Il capitano Carlo Alberto Dalla Chiesa nel cortile della Caserma CC di Corleone nel 1949 quando scoprì gli assassini di Rizzotto |
Documenti. Cento giorni a Palermo. Dagli archivi della prefettura del capoluogo spuntano
tre note inedite: "C’è un filo che lega i delitti Mattarella, La Torre,
Costa e Terranova"
«Per combattere la mafia occorrono più che mezzi straordinari, unitarietà
di intenti, intelligenza e fantasia». E ancora: «È necessario un colloquio
costruttivo tra tutti gli organi dello Stato senza alcun desiderio di
primeggiare l’uno sugli altri. È meglio essere "mezzofondisti" che
"centrometristi"». Dagli archivi della prefettura di Palermo riemergono tre documenti con le
parole di Carlo Alberto Dalla Chiesa, prefetto per cento giorni, mentre la
città era insanguinata dalla strategia del terrore lanciata da Totò Riina.
Parole di grande attualità sull’antimafia. E attuale è anche l’analisi su Cosa
nostra che Dalla Chiesa propone nel corso dei comitati per l’ordine e la
sicurezza convocati a Villa Withaker in quei giorni convulsi. GUARDA L'ALBUM FOTOGRAFICO
«Riteneva che il fenomeno mafioso dovesse valutarsi in maniera unitaria»,
spiega il prefetto di Palermo Antonella De Miro, che ieri ha illustrato alcuni
passaggi dei documenti ritrovati di recente nel corso di un convegno su Dalla
Chiesa tenuto a Corleone ("La lotta dell’Arma alla mafia")
organizzato dalla Legione carabinieri Sicilia e dal Comune. «Poneva come
priorità il tema della necessaria compattezza degli organi dello Stato
nell’azione di contrasto alla mafia – dice ancora il prefetto De Miro – anche
per dare fiducia al cittadino». I documenti sono stati consegnati al figlio di
Dalla Chiesa, Nando.
Nel verbale della riunione tenuta il 31 maggio 1982 – sono presenti il
procuratore Pajno, il questore Mendolia, il colonnello Valentini dei
carabinieri e il colonnello Pizzutti della Finanza – Dalla Chiesa mette
come premessa che «la mafia non è soltanto criminalità organizzata e che essa
presenta collegamenti con vari gruppi e apparati, compreso quello statale».
Dalla Chiesa sa già qual è la posta in gioco, «l’aveva scoperta da capitano
dei carabinieri a Corleone, nel 1949, e poi da colonnello comandante della
Legione di Palermo, fra il 1966 e il 1973, quando era entrato nel cuore delle
indagini sulla nuova mafia», dice il generale Riccardo Galletta. Negli ultimi
100 giorni della sua vita era prefetto, ma restava un investigatore di razza.
Ci racconta uno dei verbali ritrovati: «Il prefetto rileva che esistono molti
punti in comune negli ultimi omicidi di stampo mafioso (Mattarella,
Terranova, Costa, La Torre) e avanza l’ipotesi che quei delitti possano trovare
una spiegazione tenendo conto di due dati di fatto: uno, la zona del corleonese
continua a dare linfa vitale alla mafia. Due, le iniziative economiche che
stanno sorgendo intorno a Comiso per la realizzazione della base missilistica
costituiscono un richiamo allettante della mafia verso la Sicilia orientale». E
qui anticipa quanto dirà nella sua ultima intervista, a Giorgio Bocca,
su Repubblica del 7 agosto, un dato significativo per comprendere, un
altro tema di grande attualità: «La presenza di importanti imprese appaltatrici
catanesi a Palermo (in altri tempi inaccessibile a gruppi economici esterni) –
diceva il prefetto Dalla Chiesa – dimostrerebbe che c’è il benestare di
personaggi e di gruppi di potere palermitano all’ingresso nel settore degli
appalti di aziende catanesi a Palermo, previo un corrispettivo che potrebbe
essere costituito dall’inserimento agevole di palermitani nel ragusano».
Fa una certa impressione rileggere oggi questo passaggio, perché dopo anni
i catanesi di Nitto Santapaola sono tornati a fare tanti affari a Palermo, sul
versante delle scommesse on line,il nuovo business delle cosche. Quale
altra alleanza è stata stipulata fra le famiglie mafiose siciliane?
«Il prefetto Dalla Chiesa – dicono il presidente della Corte d’appello
Matteo Frasca e il generale Luigi Robusto, comandante interegionale dei
carabinieri – muore perché vuole far sul serio, vuole seguire i soldi e
trovandoli colpire i santuari mafiosi e le collusioni».
La Repubblica Palermo, 4 settembre 2018
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