magliette rosse... |
di LUIGI CIOTTI
È stata un'esperienza bella, significativa e per molti versi inaspettata,
quella del 7 luglio scorso, ma proprio per questo è importante farne tesoro,
darle continuità. È a questo che mirano le riflessioni che voglio condividere
con tutte le realtà.
Una grande
adesione, una grande partecipazione. Un’Italia vigile, appassionata, che esce
allo scoperto e riempie le piazze materiali e virtuali per dire basta alla
perdita di umanità, all’innalzamento di muri, alla rimozione della memoria e
alla diffusione di menzogne. Per opporsi non alle paure – che sono un
sentimento umano – ma alla loro strumentalizzazione e degenerazione in cinismo
e rancore. È stata
un’esperienza bella, significativa e per molti versi inaspettata, quella del 7
luglio scorso, ma proprio per questo è importante farne tesoro, darle
continuità. È a questo che mirano le riflessioni che voglio condividere con
Libera e con tutte le realtà – a cui sono profondamente grato – che hanno
aderito al nostro appello. Riflessioni per sostare, per guardarci dentro e
guardare avanti, per procedere con passo più deciso.
Non possiamo non occuparci dei poveri
La prima
riguarda un’obiezione che ho sentito fare: Libera si occupa di mafie, che
c’entra con i migranti? Chi la pensa così non tiene conto di un fatto a mio
avviso fondamentale. La lotta alle mafie è, nella sua stessa sostanza, lotta
per la libertà e la dignità delle persone. Lotta contro le ingiustizie e le
violenze. Lo abbiamo detto tante volte: se le mafie fossero una realtà solo
criminale, sarebbero sparite da tempo dalla faccia di questa terra. Ma mafia
vuol dire anche corruzione, collusione, appoggio politico e favore economico. E
vuol dire tessuto sociale sfibrato, anemico, privo dei globuli rossi
dell’etica. Oggi non si può parlare di mafie, e progettare efficaci azioni di
contrasto, senza partire dalla profonda vicinanza, a volte intreccio, delle
logiche mafiose con quelle di un sistema politico-economico che Papa Francesco
ha definito “ingiusto alla radice”, un sistema che provoca guerre, ingiustizie,
sfruttamento di beni e persone in tante parti del mondo, e di cui le migrazioni
sono un’evidente conseguenza. Ecco perché Libera – senza perdere la sua
specificità, anzi arricchendola – non può fare a meno di occuparsi di migranti,
come non può fare a meno di occuparsi di povertà (lo ha fatto con il progetto
“Miseria ladra”, continua a farlo con la rete “Numeri pari”) e così di lavoro,
di scuola, di sanità, cioè di quello Stato sociale ridotto a brandelli da un
sistema che ormai non si fa più scrupolo di affermare che la dignità della
persona è una variabile economica, non un diritto umano, sociale, civile.
Essere una spina nel fianco del sistema
Seconda
riflessione: il rapporto con la politica. Si è detto e scritto sull’adesione
all’iniziativa di persone o realtà che fanno capo a un partito o ne sono
diretta espressione. Con inevitabile seguito di commenti, illazioni, polemiche.
Ora va precisato che l’appello era rivolto soprattutto al mondo del sociale e
ai cittadini, ma se alcune espressioni della politica hanno ritenuto di
sottoscriverlo, ben venga: della loro sincerità risponderanno i fatti, la
coerenza tra l’adesione a un testo che parla chiaro e le azioni che ne
derivano.Così come va precisato – non è la prima volta, ma è bene ribadirlo
–che Libera è apartitica: nessuno può affibbiarle etichette o metterci sopra le
proprie insegne. Apartitica ma non apolitica, se politica significa sentirsi responsabili
del bene comune, fare la propria parte per difenderlo e per promuoverlo, come
ci chiede la Costituzione. È questo che da sempre cerchiamo di fare, nella
convinzione che l’impegno sociale non sia mai neutrale, né limitato alla sola
solidarietà. Accogliere è importante, anzi fondamentale, ma lo è altrettanto il
denunciare le cause dell’esclusione e operare per eliminarle. Se manca questo
aspetto l’impegno sociale rischia di diventare “delega alla solidarietà”,
perdendo la sua visione, la sua carica propulsiva e innovativa. Non più spina
nel fianco del sistema, ma foglia di fico delle sue inadempienze.È questo lo
spirito e l’etica del nostro rapporto con la politica – un rapporto schietto,
trasparente, esente da servilismi e secondi fini: piena collaborazione con chi
opera per il bene comune; opposizione e denuncia di chi se ne appropria o lo
trasforma in privilegio.
Non migrazioni ma deportazioni indotte
Terza
riflessione, le semplificazioni e le falsificazioni. C’è chi ha detto: «Libera
e don Ciotti sono quelli dell’ “accogliamoli tutti”». Come c’è chi ci ha
accusato di non occuparci dei problemi di casa nostra, del dramma di milioni
d’italiani relativamente o assolutamente poveri, costretti a tirare la cinghia,
a mangiare nelle mense e a dormire per strada o nei dormitori. Libera non ha
mai detto “accogliamoli tutti” ed è disonesto chi ci attribuisce queste
semplificazioni. Da sempre sosteniamo che l’immigrazione è un problema enorme e
complesso, che richiede interventi simultanei e su piani diversi. In estrema
sintesi, ne enumero almeno quattro. Primo, riscrivere la convenzione di
Dublino, perché un’Europa non corresponsabile e non collaborativa è solo un
aggregato tecnico di nazioni (vedi le puntuali osservazioni in allegato di
Lorenzo Trucco, presidente dell’Asgi, associazione per gli studi giuridici
sull’immigrazione). Secondo, modifiche strutturali, non solo superficiali e
cosmetiche, di un sistema economico che innesca conflitti e produce povertà
dunque migrazioni – chiamiamole deportazioni indotte, visto che nessuno
abbandona casa e affetti se non a causa della fame, della guerra, della
desertificazione e distruzione dell’ambiente. Terzo, creare le condizioni
perché chi vive in Africa e in altre regioni del mondo che l’Occidente ha
sfruttato e colonizzato, possa farlo in dignità, ovvero in piena autonomia.
Quarto, impostare politiche d’interazione che sappiano coniugare accoglienza e
sicurezza, diritti e legalità, tenendo conto del disagio di milioni di
italiani. L’accoglienza funziona e diventa un fattore di crescita umana,
culturale, economica, laddove si sono create le condizioni per accogliere,
ossia laddove una politica rivolta non al potere contingente ma al bene comune
presente e futuro, si è opposta allo sfascio dello Stato sociale, alla riduzione
o cancellazione dei servizi, al dilagare della disoccupazione e alla crescita
della dispersione scolastica.
Ecco allora che dire “Libera si dimentica dei
poveri e dei bambini di casa nostra”, è falso. La rete “Numeri pari” è stata
concepita, come detto, proprio per rispondere ai bisogni delle persone, ma più
in generale lo stesso impegno contro le mafie e la corruzione è un impegno
contro la povertà, visto che le mafie – come dicono accreditati studi economici
– sono una delle principali cause di povertà, e tra le loro vittime bisogna
annoverare non solo i morti ammazzati ma anche le centinaia di migliaia di
“morti vivi”, di persone a cui mafiosi e i corrotti tolgono lavoro, speranza,
dignità.
Sovvertire la dittatura dell’effimero
La quarta e
ultima riflessione riprende la domanda iniziale: come dare continuità
all’iniziativa, come farne tesoro? Il tempo che viviamo è segnato da una
dittatura dell’effimero, da un eterno presente in cui tutto accade senza
lasciare traccia. Conta l’emozione, il clamore, la polemica del momento, ma poi
tutto finisce lì, soppiantato da altre emozioni, clamori, polemiche. Calato il
polverone dell’emergenza, il paesaggio che si offre ai nostri occhi è sempre lo
stesso, solo più desolante e trascurato. È bene esserne consapevoli se vogliamo
custodire lo spirito con cui abbiamo indossato quelle magliette: andare oltre
la contingenza e l’emergenza. Dirò di più: andare oltre la commozione e
l’indignazione. Oggi non bastano più. Come non bastano più le parole: in
un’epoca in cui se ne abusa irresponsabilmente, anche quelle autentiche
rischiano di essere sommerse dal chiacchiericcio. Libera sin dall’inizio cerca
di opporsi a questa deriva ormai impressionante. Libera nasce per impedire che
la rabbia e il dolore per le stragi del 1992 non svanissero col passare del
tempo, nasce per trasformare quelle emozioni in sentimenti e quei sentimenti in
consapevolezza, responsabilità, memoria viva. Ha sempre agito sapendo che non è
la contingenza il banco di prova, ma la coerenza e la determinazione con cui si
compie un cammino. Nella coscienza dei limiti, beninteso: nessuno è
insostituibile, ma nessuno può fare al posto nostro quello che è nostro compito
fare.
Rispondere all’appello della storia
La coscienza
della responsabilità, personale e collettiva, è l’etica che abbiamo
abbracciato, che abbiamo scritto prima che negli statuti nelle nostre
coscienze. E questo ha sempre significato stare nel tempo, nella storia che ci
è data, senza eludere i suoi appelli e le sue provocazioni, rispondendo sempre,
nei nostri limiti, “ci sono, ci siamo”: «Delle parole dette mi chiederà conto
la storia – diceva Tonino Bello, instancabile costruttore di pace – ma del
silenzio con cui ho mancato di difendere i deboli dovrò rendere conto a Dio».
Il tempo che oggi ci viene dato è un tempo difficile, ambiguo, pieno d’insidie
e di pericoli, un tempo schiacciato in un presente senza prospettive, sempre
più simile a un vicolo cieco. Lo dico pensando soprattutto ai giovani – alle
migliaia che si riconoscono in Libera, che ci accordano una fiducia spero ben
riposta e che rappresenta per noi la più alta responsabilità – perché sono loro
le prime vittime di questo presente prigioniero di se stesso, ostaggio di
poteri ingiusti o criminali. Un tempo nel quale si gioca – ormai credo sia
chiaro a molti – una partita di civiltà. Si, civiltà. Perché quando viene meno
il dovere di soccorso, un dovere che nasce dall’empatia fra gli esseri umani,
dal riconoscerci gli uni e gli altri soggetti a un destino comune, viene meno
il fondamento stesso della civiltà.
La conoscenza è sempre un atto di amore
Questo tempo
ci dice che dobbiamo ripartire da due cose, umilmente ma tenacemente: le
relazioni e la conoscenza. Sono le strade per crescere in umanità e in cultura,
due strade che abbiamo smesso di percorrere. Partire dalle relazioni perché la
premessa di una società giusta e pacifica è il mettersi nei panni degli altri,
l’andare oltre le relazioni opportunistiche e d’interesse, il riconoscere
l’altro e il “diverso” come un completamento, un arricchimento della nostra
identità. Dalla cultura, perché un tempo complesso, soggetto a continue e
rapide mutazioni, richiede parole e pensieri che lo sappiano interpretare, che
sappiano orientarci nel suo groviglio, che sappiano ascoltare le nostre speranze
e non solo le nostre paure. Se manca la cultura prevalgono le approssimazioni,
le semplificazioni, gli slogan, e da lì le manipolazioni, le “bufale”, la
propaganda. L’odio è conseguenza dell’ignoranza, perché si odia solo ciò che
non si conosce, la conoscenza è sempre un atto di amore. È questo il compito
che ci consegna l’iniziativa del 7 luglio. E solo se sapremo prendercene cura
quotidianamente, renderlo spirito che anima i nostri atti e le nostre scelte –
come già stanno facendo tante realtà in ogni parte d’Italia, a cui deve andare
il nostro appoggio, il nostro incoraggiamento, la nostra gratitudine – potremmo
ricordare quella data come un punto di svolta, l’inizio di una stagione di
speranza, di giustizia, di ritrovata umanità.
Luigi Ciotti
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