di Marina Monego
Conoscevo
qualcosa della vita di santa Marina, sapevo che c’erano in realtà più sante con
questo nome, ma non mi ero mai imbattuta in un saggio così dettagliato e
preciso su questa figura, appartenente soprattutto alla Chiesa Orientale.
Esistono due
modelli agiografici di riferimento per santa Marina: quello della monaca
travestita da uomo e quello della martire. Il primo è certamente il più
intrigante e presenta diverse versioni, tra le quali due risultano maggiormente
accreditate: Marina del Libano in Asia Occidentale, vissuta nei secc. V-VI e
Marina di Bitinia, in Asia Minore. La sua
vicenda , merita di essere rapidamente riassunta. Marina di
Bitinia rimase presto orfana di madre e seguì in monastero il padre Eugenio,
uomo di santa vita, che da tempo meditava di ritirarsi in penitenza, ma non
aveva il coraggio di dirlo alla figlia. Quando glielo rivelò, Marina pianse e
si disperò, offrendosi anche di seguirlo nel monastero, ma il padre non volle,
la affidò a un parente intimo e si ritirò nel monastero di Canobin sul monte
Libano.
Eugenio
continuò tuttavia a preoccuparsi per la figlia, tanto che l’abate se ne accorse
ed allora Eugenio, in lacrime, gli rivelò di aver lasciato al paese natale un
figlio, estremamente virtuoso, che aveva espresso il desiderio di diventare
monaco pur di seguirlo. L’abate allora gli diede il permesso di far entrare il
figliolo nel monastero. Eugenio ritornò al paese da Marina che, dichiarata la
sua convinzione di volerlo seguire in convento, si lasciò tagliare i capelli e
travestire da monaco, cambiò il suo nome in Marino e seguì il padre a Canobin.
Aveva quattordici anni e nessuno si accorse che era una ragazza. Passarono così
tre anni, poi il padre morì e raccomandò a Marina/o di custodire bene il suo
segreto.
Marina
crebbe e si dimostrò un modello di virtù, finché non accadde un fatto assai
grave.
Mensilmente
i confratelli, a turno, si recavano al mercato di un paese vicino al mare per i
rifornimenti. Lungo la via pernottavano sempre presso lo stesso albergatore,
Pandasio, che aveva una figlia che era rimasta incinta di un soldato.
Quando i
genitori la scoprirono, ella accusò il monaco Marino, che rinunciò a difendersi
e si dichiarò pronto a espiare la sua colpa. L’abate lo scacciò e Marino andò a
rifugiarsi in una grotta vicino al convento dove visse di stenti, dormendo per
terra ed elemosinando il cibo ai viandanti.
Dopo un anno
il bambino, che pare si chiamasse Fortunato, fu gettato ai piedi di Marino, che
lo allevò come suo figlio. Passati cinque anni, i confratelli di Marino,
impietositi e commossi, implorarono l’abate di riammettere Marino alla vita
comunitaria.
L’abate
acconsentì, ma a Marino furono affidati sempre lavori umili e faticosi, che
prostrarono ancora di più il suo fisico già provato dagli anni di penitenza. In
breve Marino morì con accanto il piccolo Fortunato, cui fu assicurato che non
sarebbe stato cacciato dal convento. L’abate ordinò che fosse sepolto in un
luogo lontano dal monastero ma, quando i confratelli lo prepararono per la
sepoltura, si accorsero con stupore della sua natura femminile.
La notizia
si diffuse e la sua accusatrice, pentita, confessò il suo peccato. Giunta al
convento e inginocchiatasi davanti al corpo di Marino, ne chiese il perdono ed
accadde il primo miracolo: la calunniatrice fu liberata dal demonio che per
anni l’aveva tormentata. Marina morì il 12 febbraio 740 e ben presto la sua
tomba divenne luogo di prodigi e guarigioni e fu venerata in tutto l’Oriente.
In seguito il suo culto si diffuse anche in Occidente. Le sue reliquie rimasero
a lungo a Canobin, poi a causa delle incursioni arabe furono trasportate prima
in Romania, poi a Costantinopoli e poi, il 17 luglio 1228 il corpo fu traslato
a Venezia tramite Giovanni da Bora, un mercante che lo nascose in una cassa
coperta di spezie.
Ancor oggi
si ritiene che il corpo di santa Marina si trovi a Venezia nella chiesa di
Santa Maria Formosa ed è la santa patrona minore di Venezia.
Questa la
vicenda avventurosa della prima santa Marina, esiste poi Marina-Margherita di
Antiochia, martire, ed esistono numerosi esempi di monache/ martiri travestiti
nelle agiografie.
Le ricerche
della Stelladoro sono estremamente precise e quasi metà libro è occupato da
note, bibliografia e indici.
Il motivo
ricorrente è che, per raggiungere la santità, queste donne devono travestirsi
da uomo, quindi rompere con la loro dimensione femminile, con la loro vera
natura: “solo il cenobio maschile è vero in quanto l’ascesi è unicamente
prerogativa maschile tanto più ora che il monachesimo è pure diventato una
struttura sociale, cioè un luogo di potere, e quindi di esclusivo dominio
maschile”.
Viene da
domandarsi allora quale ruolo abbiano avuto le donne nel monachesimo antico, in
fondo si sentono sempre nominare i Padri della Chiesa, di Madri si parla molto
meno. Diciamo che per essere fedeli alla loro vocazione queste donne si sono
adeguate a un precetto del vangelo apocrifo di Tommaso:
“Se una
donna vuole servire Cristo e tralasciare il mondo materiale, dovrà smettere di
essere donna. Allora sarà considerata come un uomo”.
Vi era
all’epoca una radicata misoginia e la convinzione che la donna fosse inferiore
all’uomo per cui si temeva anche che queste donne assumessero troppa autonomia
o potere. Gli stessi monasteri femminili – consentiti – avevano sempre una
guida spirituale maschile e gli asceti dovevano dirimere i frequenti contrasti
nei monasteri femminili, poiché si riteneva che le donne non fossero capaci di
autogovernarsi.
Cambiare
abito, assumere la veste monastica implicava cambiare sesso e la studiosa porta
numerosi esempi confrontandoli tra loro.
In chiusura
alcune pagine sono dedicate alla storia, ormai più tarda, della papessa
Giovanna e alle Mille e una notte.
In
conclusione, le agiografie sono suggestive e spesso avventurose, possono venire
lette per tanti scopi: edificante, per meditazione, per conoscere una parte di
storia della Chiesa e del monachesimo, costituiscono testimonianze
antropologiche importanti, segnano spesso la grande distanza che ci separa da
certi comportamenti e hanno una loro struttura letteraria davvero interessante,
con motivi ricorrenti variamente elaborati, che ci illuminano sul pensiero e
sul mondo simbolico del loro tempo. Maria Stelladoro ha compiuto un lavoro
davvero preciso e documentatissimo, partendo da santa Marina (dalle varie sante
con questo nome) è giunta al confronto con altre sante analoghe dai nomi
diversi e a una serie di conclusioni che allargano molto il campo delle sue
riflessioni.
Pubblicato
il: 28
settembre 2018
www.lankenauta.it
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