GIORGIO RUTA
«Ricordo il sorriso di don Pino, oggi la sfida della Chiesa è di essere
come lui, radicati nel territorio». L’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice,
ha gli occhi stanchi quando mancano tre giorni all’arrivo di papa Francesco in
città, nel venticinquesimo anniversario dall’assassinio del prete di
Brancaccio. Ma si accende in un lampo, sollevando l’indice in aria, quando
svela che il Pontefice verrà a rinnovare «la scomunica ai mafiosi» gridata da
Giovanni Paolo II 25 anni fa ad Agrigento.
Appena arrivato dal Vaticano, dove ha incontrato Francesco, si sposta da
una riunione all’altra. «Il Santo Padre verrà a Palermo consapevole di essere nel cuore del
Mediterraneo. Non potrà che pronunciare parole di accoglienza e solidarietà»,
anticipa don Corrado.
Lei ha conosciuto padre Puglisi e lo ha indicato come sua guida quando si è
insediato all’arcidiocesi di Palermo. Cosa le ha lasciato quell’incontro?
«Ricordo soprattutto il suo sorriso. In questi giorni ho visto moltissime foto e nel suo volto c’era sempre un
sorriso, anche nei momenti di serietà traspariva dolcezza dal suo volto. Il
primo contatto con don Pino l’ho avuto nel finire degli anni Ottanta, durante
un convegno ad Acireale. Me lo presentò la sua collaboratrice, l’assistente
sociale missionaria Agostina Aiello, avevo 26 anni ed ero il direttore del
centro diocesano di Noto. Ci siamo rivisti spesso nelle riunioni del Centro
regionale vocazioni quando lui ne era responsabile, mi ha espresso amicizia con
la sua sobrietà. Porto con me l’autenticità di un uomo che fa diventare
l’umanità un sacramento di Cristo. Un vero prete lo so riconoscere proprio dall’umanità e dalla semplicità».
L’assassinio di don Puglisi è stato uno spartiacque per la Chiesa
siciliana. Per lei cosa ha significato?
«Quando arrivò la prima notizia dell’omicidio, non pensai a don Pino.
Sapevo che aveva lasciato il Centro regionale vocazioni e che andava in
una parrocchia molto esigente, ma non collegai subito il delitto a lui. Poi,
quando tutto fu chiaro, provai grande sgomento. Però subito è venuta a galla con chiarezza la struttura di un uomo. Un uomo che aveva la mitezza che rende audace un inerme, capace di offrire
la vita. Lui aveva capito: “Me l’aspettavo”, disse agli assassini».
Pochi giorni fa ha avuto un colloquio privato con il Pontefice.
«È stato un incontro molto cordiale e affettuoso, come è capace di fare il
Santo Padre. L’ho trovato, in questo momento così particolare per la Chiesa, un
degno successore di colui che si chiama Roccia, Pietro. Desidera venire a
Palermo e ne conosce già la realtà».
Nel venticinquesimo anniversario dell’uccisione di don Puglisi, il
Pontefice non potrà che parlare di mafia.
«Il Papa verrà a dire ai mafiosi “Convertitevi”, perché per loro c’è una
scomunica di fatto, e ogni mafioso saprà di essere escluso perché non cammina
sulle orme del Vangelo. È lui stesso a mettersi fuori perché un cristiano non
uccide, non fa diventare idolo il denaro né il profitto. Il Pontefice indica
una strada alla nostra Chiesa e ci viene a confermare la testimonianza di
un percorso essenziale per la convivenza umana, che è quello della pace e della
giustizia».
Qual è la sfida attuale per la Chiesa, anche alla luce del documento dei
vescovi siciliani nel venticinquesimo anniversario del discorso di Giovanni
Paolo II nella Valle dei templi?
«La sfida è culturale. La presenza della mafia ci impone di essere come don
Pino, di essere radicati nella realtà come il beato Puglisi che conosceva il
territorio, lo sapeva leggere».
E poi c’è la questione dei migranti, tema che lei più volte ha sollevato
nell’ultimo periodo.
«In questo momento storico c’è la consapevolezza che il Papa arriva a
Palermo ma anche nel cuore del Mediterraneo, e deve partire senza dubbio da
questa terra un messaggio di solidarietà e di accoglienza».
Francesco atterra a Palermo a tre anni dal suo insediamento come
arcivescovo di Palermo. Qual è il suo bilancio?
«Positivo. Ci sono state tante contraddizioni, tante fragilità, ma si sono
intrapresi cammini meravigliosi. E questi percorsi ci sono non perché sono
arrivato io, ma perché c’è un grande desiderio di avventurarsi, di prendere il
largo e assomigliare a don Pino. Lo percepisco girando per le comunità,
parlando con i parroci e i fedeli. In questi anni ho visto il dialogo con le
altre religioni, l’assunzione del grido di tante povertà che emergono ogni
giorno. Cresce il mio amore per la Chiesa palermitana, non ho mai avuto momenti
di tristezza: dall’altra parte noi preti diciamo agli sposi di fare sul serio,
la mia sposa la prendo seriamente anche io, nei buoni e nei cattivi momenti».
A proposito di cattivi momenti, lei al Papa ha parlato delle divisioni
interne emerse nella diocesi palermitana.
«Lui si è fermato, ha ascoltato e poi mi ha risposto con una forza enorme.
Mi ha detto: “Se c’è zizzania significa che c’è del grano buono”».
Repubblica Palermo, 12 settembre 2018
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