Attilio Bolzoni
Sarà un "atto dovuto" come usano dire i procuratori, ma in questo
caso — per le modalità e i tempi — ci sembra un "atto" esagerato,
tardivo e decisamente inutile. E se dobbiamo essere sinceri anche un po’
odioso, considerata la materia (le stragi e i depistaggi di Stato) e
considerato che neppure uno dei tre poliziotti sotto accusa per avere imbeccato
il falso pentito Scarantino per l’uccisione di Paolo Borsellino ha mai subito
una perquisizione da quando i loro nomi sono stati iscritti nel registro degli
indagati. Privilegio riservato esclusivamente a Salvo Palazzolo, un collega che
definirlo genericamente cronista non gli fa giustizia perché da almeno un
decennio tiene in mano il "filo" delle cose siciliane più misteriose.
Cosa ha fatto di così grave Palazzolo per meritarsi un blitz poliziesco a
casa? Ha pubblicato un verbale top secret e favorito la fuga di un pericoloso
latitante? Ha diffuso informazioni sensibili che hanno compromesso
investigazioni sui mandanti occulti (mai trovati, fra l’altro) di via D’Amelio?
No, ha anticipato di qualche ora — pare due o tre — la notizia della chiusura
dell’inchiesta sui funzionari e gli agenti che avrebbero "pilotato"
le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia costruito in laboratorio per
allontanare la verità sull’esecuzione di Borsellino il 19 luglio del 1992.
Un’anticipazione che non ha portato alcun nocumento all’indagine. Ecco,
perché abbiamo usato prima l’aggettivo "odioso" per commentare quello
che è accaduto ieri a Salvo, una perquisizione durata otto ore nella sua
abitazione e soprattutto la memoria del suo cellulare entrata in possesso della
polizia postale e dei carabinieri. Più il "tesoro" di un giornalista,
i dati contenuti nel suo computer: il suo archivio. Con tutto il rispetto per
il procuratore capo della Repubblica di Catania Carmelo Zuccaro, ma cosa spera
di trovare sei mesi dopo negli strumenti di lavoro — telefono e pc — di
Palazzolo che possa aiutarlo a ricostruire quella "terribile" fuga di
notizie? Troverà niente e poi ancora niente. Anche perché è stata una fuga di
notizie innocua.
E allora perché mettere su quella spettacolare esibizione della
perquisizione, da cosa è scaturita la necessità della procura di Catania di
entrare in possesso di dati personali e professionali di un giornalista?
Non ci sono mai piaciute le difese corporative e proviamo una certa
allergia ai comunicati che "esprimono sdegno e sconcerto" a comando,
però ci piace ragionare.
Salvo Palazzolo, negli ultimi mesi, ha seguito un paio di vicende con
un’attenzione particolare. Una è il "caso Montante", con un bel po’
di rappresentanti infedeli delle istituzioni al servizio di un bifolco
paranoico che faceva il doppiogioco. L’altra è la storia del ministro degli
Interni Salvini, indagato per sequestro di persona per la nave Diciotti. In
entrambi i casi, ha sempre informato la pubblica opinione con tempestività e
correttezza. Questo "atto dovuto" dà la possibilità a tanti — troppi
— di accedere all’archivio di Salvo Palazzolo.
E non va bene.
La Repubblica, 14 sett 2018
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