Giuseppe Fiorenza e Giovanni Calabre, i due carabinieri uccisi |
SAN CIPIRELLO. Il 25 agosto del 1949 la banda di
Salvatore Giuliano assaltò la caserma del nucleo anti-banditismo in via
Garibaldi. Il conflitto a fuoco, con mitra e lancio di bombe a mano, durò circa
20 minuti. A perdere le vita furono Giuseppe Fiorenza e Giovanni Calabrese, due
carabinieri siciliani di 22 e 23 anni. Domani ricorre il 69° anniversario di
quell’eccidio “dimenticato” che fu invece determinante nella trattativa tra
banditismo, mafia e Stato.
L’assalto, l’ultimo in odine di tempo, avvenne una settimana dopo la strage
di Bellolampo, dove persero la vita sette carabinieri e dopo il fallito
l’attentato all’ispettore Ciro Verdiani. Il 2 luglio dello stesso anno, a
Portella della Paglia, erano stati uccisi in un agguato altri cinque agenti di
pubblica sicurezza. “Gli attacchi alle forze dell’ordine, eseguiti dalla banda
ed autorizzati dalla mafia – spiega lo storico Francesco Petrotta -, avevano
come obiettivo imporre allo Stato una trattativa per la liberazione di Maria
Lombardo, la madre di Salvatore Giuliano”. Ed il negoziato, condotta dai
mafiosi di Monreale Ignazio e Nino Miceli con l’Ispettore di Polizia Verdiani,
andò in porto nel gennaio 1950. “Promisi al bandito – raccontò l’ispettore
durante il Processo di Viterbo - di far liberare sua madre e in effetti Maria
Lombardo fu scarcerata qualche tempo dopo. Il mio scopo era di ottenere la
costituzione del bandito Giuliano, la sua cattura e quanto meno di farlo
espatriare”. Secondo Petrotta, autore del volume “Salvatore Giuliano, uomo
d’onore”, “la tragica vicenda della caserma di San Cipirello conferma che la
banda era un’organizzazione terroristica al servizio della mafia”. Nessuno
venne però mai processato per «violenza o minaccia al corpo dello Stato».
Quella sera d’estate i primi colpi furono sparati alle 9 mentre i due militari
del reparto uscivano per perlustrare le vicinanze del paese. La prassi voleva
che, proprio per prevenire eventuali imboscate, i carabinieri lasciassero la
caserma a coppie distaccate l'una dall'altra. Aperta la porta, i due
carabinieri divennero così bersaglio di una raffica di mitra seguita dallo
scoppio di diverse bombe a mano. A perdere la vita quel giorno fu Fiorenza,
originario di Centuripe, in provincia di Enna. Calabrese, che era nato a
Modica, morì per le ferite l’indomani a Palermo. Le cronache del tempo
raccontano di “una violenta sparatoria”: da una lato i carabinieri assiepati
dentro la caserma, dall’altro i banditi nascosti tra le case che costeggiavano
piazza Mercato. I rinforzi da San Giuseppe Jato, allertati per radiogramma,
arrivarono poco dopo, quando già i banditi avevano fatto perdere le proprie
tracce. Ad organizzare l'attacco per uccidere il maggior numero di carabinieri
possibile furono il mafioso Raffaele Lo Voi e il malavitoso Antonino Sciortino.
A rivelarlo ai carabinieri nell’ottobre di quello stesso anno fu uno degli
esecutori: Giuseppe Cucinella, comandante del 3° plotone della banda Giuliano.
I banditi avevano agito secondo un piano prestabilito e basato sulla conoscenza
degli spostamenti dei carabinieri. “Ad organizzare l’assalto – sostiene
Petrotta - erano stati Raffaele Lo Voi e Antonino Sciortino. Entrambi della
banda Giuliano, all’interno della quale avevano il compito di fornire ai
banditi alloggio e vitto, nonché di informazioni per mantenerli in collegamento
tra loro e per non farli cadere nelle mani dei carabinieri”. Tra gli esecutori
materiali dell’assalto alla caserma, oltre a Cucinella, c’erano anche quattro
banditi: Isidoro Bruno, Giovanni Genovese, Giuseppe Delizia e Domenico Oliveri.
Tutti di San Giuseppe Jato.
LEANDRO SALVIA
(Giornale di Sicilia)
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