La strage di via D'Amelio |
SALVO PALAZZOLO
I giudici di Caltanissetta collegano le indagini deviate
con l’agenda rossa: “ La Barbera coinvolto nella scomparsa”
«Soggetti inseriti negli apparati dello Stato» indussero Vincenzo
Scarantino a rendere false dichiarazioni sulla strage che era costata la vita
al procuratore aggiunto Paolo Borsellino e ai poliziotti della scorta. «È uno
dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana» , accusano i
giudici della corte d’assise di Caltanissetta, che ieri hanno depositato le
motivazioni della sentenza del processo Borsellino quater: 1.856 pagine, dodici
capitoli, un lavoro minuzioso di ricostruzione firmato dal presidente Antonio
Balsamo e dal giudice a latere Janos Barlotti, che rappresenta una tappa
importante nel difficile percorso di ricerca della verità, perché fissa in
maniera chiara i misteri ancora irrisolti e indica una strada per proseguire le
indagini.
Indagini che puntano al cuore dello Stato. Scrive la corte: «È lecito
interrogarsi sulle finalità realmente perseguite dai soggetti, inseriti
negli apparati dello Stato, che si resero protagonisti di tale disegno
criminoso, con specifico riferimento ad alcuni elementi» . Gli uomini dello
Stato chiamati in causa sono alcuni investigatori del gruppo Falcone e
Borsellino guidati dall’allora capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La
Barbera: dovevano scoprire i responsabili delle bombe, invece costruirono a
tavolino alcuni falsi pentiti. La corte non crede per ansia di giustizia e di
risultato. No. Vennero suggerite a Scarantino «un insieme di circostanze del tutto
corrispondenti al vero». Il furto della 126 rubata mediante la rottura del
bloccasterzo è la verità che ha poi raccontato nel 2008 il pentito Gaspare
Spatuzza. Come facevano i suggeritori a sapere la storia della 126? «È del
tutto logico ritenere — scrivono ora i giudici — che tali circostanze siano
state suggerite a Scarantino da altri soggetti, i quali, a loro volta, le
avevano apprese da ulteriori fonti rimaste occulte» . Chi ispirò i
suggeritori? La corte ricorda che il 13 agosto 1992, il centro Sisde (il servizio
segreto civile) di Palermo, comunicò alla sede centrale che « la locale
polizia aveva acquisito significativi elementi sull’autobomba». E ancora la
corte rileva «l’iniziativa decisamente irrituale» dell’allora procuratore di
Caltanissetta Tinebra di chiedere la collaborazione nelle indagini di Bruno
Contrada, all’epoca numero tre del Sisde, poi arrestato per mafia dai pm di
Palermo nel dicembre del 1992. «Una richiesta di collaborazione decisamente
irrituale — ribadisce la sentenza — perché Contrada non rivestiva la qualifica
di ufficiale di polizia giudiziaria» . Tanta «rapidità nel chiedere la
collaborazione di Contrada già il giorno immediatamente successivo alla strage
— scrivono ancora i giudici — a cui fece seguito la mancata audizione del dottore
Borsellino nel periodo dei 57 giorni» che gli rimasero da vivere. E col Sisde
collaborava anche il capo della Mobile La Barbera, pure questo ricorda la
sentenza. E viene scritto, per la prima volta: c’è un «collegamento tra il
depistaggio dell’indagine e l’occultamento dell’agenda rossa di Borsellino».
Perché per i giudici La Barbera è anche « intensamente coinvolto nella
sparizione dell’agenda, come è evidenziato dalla sua reazione, connotata
da una inaudita aggressività, nei confronti di Lucia Borsellino, impegnata in
una coraggiosa opera di ricerca della verità sulla morte del padre».
Ci furono dunque poliziotti indefeli che pilotarono il falso pentito per
finalità tutte da scoprire. Ma ci furono anche magistrati distratti. La corte
d’assise non fa nomi, però scrive: « Un insieme di fattori avrebbe logicamente
consigliato un atteggiamento di particolare cautela e rigore nella valutazione
delle dichiarazioni di Scarantino, con una minuziosa ricerca di tutti gli
elementi di riscontro, secondo le migliori esperienze maturate nel contrasto
alla criminalità organizzata». E viene ricordato che due pm, Ilda Boccassini e
Roberto Saieva, avevano scritto una nota ai colleghi per segnalare
«l’inattendibilità delle dichiarazioni rese da Scarantino su via d’Amelio». Ma
restarono inascoltati. Accadde di peggio. A nessun magistrato della procura
nissena sembrò strano che «La Barbera facesse dei colloqui investigativi con
Scarantino nonostante avesse iniziato a collaborare con la giustizia».
La Repubblica Palermo, 1 luglio 2018
Ha dichiarato
Leoluca Orlando, sindaco di Palermo:
"C'è evidentemente un filo che lega la sentenza sulla trattativa
fra lo Stato e la mafia e questa sentenza sul depistaggio delle indagini sulla
strage di via D'Amelio. Verità giudiziarie in più sedi e più procedimenti confermano la verità storica di pezzi dello Stato che agirono per la mafia e della mafia che agì per conto di pezzi dello Stato.
Mentre occorre non fermarsi per giungere alla piena verità e giustizia, dobbiamo tutti avere gratitudine per la professionalità e la pervicacia di quei Magistrati che hanno continuato a cercare la verità, non a caso spesso attaccati e isolati anche da istituzioni che avrebbero dovuto difenderli.
Dobbiamo tutti gratitudine a quella parte della società civile, come il movimento delle Agende Rosse, che non si è distratta e non ha dimenticato.
Soprattutto abbiamo tutti un dovere di gratitudine e vicinanza alla famiglia di Paolo Borsellino che non ha mai smesso, con grande lucidità, compostezza e senso delle istituzioni, di continuare a chiedere giustizia."
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