di ENZO CICONTE
Il ministro dell’interno, dopo una visita in Sicilia, ha deciso di
trascorre il tradizionale appuntamento di ferragosto con le forze dell’ordine a
San Luca, nel cuore dell’Aspromonte. Perché ha fatto questa scelta? Perché è un
luogo altamente simbolico, considerato dai mafiosi come la mamma della
‘ndrangheta? Scegliere questi luoghi significa alimentare l’idea un po’
retrograda e razzista che non c’è mafia se non ci sono siciliani, calabresi,
campani e pugliesi. È un’idea sbagliata, vecchia e non rispondente alla realtà.
Semmai la visita a San Luca avrebbe dovuto essere preceduta da una visita
non in Sicilia, ma a Milano che da tempo è la seconda capitale della
‘ndrangheta. Nelle realtà del Nord operano con il metodo mafioso soggetti
locali, nati in quei luoghi, colletti bianchi professionalmente bravi che fanno
affari con i mafiosi terroni e da questi hanno introiettato una certa
mentalità.
Mi permetto di dare alcuni suggerimenti non richiesti al ministro: dopo San
Luca si faccia descrivere dal Prefetto e dal Questore di Reggio Calabria i
casati mafiosi e la nobiltà nera delle ‘ndrine calabresi che lì e nella
provincia hanno i loro centri di comando.
E poi, se non vuole avere della Calabria un’immagine distorta, si faccia
portare a Pizzo Calabro dove ci sono gli stabilimenti dell’ottimo tonno Callipo
e a Rossano dove da secoli ci sono gli Amarelli con le loro squisite
liquirizie, si faccia portare a Polistena dove don Pino Demasi può raccontare
l’esperienza dei giovani della Valle del Marro e a Riace dove il sindaco Mimmo
Lucano ha fatto di quel paese un luogo di incontro e di convivenza tra popoli.
La Calabria è anche questo (e tanto altro ancora; ci vorrebbero più libri per
raccontarlo): eccellenze in vari campi che fanno onore alla Calabria, le danno
prestigio e indicano una via alternativa a quella criminale.
Poi vada a Lamezia Terme e prenda un volo per Milano e anche lì incontri
Prefetto e Questore e si faccia dire del radicamento mafioso che è antico,
degli investimenti in centro storico a due passi dal Duomo, si faccia spiegare
come la ‘ndrangheta percorra l’autostrada della finanza legale e
illegale-criminale per nascondere ed investire i propri soldi, che sono
un’enormità, e forse capirà come una moderna economia debba avere paura di
questo pericolo mortale e non di stranieri in cerca di lavoro o richiedenti
asilo; si faccia dire come pacchetti di voti mafiosi siano andati a tutti i
partiti, compreso il suo (ma qui potrebbe essere il ministro-segretario a
fornire qualche indicazione più precisa, se volesse).
Tornato a Roma, incontri il Procuratore nazionale Antimafia e il Direttore
della DIA, e si faccia raccontare le rotte internazionali della ‘ndrangheta, le
presenze in Europa e nel resto del mondo, in località lontanissime come il
Brasile, il Canada, l’Australia, gli USA. A Settembre, riaperte le camere dopo
le ferie, si presenti in Parlamento (dopo aver informato il Presidente del
consiglio che ha studiato tante cose, ma non la ‘ndrangheta), esponga quanto ha
appreso e dica agli italiani come intende combattere la ‘ndrangheta per
ridurla, come ha detto con un’espressione poco elegante ma efficace, in
mutande. E dopo un anno ritorni in Parlamento e dica quello che ha fatto il suo
ministero (il suo ministero, non i magistrati antimafia).
Ecco, se fa questo avrà fatto il suo dovere. Altrimenti la sua visita a San
Luca inchioderà quel paese a un destino che può apparire definitivo e senza
speranza; e sarà solo uno spot, efficace quanto si vuole, ma solo uno spot. E
la Calabria, che è la mia terra, di tutto ha bisogno in questa fase della sua
storia travagliata, tranne che di spot.
La Repubblica 15 agosto 2018
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