«Bisogna essere visionari per rendere competitiva sul mercato un’impresa
come questa — dice Rappa — È un mondo a parte: si investe su terre che non
saranno mai tue, bisogna calcolare i profitti su un arco di tempo limitato che
è quello dell’assegnazione... Però quando ci sei dentro è una sfida che ti
prende, ti conquista. Tanto più perché è collettiva. Sai di fare qualcosa di
davvero grande», dice.
Anche Stefano Palmeri la pensa allo stesso modo. Cinquantasette anni di
Roccamena, è arrivato qui nel 2002 solo per arare il terreno.
«Non si trovava nessuno che volesse farlo per paura di ritorsioni. Sono
venuto qui col mio trattore», racconta. Nel 2006 ha deciso di diventare socio e
quando nel 2008 è nata la cantina è diventato il cantiniere di Centopassi.
Controlla che tutto funzioni nello stabilimento di San Cipirello: una
barricaia, trenta botti in legno e serbatoi piccoli da 10 a 150 ettolitri,
proprio per garantire un trattamento delle uve legato ai territori.
Più su, nella parte alta della stessa tenuta, c’è la sala degustazione con
vista sulle vigne e un camino per l’inverno.
Sopra, 7 grandi bocce piene di terra, raccontano la diversità delle vigne:
c’è quella bruna di Portella e quella chiara e sabbiosa di Don Tomaso (a San
Cipirello), quella ricca di ossidi di ferro della contrada di Giambascio (a San
Giuseppe Iato) e così via... un colpo d’occhio. In mezzo, come fossero trofei,
le nuove bottiglie: le etichette sono ancora quelle disegnate dai ragazzi delle
scuole. Il logo di Libera Terra è dietro. E al centro, sul davanti, c’è
l’indicazione del terroir. La seconda sfida eroica di Centopassi.
Repubblica
Palermo, 14 ottobre 2018
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