Attilio Bolzoni |
La trattoria - la “Taverna di John” - era al principio di un vicolo alle cui spalle c'era una grande piazza e il palazzo di vetro dove era acquartierata la redazione dell'Ora, il quotidiano della sera che i palermitani chiamavano semplicemente "il L'Ora” o "il L'Ora morti e feriti” per le grida degli strilloni che annunciavano agli angoli delle strade l'ultima ammazzatina. Beppe qualche volta lo incontravo lì, agli orari più strani. O fra una stanza e l'altra della squadra mobile, quando salivo a trovare all'"Investigativa” il suo amico Ninni Cassarà. E ancora, ma più raramente, al Palazzo di Giustizia. Di cosa poteva parlare un giornalista a caccia di notizie con un poliziotto a caccia di latitanti? Di tutto tranne che di mafia.
Forse anche per questo - anzi, ne sono sicuro - ogni chiacchierata con lui era
lieve, piacevole, disinteressata. Aveva qualche anno in più, quattro, ma era un
ragazzo come me. Da “John”, sino a quando sono a rimasto a Palermo, una sua
grande foto era appesa alla parete sinistra del locale. Beppe vivo. E
sorridente. Perché nel frattempo Beppe non c'era più. L'avevano ucciso i
mafiosi, il 28 luglio del 1985.
Una settimana dopo non c'erano più neanche Ninni Cassarà e Roberto Antiochia, un'altra mattanza di Palermo, in pochi giorni Cosa Nostra aveva eliminato quei poliziotti che erano stati il braccio operativo del giudice Falcone nella costruzione del maxi processo. Sopravvissuto era Ciccio Accordino della sezione "Omicidi” della Mobile, sopravvissuto era anche Angiolo Pellegrini, il capitano dell'"Anticrimine” dei carabinieri che con Cassarà e Montana aveva contribuito a redigere un rapporto (“Michele Greco + 161”) che avrebbe poi trascinato per la prima volta tutta la Cupola nell'aula bunker dell'Ucciardone.
Nel 2015 sono stato a Catania per ricordare Beppe nel trentesimo anniversario della sua morte. C'era tutta la sua famiglia, è stato un tuffo doloroso nel passato. Per me quei poliziotti non erano “fonti”, li ho sempre considerati dei fratelli più grandi che resistevano in una città infame ("Siamo cadaveri che camminano”, ripeteva sempre Ninni) e che da funzionari dello Stato con la schiena dritta in quella stagione avevano davvero poche chance per andare incontro a un altro destino.
Di Beppe e degli altri potrei scrivere tanto ancora, ma in questo momento preferisco tenere dentro di me alcuni ricordi. La sua storia oggi l'affidiamo a Dario, uno dei suoi fratelli. Per come l'ha vissuta. E per come ancora la vive.
24 luglio 2018
Una settimana dopo non c'erano più neanche Ninni Cassarà e Roberto Antiochia, un'altra mattanza di Palermo, in pochi giorni Cosa Nostra aveva eliminato quei poliziotti che erano stati il braccio operativo del giudice Falcone nella costruzione del maxi processo. Sopravvissuto era Ciccio Accordino della sezione "Omicidi” della Mobile, sopravvissuto era anche Angiolo Pellegrini, il capitano dell'"Anticrimine” dei carabinieri che con Cassarà e Montana aveva contribuito a redigere un rapporto (“Michele Greco + 161”) che avrebbe poi trascinato per la prima volta tutta la Cupola nell'aula bunker dell'Ucciardone.
Nel 2015 sono stato a Catania per ricordare Beppe nel trentesimo anniversario della sua morte. C'era tutta la sua famiglia, è stato un tuffo doloroso nel passato. Per me quei poliziotti non erano “fonti”, li ho sempre considerati dei fratelli più grandi che resistevano in una città infame ("Siamo cadaveri che camminano”, ripeteva sempre Ninni) e che da funzionari dello Stato con la schiena dritta in quella stagione avevano davvero poche chance per andare incontro a un altro destino.
Di Beppe e degli altri potrei scrivere tanto ancora, ma in questo momento preferisco tenere dentro di me alcuni ricordi. La sua storia oggi l'affidiamo a Dario, uno dei suoi fratelli. Per come l'ha vissuta. E per come ancora la vive.
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