SALVO PALAZZOLO
Parla con i magistrati Johnny Lucchese, figlio di Nino e nipote di
“Lucchiseddu” La moglie si dissocia
L’ultima crepa nel muro di Cosa nostra si fa sempre più profonda. Un altro
mafioso ha deciso di collaborare con la procura di Palermo. Un mafioso dal
cognome illustre che richiama la storia drammatica delle cosche.
Giovanni Johnny Lucchese, da un anno in carcere, è il figlio di Nino,
condannato all’ergastolo (ma è ai domiciliari per motivi di salute), ed è il
cognato di Pietro Tagliavia, l’ultimo capo del mandamento di Brancaccio-Corso
dei Mille. Johnny è anche il nipote di Giuseppe Lucchese detto Lucchiseddu, uno
dei superkiller fidati di Riina, all’ergastolo per gli omicidi eccellenti di
Palermo, da Pio La Torre a Dalla Chiesa, a Cassarà.
La moglie si dissocia
All’inizio di agosto, i poliziotti della squadra mobile sono arrivati in
gran segreto a casa di Johnny Lucchese, cercavano sua moglie, per offrirle
protezione lontano dalla Sicilia. Una prassi in questi casi. E come spesso
accade, la moglie del neo collaboratore di giustizia si è subito dissociata
dalla scelta del congiunto. Rosalinda Tagliavia ha ribadito che vuole restare a
casa sua, ha ribaditosoprattutto che non intende prendere le distanze dal
padre, don Ciccio ( all’ergastolo per la strage di via D’Amelio e per le bombe
del 1993), e dal fratello Pietro, anche lui in cella. Una dissociazione che in
pieno agosto è poi diventata pubblica, fra amici e parenti.
Lucchese, che ha 46 anni, era stato arrestato nel luglio 2017 in un blitz
della squadra mobile e del nucleo di polizia economico finanziaria. Il clan
retto da Pietro Tagliavia imponeva estorsioni e gestiva l’affare del pesce
surgelato, i proventi venivano poi riciclati. I verbali del neo collaboratore
sono ancora segreti e al vaglio del pool coordinato dal procuratore aggiunto
Salvatore De Luca, ma è probabile che Lucchese abbia raccontato molti dei
segreti del clan. Tra nuovi affari e investimenti di droga.
La madre di Johnny
Lucchese conosce anche molti vecchi segreti dell’organizzazione.
Alcuni lo riguardano direttamente. Aveva 15 anni quando sua madre fu uccisa, si
chiamava Luisa Provvidenza Grippi. Il giorno di Ferragosto del 1987, poco dopo
le 13, stava comprando dei dolci al bar Alba di piazza don Bosco. Era davanti
alla vetrina delle torte quando si materializzarono due giovani che indossavano
caschi integrali: uno intimò alla cassiera di consegnare tutti i soldi, e nel
giro di qualche secondo arraffò 500 mila lire; l’altro rapinatore, o
presunto tale in quel momento, strappò la borsetta alla donna: « La scaraventò
per terra — raccontò il banconista — e mentre la teneva per i capelli con la mano
sinistra, le puntava la pistola alla testa. Qualche attimo dopo sparò. Poi
scappò via, portandosi la borsetta » . Ma quella non era una rapina.
Per l’omicidio è stato condannato Giuseppe Lucchese, il cognato di Luisa
Grippi. Il pentito Francesco Marino Mannoia rivelò che era stato Lucchiseddu in
persona a sparare, «perché si diceva che tradiva il marito». Il pentito Pino
Marchese ha raccontato che il giorno dopo l’omicidio, all’Ucciardone, vide il
marito con una fascia nera al braccio: «Era tranquillo, come se fosse una cosa
normale quello che era successo. Sapevamo tutti che era una messinscena». Erano
gli anni in cui a Palermo si moriva per un sospetto. Il sospetto di una
infedeltà coniugale. L’unica cosa accertata l’ha messa a verbale il pentito Salvatore
Cucuzza: «Era una donna libera» . E libero ha voluto essere il figlio.
Chissà cosa sa Johnny dei delitti dello
zio. Lucchiseddu è stato condannato pure per l’omicidio della sorella
Giuseppina e del cognato, uccisi il 6 aprile 1983. Identico il movente. Il
marito sarebbe stato ucciso perché accusato di non aver evitato il “ disonore”
alla famiglia.
Johnny Lucchese può raccontare un pezzo della storia terribile di
Palermo.
La Repubblica Palermo, 26 agosto 2018
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