Il sindaco di Riace Mimmo Lucano |
ATTILIO BOLZONI
È troppo anche per quest’Italia incattivita affondare il "modello
Riace" insieme all’arresto del suo sindaco. Ed è troppo banale e
grossolano cancellare una straordinaria esperienza di accoglienza, inclusione,
ospitalità che dura negli anni avvelenando l’opera generosa di Domenico Lucano,
un simbolo che non è mai stato solo un simbolo vuoto ma ha preso forma in un
uomo che ha sputato sangue per un paese in armonia con se stesso. È un’infamia
costruire sulle vicende giudiziarie che coinvolgono il sindaco di Riace, così
come si è fatto con le inchieste sulle Ong, un teorema contro l’integrazione e
servirlo come vendetta fredda sul muso dei buonisti. Questa è becera propaganda.
Sulla vicenda di Riace invece bisogna ragionare, stare ai fatti, mantenere
una rotta equilibrata, senza curve tortuose, senza stare sempre lì sull’orlo di
un precipizio a urlare. E, allora, riflettiamo su quello che è accaduto.
Oggi è sotto accusa per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina il
sindaco Lucano. Qualche settimana fa è stato indagato il ministro dell’Interno
Matteo Salvini per sequestro di persona aggravato dei naufraghi della nave
Diciotti. Due vicende che sono lo specchio una dell’altra, di due Italie. Ma
non si può un giorno osannare la magistratura quando ha nel mirino Salvini e il
giorno dopo demonizzarla quando il bersaglio è un personaggio come Lucano: la
democrazia non funziona così.
Se poi entriamo nel dettaglio delle accuse che sono state rivolte al
sindaco di Riace, allora possiamo ragionare ancora più a fondo. Intanto le
contestazioni — naturalmente tutte da provare — ci raccontano di documenti
falsi, di matrimoni combinati, forse di una truffa quasi portata a compimento
in Etiopia e di manovre fraudolente tentate nel paese calabrese. Una
"disobbedienza civile" che ha infranto numerosi articoli del codice
penale e che fa dire al giudice delle indagini preliminari che il fine non può
giustificare i mezzi. Approssimazione, procedure forzate, disordine
amministrativo ma anche fattispecie di reato molto precise, comportamenti
("a fin di bene") sicuramente fuori dai confini. Nessun imbroglio per
intascare denaro e nessun fondo pubblico da spremere per interesse personale —
è fondamentale sottolinearlo — perché Mimmo Lucano non appartiene a quella
razza, però regole violate. Questo è un punto fermo, un punto intorno al quale
non ci sono spazi per discutere, né piccoli né grandi. Si può al contrario
discutere e criticare nel dettaglio l’inchiesta della procura di Locri. E lo fa
anche il gip che rileva «inesattezze nelle indagini» dei suoi colleghi pm,
precisa che «nessuno ha mai intascato un centesimo», accoglie sì la richiesta
d’arresto della procura ma rigetta le ipotizzate accuse di associazione a
delinquere, il concorso in corruzione, la malversazione.
Si può pure discutere della sproporzionata azione della procura che ha
messo in campo una task force senza precedenti per "incastrare"
Lucano mentre alle cronache sono ignote da anni aggressioni giudiziarie
significative sul notabilato più vampiresco che c’è nella Locride (la
’ndrangheta è competenza della distrettuale di Reggio) e operazioni poliziesche
che abbiano lasciato qualche segno in una striscia famigerata di Calabria.
L’inchiesta più "clamorosa" dell’era moderna a Locri è questa contro
Mimmo Lucano. Molto rumore, altre tossine messe in circolo nel corpo Italia.
La Repubblica, 3 ottobre 2018
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