Ecco chi affama l’Italia del pomodoro. Le doppie
aste della grande distribuzione e il crollo dei prezzi: solo l’8% di quanto
paghiamo va al prodotto
CHIARA SPAGNOLO
BARI - La grande distribuzione tiene in ostaggio
la filiera del pomodoro. Per capirlo basta guardare una bottiglia di passata e
scoprire che il 53% di quello che paghiamo alla cassa finisce a chi gestisce la
catena, il 10% è il costo della bottiglia stessa e solo l’8% è il valore del
prodotto. Lo dice un’analisi della Coldiretti e lo raccontano produttori
agricoli e imprenditori della trasformazione, nei giorni in cui ancora si
piangono i 16 braccianti morti in due incidenti stradali in Puglia.
Mentre la
politica si interroga sulla necessità di rivedere la legge 199 sul caporalato
(con il braccio di ferro Lega-M5S che non trova un punto d’incontro) e i
sindacati chiedono maggiori controlli sui campi, passa in second’ordine il modo
in cui negli ultimi trenta anni la filiera agricola è stata drogata. E il fatto
che lo spauracchio delle importazioni viene agitato a ogni pie’ sospinto, per
far lievitare i costi dei prodotti dopo che raggiungono gli scaffali. La
passata di pomodoro è l’esempio plastico di una situazione incancrenita: al
supermercato costa tra 0,70 e 1,3 euro ma le industrie di conservazione la
smerciano a 40-45 centesimi a bottiglia, come racconta Francesco Franzese della
Fiammante di Buccino (in provincia di Salerno) che dalle campagne del Foggiano
compra l’80% del prodotto. «Vendo le bottiglie di passata da 770 ml a 44
centesimi, a me costano 39, significa che il guadagno è di 5 centesimi. Una
cifra che diventa utile solo se si fanno numeri altissimi, come i nostri 20
milioni di pezzi». Tradotto: nel passaggio dai tir ai supermercati il prezzo
può anche triplicare. Anche grazie alle aste al doppio ribasso, che nel rapporto
“Agromafie e caporalato” vengono definite il modo in cui la grande
distribuzione «strozza l’agricoltura italiana». Il sistema è semplice: a maggio
viene bandita l’asta, le ditte di conservazione offrono prodotti e prezzi, il
più basso diventa il punto di partenza dell’asta successiva, che si svolge
online, tramite un portale che concede due minuti per le nuove offerte. Tutto
senza controllo, senza poter sapere chi c’è dietro le offerte e chi potrebbe
drogare il mercato. In una corsa a chi offre di meno, che poche settimane fa ha
portato Eurospin ad aggiudicarsi la passata di pomodoro a 31,5 centesimi. E se
ci sono imprenditori della trasformazione che rinunciano, altri sono costretti
a vendere a una miseria. E a cercare, a loro volta, di tirare sui prezzi dei
pomodori. In teoria il prezzo è bloccato dall’Accordo quadro, che ogni anno
viene firmato tra Anicav (Associazione nazionale industriali conserve vegetali)
e Op (organizzazioni di produttori): per il 2018 è stato previsto che il
pomodoro tondo venga acquistato a 87 euro per tonnellata e quello lungo a 97
nel Centro-Sud e 85 al Nord. «Lì il prodotto può costare di meno perché molti
produttori sono anche conservatori — spiega Enzo Smacchia, dell’Op Mediterraneo
di Foggia — al Sud la filiera è più lunga e in mezzo ci sono anche le
cooperative, a cui noi produttori versiamo il 10% dei guadagni». I prezzi —
stando ai calcoli — sono uguali a quelli di 30 anni fa, «come nel 1985, per
l’esattezza — dice Coldiretti Puglia — nonostante il codice etico firmato l’anno
scorso tra il ministero delle Politiche agricole e la grande distribuzione». Il
mondo, però, nel frattempo è cambiato. Così come i contratti di lavoro
agricolo. Quelli regolari prevedono che il dipendente di livello più basso (il
bracciante) guadagni 7,31 euro all’ora per 6 ore e mezzo al giorno. Nei campi
della Puglia, però, come raccontano molte inchieste giudiziarie, ci sono uomini
e donne che lavorano senza contratto e per una paga di 3 euro all’ora. Le loro
giornate iniziano all’alba e finiscono anche dieci ore dopo, ammesso che non
muoiano di caldo — come è successo a Paola Clemente il 13 luglio 2015 ad Andria
o Abdullah Mohamed sette giorni dopo a Nardò — o schiacciati tra le lamiere di
un furgoncino, come i sedici deceduti tra il 4 e il 6 agosto in Capitanata. Chi
la sera torna a casa o nei ghetti, in fondo, può dirsi fortunato. Perché il
giorno dopo può ricominciare a lavorare sotto al sole per riempire 10-15
cassoni con almeno 3.000-4.500 kg di pomodori. Quelli che, nella bottiglia di
passata, avranno un valore di 0,104 euro. Talmente poco che persino il
contenitore costa di più.La Repubblica, 9 agosto 2018
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