Cosimo Lo Sciuto, segretario della Camera del lavoro di Corleone |
di COSIMO LO SCIUTO
A Corleone, a casa nostra sentiamo forte il bisogno di prendere le distanze
dagli stereotipi e da un modo troppe volte poco onesto di descriverci. Sono un corleonese e da pochi anni segretario della Camera del lavoro di
Corleone, nel corso dei quali ho potuto constatare le tante difficoltà e le
contraddizioni di questa città. Da Corleone, da casa nostra troppi giovani vanno via in cerca di un lavoro
dignitoso e, se è vero che il lavoro rende liberi, in cerca di libertà.
È
proprio questo il nodo cruciale per tentare di iniziare un ragionamento sulle
condizioni della nostra società. La voglia di riscatto, l’orgoglio di essere
corleonesi, la rabbia di essere sempre affiancati allo stereotipo mafioso e la
voglia sempre più crescente di dimostrare che la nostra terra è diversa da come
troppe volte la descrivono, non bastano a trattenere i nostri giovani; è per
questo che si cede inesorabilmente alle contraddizioni con cui siamo costretti
a vivere.
Se da un lato diciamo con forza che la maggioranza dei corleonesi sono
lavoratori onesti, dall’altro gli stessi lavoratori si trovano ad affrontare e
subire le irregolarità di un lavoro troppe volte nero e senza tutele, con
salari che troppo spesso sono legati alla piazza anziché ai contratti
collettivi.
Nel settore agricolo, volano per la nostra economia, la crisi troppe volte viene usata per far accettare ai lavoratori condizioni in auge in tempi assai remoti e crea nuove povertà e fa emergere ulteriori contraddizioni. Una crisi del settore agricolo reale che ha messo pesantemente in difficoltà la nostra zona e che si deve soprattutto all’effetto concorrenziale sui prezzi del grano proveniente dall'estero. Eppure questo non può bastare a giustificare il mancato sviluppo del nostro territorio che vede i nostri imprenditori non in grado di trasformare gli ottimi prodotti della terra.
Purtroppo, il mancato sviluppo fa leva anche sull’ennesima assurdità che in questo caso coinvolge le istituzioni democratiche di questo Paese che da un lato hanno investito (spesso male) e dall’altro non riescono a far fronte ai bisogni elementari di ogni società. Infatti, alcuni investimenti sul territorio, capaci di poter dare nuovo slancio alla nostra economia sono stati realizzati e disgraziatamente rimasti chiusi per decenni.
A parte un caseificio realizzato negli anni '80 e ristrutturato nei primi anni 2000, (troppo grande per le produzioni di latte locale) vi è una struttura moderna e all'avanguardia costruita alla fine degli anni '90, ossia il mercato ortofrutticolo a cui vennero istallate nel 2007 delle celle frigorifere. A questi possiamo aggiungere la zona artigianale realizzata e mai avviata. La cosa particolare che i due beni (escludendo il Caseificio) sono stati progettati per avere come via di sbocco la sp4, chiusa al traffico da tempo immemore.
Questa strada diventa l’emblema della situazione locale, dove la rabbia e la rassegnazione la fanno da padrona. Ci sentiamo offesi ogni volta che si attraversa la strada provinciale numero 4 (che ci collega a San Cipirello), abbandonati, ma poi arrivati a destinazione la rabbia si placa, si ritorna a considerare normali le assurdità e sempre con più celerità si sprofonda nella rassegnazione.
Rassegnazione che ci spinge a ritenere normale ciò che non lo è: una strada che collega i Corleonesi con l’aeroporto, con le località balneari, con l’ospedale di Partinico, chiusa al traffico dalla provincia e resa transitabile dall’intervento di un privato che in un tratto ha creato una deviazione. Ecco chi ha riaperto la strada provinciale numero 4!
Mi rendo tristemente conto che il quadro che esce, seppur assai incompleto, non è incoraggiante, ma sono convinto che può essere da spunto per una nuova stagione, perché solo affrontando i problemi possiamo ritornare a parlare di riscatto. Allora bisogna oggi più che mai far emergere la tanta rabbia per le ingiustizie scrollandoci di dosso il torpore della rassegnazione.
Dobbiamo riuscire a lasciare i vecchi schemi di coltivazione e progettare un nuovo modo di produrre e trasformare i nostri prodotti, partendo dalle poche realtà che sono nate in questo senso. I cittadini onesti devono rivendicare una presenza più efficace delle istituzioni, chiedendo una viabilità sicura, interventi più puntuali sulla nostre periferie. Bisogna pretendere l’affidamento ai giovani dell’arduo compito di rivendicare il solo e vero modo di contrasto alle mafie, lo stesso che quando applicato ha migliorato questa società: contrastare le ingiustizie sociali, creare sviluppo partendo dal rispetto dei lavoratori e pretendendo diritti per tutti.
A Corleone, a casa nostra tutto questo è possibile.
Nel settore agricolo, volano per la nostra economia, la crisi troppe volte viene usata per far accettare ai lavoratori condizioni in auge in tempi assai remoti e crea nuove povertà e fa emergere ulteriori contraddizioni. Una crisi del settore agricolo reale che ha messo pesantemente in difficoltà la nostra zona e che si deve soprattutto all’effetto concorrenziale sui prezzi del grano proveniente dall'estero. Eppure questo non può bastare a giustificare il mancato sviluppo del nostro territorio che vede i nostri imprenditori non in grado di trasformare gli ottimi prodotti della terra.
Purtroppo, il mancato sviluppo fa leva anche sull’ennesima assurdità che in questo caso coinvolge le istituzioni democratiche di questo Paese che da un lato hanno investito (spesso male) e dall’altro non riescono a far fronte ai bisogni elementari di ogni società. Infatti, alcuni investimenti sul territorio, capaci di poter dare nuovo slancio alla nostra economia sono stati realizzati e disgraziatamente rimasti chiusi per decenni.
A parte un caseificio realizzato negli anni '80 e ristrutturato nei primi anni 2000, (troppo grande per le produzioni di latte locale) vi è una struttura moderna e all'avanguardia costruita alla fine degli anni '90, ossia il mercato ortofrutticolo a cui vennero istallate nel 2007 delle celle frigorifere. A questi possiamo aggiungere la zona artigianale realizzata e mai avviata. La cosa particolare che i due beni (escludendo il Caseificio) sono stati progettati per avere come via di sbocco la sp4, chiusa al traffico da tempo immemore.
Questa strada diventa l’emblema della situazione locale, dove la rabbia e la rassegnazione la fanno da padrona. Ci sentiamo offesi ogni volta che si attraversa la strada provinciale numero 4 (che ci collega a San Cipirello), abbandonati, ma poi arrivati a destinazione la rabbia si placa, si ritorna a considerare normali le assurdità e sempre con più celerità si sprofonda nella rassegnazione.
Rassegnazione che ci spinge a ritenere normale ciò che non lo è: una strada che collega i Corleonesi con l’aeroporto, con le località balneari, con l’ospedale di Partinico, chiusa al traffico dalla provincia e resa transitabile dall’intervento di un privato che in un tratto ha creato una deviazione. Ecco chi ha riaperto la strada provinciale numero 4!
Mi rendo tristemente conto che il quadro che esce, seppur assai incompleto, non è incoraggiante, ma sono convinto che può essere da spunto per una nuova stagione, perché solo affrontando i problemi possiamo ritornare a parlare di riscatto. Allora bisogna oggi più che mai far emergere la tanta rabbia per le ingiustizie scrollandoci di dosso il torpore della rassegnazione.
Dobbiamo riuscire a lasciare i vecchi schemi di coltivazione e progettare un nuovo modo di produrre e trasformare i nostri prodotti, partendo dalle poche realtà che sono nate in questo senso. I cittadini onesti devono rivendicare una presenza più efficace delle istituzioni, chiedendo una viabilità sicura, interventi più puntuali sulla nostre periferie. Bisogna pretendere l’affidamento ai giovani dell’arduo compito di rivendicare il solo e vero modo di contrasto alle mafie, lo stesso che quando applicato ha migliorato questa società: contrastare le ingiustizie sociali, creare sviluppo partendo dal rispetto dei lavoratori e pretendendo diritti per tutti.
A Corleone, a casa nostra tutto questo è possibile.
8 luglio 2018
http://mafie.blogautore.repubblica.it/2018/07/08/2009/
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